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Infolampo: Sud – Illiberali

Sud, ancora serbatoio di manodopera a basso costo
Il Mezzogiorno torna ad acquistare un ruolo di area fornitrice di forza lavoro necessaria per lo sviluppo
delle altre regioni italiane ed europee, allo stesso modo in cui lo aveva svolto mezzo secolo addietro,
all’epoca delle grandi migrazioni
di Stefano Boffo ed Enrico Pugliese, Rps 11 aprile 2018
Il testo è la sintesi dell’articolo pubblicato nella sezione Tema del n. 4 2017 della Rivista delle Politiche
Sociali. Gli abbonati possono leggerlo qui in versione
integrale. Questo è invece il link alla rubrica che Rassegna
dedica alla stessa Rivista
I fattori che spingono a emigrare dall’Italia sono molteplici e
differiscono per i diversi protagonisti dell’emigrazione che
colpisce oggi il nostro Paese. Sicuramente il principale
fattore di spinta, comune a tutti (giovani e meno giovani,
meridionali o settentrionali, altamente scolarizzati o no), è
rappresentato dalla grave crisi produttiva e occupazionale
degli anni scorsi, che ha attivato fenomeni e processi che
sono tuttora in atto.
Se si parla di Mezzogiorno bisogna tener conto del fatto che
le principali destinazioni non sono quelle estere (anche se la
componente di emigrazione verso l’estero è cresciuta negli
ultimi anni) e che, benché si scelga di emigrare per molti
diversi motivi, per la stragrande maggioranza degli
emigranti l’elemento unificante resta il peggioramento della situazione del mercato a livello locale.
Questa migrazione è proseguita anche quando si è passati dalla crisi alla tenue ripresa che si registra oggi,
in particolare nel Sud, anche se nel Meridione siamo ancora lontani dal raggiungere i livelli pre-crisi per
quel che riguarda i principali indicatori del mercato del lavoro e soprattutto livelli e qualità
dell’occupazione.
Tutto ciò fa pensare davvero che ci troviamo di fronte a un nuovo ciclo dell’emigrazione italiana, che per
il Mezzogiorno si inserisce in un processo di radicale modifica della struttura demografica, un basso tasso
di natalità non compensato – come nel Nord – da un parallelo flusso di immigrati. Il Mezzogiorno torna
così ad acquistare un ruolo di area fornitrice di manodopera necessaria per lo sviluppo delle altre regioni
italiane ed europee, allo stesso modo in cui lo aveva svolto mezzo secolo addietro, all’epoca delle grandi
migrazioni intereuropee trainate dallo sviluppo industriale fordista.
Ma con due aggravanti: gli emigrati meridionali si inseriscono in mercati del lavoro dominati dalla
precarietà e al contempo il Mezzogiorno non è più un’area sovrappopolata ove l’alleggerimento
demografico poteva essere positivo, ma un’area ormai in grave crisi demografica, che l’emigrazione
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Anziani. Emilia Romagna, una
“white list” per le case di riposo

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Una campagna contro lo spettro delle democrazie
illiberali
“Uno spettro si aggira per l’Europa: lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della vecchia Europa si
sono coalizzate in una sacra caccia alle streghe contro questo spettro: il papa e lo zar, Metternich e
Guzot, radicali francesi e poliziotti tedeschi”.
di Pier Virgilio Dastoli
Così iniziava la prefazione del Manifesto del Partito Comunista scritto centosettanta anni fa da Marx e
Engels per incarico della Lega dei Comunisti (già Lega dei giusti). Di comunisti in Europa ce ne sono
rimasti ben pochi e il solo spettro fu quello evocato in Italia a metà degli anni ’90 da Silvio Berlusconi per
vincere le elezioni e assumere la leadership del centrodestra fino a giorni nostri. Se c’è uno spettro che si
aggira oggi per l’Europa, è invece quello delle democrazie illiberali o democrature, in particolar modo
nell’Europa centro-orientale, con caratteristiche per ora diverse dai regimi nazi-fascisti che presero il
potere dopo Hitler e Mussolini in Ungheria, Polonia, Romania, Bulgaria, nelle Repubbliche Baltiche
trovando alleati in Spagna, Grecia e Portogallo con la sola eccezione della Cecoslovacchia.
Il governo democratico illiberale nasce da elezioni democratiche secondo i principi della democrazia
rappresentativa e, al contrario delle democrazie liberali dove i governi perdono il loro consenso
governando in alternanza fra forze progressiste e conservatrici, rafforza il potere conquistando
progressivamente settori più ampi della popolazione e appropriandosi di scelte politiche anti-europee. Ciò
è avvenuto in Polonia e nella Repubblica Ceca ed è stato confermato nelle elezioni dell’8 aprile in
Ungheria ma partiti illiberali sono al potere in Austria, in Bulgaria, in Croazia mentre i Veri finlandesi
(nazionalisti e euroscettici) sono entrati al governo nel 2015 così come – pur appartenendo alla famiglia
socialista – ha connotati illiberali il sistema al potere in Slovacchia, dove il primo ministro Fico ha dovuto
lasciare il governo al suo vice Peter Pellegrini dopo lo scandalo legato all’omicidio del giornalista Jan
Kuciak.
Il governo democratico illiberale si pone due obiettivi prioritari: la demolizione dello stato di diritto
all’interno del paese e il ritorno alla sovranità nazionale in funzione anti-europea. Lo stato di diritto, come
sappiamo, è fondato su alcuni principi considerati irrinunciabili nell’Unione europea: la certezza del
diritto, l’uguaglianza davanti alla legge, la separazione dei poteri e l’indipendenza della magistratura, il
rispetto dei diritti fondamentali e il pluralismo. Demolizione dello stato di diritto e ritorno alla sovranità
nazionale sono due facce della stessa medaglia.
La forza delle democrazie illiberali contro la democrazia europea ancora in statu nascendi non sta, come
qualcuno potrebbe pensare, nell’eccesso di sovranità europea ma nella sua assenza come scrisse Barbara
Spinelli nel suo saggio (Einaudi, 2014) su “La sovranità assente”: assente nella gestione dei flussi
migratori, nell’eliminazione delle diseguaglianze, nella lotta al terrorismo, alla corruzione e alla
criminalità organizzata, nelle politiche di recupero e di inclusione delle aree interne (le periferie urbane e
le zone agricole), nella politica estera e di prossimità…
Che fare? 1. L’Unione europea non dispone di strumenti efficaci per contrastare la demolizione dello
stato di diritto in un paese membro. Il Trattato (art. 7 TUE) prevede certo un meccanismo di allerta nel
caso in cui un governo abbia dato segni di voler procedere alla sua demolizione e un meccanismo di
sanzioni nel caso in cui la demolizione sia iniziata, ma l’allerta e le sanzioni sono nelle mani dei capi di
Stato e di governo che devono decidere all’unanimità (in assenza naturalmente del governo demolitore)
essendo così prigionieri del veto di altri governi illiberali, al contrario del “Progetto Spinelli” del 1984
che aveva inventato il meccanismo sanzionatorio ma lo aveva messo nelle mani imparziali dei giudici
della Corte in Lussemburgo. E poiché leader illiberali si trovano fra i popolari ma anche fra i liberali (il
ceco Babis) e frequentavano anche la famiglia socialista (Zeman a Praga e Fico a Bratislava), è evidente
che non ci si può attendere un atto di coerenza democratica dal Consiglio europeo.
Il Trattato consente tuttavia a un milione di cittadini europei (iniziativa di cittadini europei, art. 11.4 del
Trattato) di chiedere alla Commissione europea di elaborare uno strumento giuridico non previsto dal
Trattato e di chiederne l’approvazione al Parlamento Europeo e al Consiglio (che decide a maggioranza).
Su questa base e su iniziativa del Movimento europeo in Italia e di comitati che si stanno istituendo in
altri sei paesi europei, sarà avviata nelle prossime settimane una campagna popolare per dotare lo spazio
di libertà, sicurezza e giustizia (art. 70TFUE) di uno strumento che consenta di monitorare regolarmente il
rispetto dello stato di diritto negli Stati membri (e nell’Unione europea) anche attraverso la creazione di
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