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Infolampo: Paura – Flat Tax

Se vince la politica della paura
In un Paese dove calano i reati, cresce invece “l’insicurezza percepita”. Pesa quel che racconta la tv e lo
spazio al linguaggio della violenza. Travalica la realtà il clima di aggressione e messa all’indice del
nemico, dell’altro, del diverso da noi
di Silvia Garambois
A Piacenza stanno mettendo nuove telecamere di “videosorveglianza comunale”, grazie a un “Patto per
l’attuazione della sicurezza urbana” siglato tra la sindaca e il prefetto (in realtà Piacenza non è agli onori
delle cronache per i delitti, fatto salvo un recente femminicidio,
avvenuto tra le mura di casa). Altrettanto intendono fare 50 sindaci
della provincia di Potenza, con “telecamere nei luoghi più
sensibili”. A Chiesina Uzzanese (meno di 5mila abitanti, in
provincia di Pistoia) dopo “un brutto fatto di cronaca” – una rapina
al casello autostradale – i cittadini hanno invece cominciato a
organizzarsi su facebook per “restituire la politica ai cittadini”.
Notiziole così se ne leggono ovunque. Il dato comune è e resta la
paura.
L’Istat ha appena comunicato i nuovi dati sulla “percezione della
paura” che, appena sfornati, rischiano di essere già vecchi. Il fatto è
che l’analisi riguarda il periodo 2015-2016 (a confronto con i dati
2008-2009) e racconta un paese che ha “un miglioramento
generalizzato nelle preoccupazioni”, in cui “la percezione di
insicurezza risulta stabile mentre si riduce l’influenza della
criminalità sulle abitudini di vita”.
Poiché la percezione della sicurezza (o dell’insicurezza) dipende da molte cose, e tra queste c’è quel che
racconta la tv, e ci sono in particolare le campagne politiche, e visto che abbiamo alle spalle una
campagna così violenta come quella delle ultime elezioni, con la creazione del nemico nell’altro – il
diverso da noi – esercitiamo il beneficio del dubbio sull’attualità della ricerca Istat.
Del resto la “politica della paura” è così ben riuscita in tv, che le reti di casa Berlusconi alla fine hanno
dato il benservito ai loro giornalisti di punta – Mario Giordano, Paolo Del Debbio, Maurizio Belpietro –
perché con i loro programmi sull’insicurezza e sull’invasione dei migranti anziché portare voti a Forza
Italia avrebbero soffiato sulle vele della Lega e di Salvini.
Ed è difficile leggere un’indagine pubblicata ora e datata due anni fa (anche se questo devono fare gli
istituti di ricerca, con dati controllati e soppesati e confrontati) mentre in nome della sicurezza il governo
chiude i porti per non far sbarcare i migranti, mentre le navi vengono lasciate in mezzo ai mari cariche di
persone dolenti, mentre il vicepremier Salvini con una ruspa abbatte una casupola in un campo rom (ma
poteva fare questo?), mentre si annunciano censimenti dei nomadi e a Roma viene sfollato l’unico campo
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Pensioni, il 10 luglio
iniziativa con Camusso

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La flat tax e gli effetti sui redditi da pensione
Di flat tax si è tornati a parlare in Italia da circa un anno, da quando l’Istituto Bruno Leoni, ricevendo
una vasta eco su alcuni quotidiani, ha suggerito una riforma del sistema di imposte e trasferimenti
italiano fondato sul principio dell’aliquota unica (da loro immaginata al 25% per qualsiasi fonte di
reddito). Il tema è ancor di più asceso al centro del dibattito da quando la Lega vi ha incentrato la sua
riflessione di politica fiscale, prima durante la campagna elettorale, poi nel contratto di governo siglato
con il Movimento 5 Stelle.
Scritto da: Michele Raitano
Il passaggio da un sistema fiscale basato su aliquote marginali crescenti in base agli scaglioni di reddito
accoppiato a un sistema (a volte opaco) di detrazioni e deduzioni fiscali come quello italiano a uno
schema ad aliquota unica (in realtà due nelle idee del governo) – associato a una deduzione o a un
trasferimento in somma fissa per garantire una qualche forma di progressività – è generalmente criticato
sulla base di due principali motivazioni: il costo per il bilancio pubblico che deriverebbe dall’abbandono
della struttura di aliquote per scaglioni, a meno di fissare l’aliquota unica a un livello tale da garantire la
parità di gettito; la forte caduta della progressività (ovvero del carico fiscale relativamente maggiore sui
redditi più alti, in ragione della loro maggiore capacità contributiva) che sarebbe solo in minima parte
compensata dall’esistenza di deduzioni o trasferimenti in somma fissa di cui si avvantaggerebbero in
misura relativamente maggiore i meno abbienti.
In queste brevi note non intendiamo enfatizzare nuovamente le gravi lacune di carattere etico-normativo
di un disegno di riforma ispirato alla flat tax (tema già trattato, sul Menabò, da Di Nicola e da FraGRa),
ma, seguendo un approccio empirico, ci chiediamo cosa accadrebbe alla distribuzione dei redditi in Italia,
e al gettito connesso, se le promesse contenute nel contratto di governo dovessero trasformarsi in realtà.
Per fare questo, dobbiamo dare a tali promesse un contenuto più preciso di quanto presente nel contratto
fra Lega e Movimento 5 Stelle nel quale, con una buona dose di vaghezza, si parla di “due aliquote fisse
al 15% e al 20% per persone fisiche, partite IVA, imprese e famiglie; per le famiglie è prevista una
deduzione fissa di 3.000 euro sulla base del reddito familiare”. Di seguito, anche alla luce di alcune
dichiarazioni di esponenti della maggioranza, si immagina che le due aliquote verrebbero applicate a
scaglioni sulla quota, rispettivamente, inferiore e superiore agli 80.000 euro di reddito individuale annuo.
L’ancora maggior vaghezza del contenuto delle deduzioni – come si calcola il reddito familiare? Con
quali scale di equivalenza? Cosa ne sarebbe del complesso di detrazioni e deduzioni attualmente vigenti
(ad esempio, per spese mediche o per fonti di reddito parzialmente esenti o per le contribuzioni ai fondi
pensione)?Verrebbe confermato il “bonus 80 euro” sui redditi da lavoro dipendente? – ci porta a
ipotizzare due casi (lasciando perdere per semplicità la dimensione familiare):
1.la scomparsa di tutte le detrazioni e deduzioni attualmente esistenti e l’introduzione di una sola
deduzione di 3.000 euro sui redditi individuali, a valere fino a redditi annui di 35.000 euro, col rischio
concreto che chi gode attualmente di deduzioni e detrazioni di maggiore importo potrebbe ritrovarsi con
un reddito netto inferiore a quello attuale;
2.la definizione della stessa deduzione fissa di 3.000 euro fino a 35.000 euro di reddito individuale, ma
introducendo una “clausola di salvaguardia” (di difficile realizzazione pratica, soprattutto negli anni
successivi a quello dell’introduzione della misura), tale da garantire che nessuno si ritroverebbe, in
seguito alla riforma, con un reddito netto inferiore a quello di cui godeva in precedenza.
L’analisi dell’effetto distributivo e di gettito derivante dall’introduzione della flat tax è qui condotta con
riferimento ai soli redditi da pensione (escludendo le prestazioni per invalidità e superstiti) – per una
duplice ragione: i) i redditi da pensione sono per loro natura non alterabili da eventuali “effetti
comportamentali” su domanda e offerta di lavoro che potrebbero modificare la fissazione dei salari in
presenza di un forte abbattimento del carico fiscale sui redditi medi e alti; ii) la vaghezza del meccanismo
di deduzione immaginato nel contratto di governo (nel quale non è chiaro, in particolare, il legame che si
dovrebbe determinare fra redditi individuali e familiari), può essere relativamente attenuata quando ci si
riferisce ai redditi da pensione, dal momento che tali redditi non beneficiano del “bonus 80 euro” e che è
più raro per i pensionati avere minori a loro carico.
Le simulazioni sono condotte facendo usi dei micro-dati sui redditi annui registrati nell’indagine IT-SILC
condotta per l’Italia dall’ISTAT nel 2015, nella quale si riporta, per un campione rappresentativo di
residenti in Italia, l’importo lordo e netto di ogni componente di reddito, nel nostro caso da pensione.
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