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Infolampo: Incidenti – Governo

Marche: giovani e migranti i più colpiti dagli incidenti sul
lavoro
La Cgil rielabora i dati Inail sui primi sette mesi del 2018: aumenta il numero delle denunce di
infortunio, che passano dalle 10.974 dello stesso periodo del 2017 alle 11.039 (+0,6%)
La sicurezza nei luoghi di lavoro è un’emergenza nazionale e regionale e lo è ancora di più alla luce della
ripresa occupazionale, contrassegnata però da un aumento
dei rapporti di lavoro precari, meno garantiti e più
discontinui. La Cgil Marche ha rielaborato i dati diffusi
dall’Inail sui primi sette mesi del 2018 ed ecco il quadro che
emerge: aumenta nelle Marche il numero delle denunce di
infortunio, che passano dalle 10.974 dello stesso periodo del
2017 alle 11.039 (+0,6%).
Nell’industria, gli infortuni aumentano del 4,9%, con una
crescita consistente nei settori del legno (6,9%), delle
costruzioni (+4,9%) e del metalmeccanico (+2,9%). Segnano
invece una diminuzione i settori della chimica, tessile e
trasporti. Nell’artigianato si deve registrare una diminuzione
del numero degli infortuni (-1,3%) con una situazione
generalizzata in tutti i settori. Nel settore terziario
aumentano le denunce del 4%. Analizzando gli stessi dati a
livello territoriale emerge un aumento considerevole nella
provincia di Pesaro Urbino (+4,2%), al secondo posto Ascoli Piceno (+2,3%), segue Fermo (+1,8%),
pressoché stabile Macerata, in diminuzione del 2,8% Ancona.
Nelle Marche, a pagare le conseguenze più alte sono i lavoratori stranieri extracomunitari; infatti, per
loro, le denunce aumentano del 9,8%, mentre per i comunitari aumentano dello 0,9% e per gli italiani
diminuiscono dello 0,7%.
……..
Dichiara Giuseppe Santarelli, segretario regionale Cgil Marche: “L’aumento degli infortuni continua,
come già avvenuto nel 2017, e questo non è mai accettabile per un Paese civile”. Per Santarelli, anche
“nelle Marche bisogna aumentare la spesa pubblica per la prevenzione sulla sicurezza sul lavoro che
rappresenta il 3,5% del bilancio della sanità. Anche le imprese, però, devono investire risorse per
migliorare le condizioni lavorative. Risulta fondamentale aumentare i controlli che oggi vengono
effettuati solo nel 5% delle imprese e per questo serve un impegno straordinario del governo e della
Regione”. Santarelli sottolinea che “i più colpiti dagli infortuni sono i giovanissimi, cioè quelli che
subiscono condizioni di precarietà e di ricatto anche attraverso il Jobs Act, gli immigrati e i lavoratori più
anziani, costretti a restare al lavoro, nelle mansioni più dure, dopo l’introduzione della Fornero”.
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Le sfide dell’Italia che il nuovo governo deve affrontare
Il 27 settembre il governo gialloverde dovrà presentare il Def. C’è uno strabismo tra chi si aspetta
interventi su pensioni, fisco, investimenti e reddito di cittadinanza e chi guarda a riduzione del debito.
Mentre Tria sembra aver archiviata la battaglia per ridefinire i criteri del fiscal compact.
di Roberto Romano
Premessa
L’appuntamento con la sessione di bilancio per il governo gialloverde si avvicina. Cominciano ad
affacciarsi le prime ipotesi (pensioni, flat tax, reddito di cittadinanza, investimenti), ma i vincoli europei,
in realtà, non sono mai discussi con la dovuta credibilità. Sebbene il Fiscal Compact sia decaduto e la
Commissione Europea abbia avviato una riflessione sul tema, questo governo ha rinunciato alla
discussione per quanto possa sembrare strana la puntualizzazione. Infatti, il Ministro Tria non ha mai
criticato il modello econometrico (ingegneristico) utilizzato dalla Commissione per stimare l’output gap
(crescita potenziale) e, quindi, il così detto pareggio di bilancio strutturale.
Tanto rumore per nulla? Forse. Innanzitutto corre l’obbligo insistere su un punto: la valutazione dei
bilanci nazionali fatta dalla Commissione Europea utilizza due parametri, cioè indebitamento strutturale e
debito. Inoltre, la valutazione si fonda su un modello che con il passare degli anni avvicina il PIL
potenziale a quello reale, ovvero l’indebitamento nominale tende ad avvicinare quello strutturale1.
Seguendo il ragionamento della Commissione, non solo l’Italia ha occupato tutto il lavoro potenziale, ma
qualsiasi manovra-misura per incrementare il reddito disponibile genererebbe solo maggiore inflazione.
Tesi ardita e discutibile, ma le più recenti proiezioni della Commissione per l’Italia sottolineano quanto
segue: se nel 2014 il Paese poteva contare su un PIL potenziale del 4,5%, nel 2018 l’output gap sarebbe
pari a 0,1 punti percentuali; nel 2019 il Paese dovrebbe, inoltre, contrarre la crescita reale dello 0,5 per
evitare rischi inflazionistici2. L’indebitamento e il debito pubblico, in questo modo, inseguirebbero gli
obbiettivi di “pareggio” giocando a rugby, ovvero passando la palla sempre all’indietro. Naturalmente si
può guadagnare terreno, ma alla sola condizione di coinvolgere tutta la squadra (anche l’Europa). La
discussione politica e/o giornalistica sul possibile superamento del 3% del deficit pubblico, introdotto con
il Trattato di Maastricht, sembra fumo negli occhi per evitare al governo e alla Commissione di
ridisegnare i criteri ingegneristici del Fiscal Compact. Pensare male si fa peccato, ma qualche volta ci si
imbrocca.
Ovviamente le scelte economiche da fare sono difficili; è facile dall’esterno puntualizzare e criticare, ma
è abbastanza strano che il ministro Tria abbia rinunciato all’elaborazione dell’ex ministro Padoan che
ridiscuteva (criticava) i criteri di valutazione europei del deficit strutturale. Infatti, utilizzando modelli
diversi (OCSE), l’Italia da tempo non solo avrebbe il pareggio di bilancio strutturale, ma sarebbe anche in
attivo.
L’economia in mezzo al guado
Il 15 settembre 2008 fallisce Lehman Brothers e inizia ufficialmente la Grande Recessione in tutti i paesi
avanzati. La Storia, dopo 10 anni, sembra la stessa: occorre ripristinare l’equilibrio economico generale
per consolidare la crescita. La Storia di questi 10 anni, in realtà, registra un cambiamento delle politiche
nazionali e la nascita di un latente sovranismo che ha modificato la geografia economica e la divisione
internazionale del lavoro. Le politiche di Trump e la conseguente guerra delle monete nel commercio
mondiale3, la rincorsa delle Banche Centrali all’oro, la contrazione del ruolo delle banche commerciali
come fornitori di credito alle imprese in ragione delle severe regole imposte a livello internazionale ed
europeo, sostituite dai fondi – Shadow Banking – che comprano sempre più obbligazioni spazzatura
emesse dalle stesse imprese, hanno creato i presupposti per una enorme bolla finanziaria4. Too BIG to
Fail non sono più le banche, piuttosto le grandi società di gestione del risparmio e nessuna organizzazione
sembra volersi far carico di questa bomba a orologeria. Siamo ritornati al 2007 e la così detta stagnazione
secolare5 incombe senza che i “Poteri ignoranti”6 comprendano quanto stia accadendo.
Indipendentemente dal così detto equilibrio generale liberista, alcuni Stati hanno recuperato le posizioni
del 2007 a spese dei Paesi che hanno più di altri realizzato politiche di austerità, erodendo quel poco di
buono che avevano costruito negli anni passati. Altri Paesi, invece, sono arretrati senza che la politica
potesse far molto. L’Italia è un caso scuola che dovrebbe far riflettere chiunque si incarichi di rilanciare
l’economia. Sebbene l’Italia abbia bisogno di investimenti e il Ministro Tria sembra intenzionato a
rafforzare questa spesa nella Legge di Bilancio7, dobbiamo pur indagare cosa serve al Paese e valutare
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