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I problemi che causano le alluvioni: il cambiamento climatico, l’inadeguata gestione del reticolo idrografico e una politica che scarica le colpe sugli ambientalisti *

Il cambiamento climatico si sta sempre più delineando come due inediti opposti fenomeni
meteorologici, prolungate siccità anche invernali che disseccano il suolo agrario per mesi, e
i localizzati temporali autorigeneranti con precipitazioni concentrate che non hanno
riscontro nelle serie storiche, fenomeni questi che non si possono prevedere con
esattezza nella loro posizione.
I due fenomeni sono interconnessi, il surplus energetico accumulato dal mare da mesi di
caldo anche fuori stagione che hanno messo in atmosfera enormi quantità di umidità.
Chiariamo che tutto questo non può essere vissuto come un alibi o giustificazione per la
mancata adeguata gestione del reticolo idrografico, in realtà questa tendenza climatica è
nota da circa dieci anni mentre l’approccio culturale della gestione dei fiumi è fermo da
decenni alla concezione della polizia idraulica.
La polizia idraulica finalizzata solo alla rimozione della vegetazione e dei sedimenti in alveo
ha sempre più alterato il sistema fluviale e illuso una certa pianificazione urbanistica sulla
possibilità di occupare suolo pianeggiante nelle aree perifluviali. Anche la relativamente
recente pratica delle casse di espansione, per risolvere gli errori di pianificazione
urbanistica, hanno bisogno, per essere realizzate, di canalizzare e irrigidire l’alveo fluviale a
un canale che possa garantire l’innaturale mantenimento costante nel tempo, così spera,
dei parametri idraulici per le esigenze progettuali della cassa di espansione, una
condizione questa che, nel suolo complesso, esaspera le alterazioni del sistema fluviale.
In questo modo abbiamo creato fiumi, fossi, torrenti, canalizzati con un aumento della
velocità della corrente, aumento dell’incisione e franamenti di sponde, nessuna
laminazione delle piene, minor ricarica delle falde acquifere.
Anche le sempre maggiori derivazioni di acqua, con dighe, briglie, canali, hanno reso
sempre meno efficiente il sistema fluviale, con una sezione di alveo sempre più ristretta,
una vegetazione ripariale spesso assente non più in grado di stabilizzare la sponda dalle
erosioni, ponti con campate di vecchia concezione e strade sempre pericolosamente vicine
alle sponde.
Gli attuali eventi estremi ci colgono assolutamente impreparati, innanzitutto culturalmente,
ancora ancorati alle concezioni puramente deterministiche dei decenni passati quando i
nuovi parametri climatici imporrebbero un approccio cautelativo nelle scelte territoriali.
Impreparati nella gestione progettuale del territorio per la mancata capacità di trovare una
mediazione tra l’uso del suolo, per esempio agricolo, e la dinamica fluviale. La pratica
progettuale delle aree di laminazione intese come riattivazione delle aree di piana
inondabile (diverse dalle vasche di laminazione che invece creano zone interdette alla
fruizione e all’uso) utilizzabile per attività agricole, naturalistiche o della filiera del legno,
possono creare le condizioni per un realizzare un contesto di ritrovata naturalità fluviale.