Nel dibattito in corso diverse voci propongono delle cosiddette “scorciatoie” per istituire una “unione della difesa” a Trattati esistenti. Le proposte generalmente prevedono lo sviluppo di un’iniziale capacità militare dell’Unione a partire da alcune basi giuridiche esistenti, quali l’astensione costruttiva ex art. 31.1 TUE per le decisioni relative alla politica estera e di sicurezza comune, gli art. 46.1 e 46.2 TUE sulla cooperazione strutturata permanente in ambito della difesa, oppure attraverso il ricorso ad accordi separati tra alcuni governi.
Si tratta purtroppo di soluzioni già sperimentate senza successo in passato, fondate sul modello dell'”Europe à la carte”: gruppi di Stati membri si impegnano in azioni coordinate di natura essenzialmente intergovernativa dotate di una patina di “legittimità europea”, ma rese possibili solo dalla convergenza temporanea di interessi e logiche nazionali distinte. Inoltre, non stiamo parlando di azioni o strumenti veramente europei, bensì nazionali, che richiedono necessariamente l’approvazione dei Parlamenti degli Stati membri, e dipendono in modo pressoché totale dalle risorse messe a disposizione da ciascun di essi.
Uno degli ostacoli maggiori alla creazione di una vera difesa europea è infatti di natura politica, e riguarda la difficoltà praticamente insormontabile di elaborare una visione comune europea degli obiettivi di politica estera partendo dal tentativo di armonizzare 27 interessi nazionali spesso divergenti (interessi sia politici, sia geostrategici che economici). Infatti, i vari tentativi di procedere con questo metodo in passato, non hanno mai riscosso particolare successo (si pensi alle missioni militari UE nel Mar Roso e nel Sahel o, più recentemente, all’introduzione di PESCO per il finanziamento di progetti comuni nell’ambito della difesa), né nessuna di queste misure è servita come “trampolino” per costruire una vera difesa europea, perché tutte mancavano del presupposto essenziale, cioè la creazione di una politica estera dell’Unione che fosse espressione della volontà comune maturata all’interno delle sue istituzioni, in particolare del Parlamento e del Consiglio. Si aggiunga che, se non hanno mai funzionato in passato, oggi queste soluzioni sono del tutto inadeguate rispetto alla situazione presente perché – per il modello e i presupposti su cui si basano – non sono più proponibili di fronte al rischio di una guerra sul territorio europeo contro una potenza nucleare.
Se si vuole fare la difesa europea sul serio, dunque, non ci sono scorciatoie: è necessario sostenere quei trasferimenti di sovranità a livello europeo che permettano di dotare l’Unione di una sua vera autonomia di governo, non solo liberandosi dai veti e dai ricatti degli Stati membri, ma anche creando le condizioni per poter esprimere un genuino interesse europeo, comune in quanto generale. È quanto è avvenuto quando si è deciso di fare davvero l’Unione monetaria (superando il Sistema monetario europeo e creando il Sistema europeo delle Banche centrali) o, più recentemente, quando si è creato il primo strumento di politica fiscale dell’Unione con il Recovery fund (che è gestito dalla Commissione con debito raccolto sui mercati da quest’ultima a nome dell’Unione). Tutto il resto, dalle cooperazioni rafforzate in campo militare agli accordi intergovernativi, non serve a creare una difesa europea, ma al massimo a massimizzare la forza e la resilienza delle difese nazionali tramite strumenti di cooperazione in una dimensione intergovernativa.
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