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Al voto, al voto!

Una legge elettorale confezionata per spingere le forze politiche a trovare una coalizione pre orale, fatta e voluta da un esponente di un partito il Pd, che non ha né alleati, né amici nello schieramento politico non poteva non sortire l’effetto “palude” sotto gli occhi di tutti. Metti tra gli altri ingredienti un risultato elettorale assai bizzarro, con una coalizione di centro destra largamente avanti, ma non autosufficiente, un movimento l’M5s con un ottimo risultato elettorale, ma scarse omogeneità nei programmi, orientamenti diversi in termini di leadership e tutto diventa difficile. Difficile innanzitutto fare politica se le forze in campo sono fortemente antagoniste, se rappresentano interessi diversi e diversi pezzi del Paese, se soprattutto c’è al fondo un areale incapacità di “fare politica”, cioè arrivare dopo una necessaria mediazione ad una sintesi. Difficile se in molti credono di aver vinto, ma non hanno i  numeri per governare. Così in una corsa folle verso il baratro prossimo futuro si invocano a meno di due mesi dalla tornata elettorale una nuova consultazione. Legittimo? Insensato? Di certo c’è un dato, le forze politiche, nessuna esclusa dimostrano in questa fase inadeguatezza, incapacità di analisi ed anche un considerevole spregio per gli interessi del Paese reale. E’ pur vero che quanti hanno “perso”, si fa per dire le elezioni, che nessuno di fatto a vinto, non avrebbero l’obbligo di garantire la governabilità del Paese, ma in una fase di stallo, di tutti contro tutti, il senso di responsabilità imporrebbe uno sforzo, non tattico, per raggiungere un accordo, seppure breve, limitato ad alcuni riforme, quella elettorale innanzitutto, prima di riportare nuovamente il Paese, così spaccato alle urne. Prevalgono in questa fase troppi interessi di bottega, per non dire proprio interessi “personali”, prevalgono forme elementari e rozze di leadership, incapaci di elaborare soluzioni anche azzardate, ma coraggiose, tenendo conto della situazione della nostra economia, del debito pubblico, della disoccupazione e via di questo passo. Invece si invoca il voto, come se questo nuovo appuntamento elettorale potesse sancire cose diverse o migliori rispetto al passato e non magari una maggiore percentuale di astenuti, un maggiore divario tra due zone del Paese, una nuova forte contrapposizione tra le forze politiche, con tensioni che invece di stemperarsi si acuiscono. Questa non è politica, non è “fare politica” e di certo non è lecito far pratica sulla pelle del Paese che soffre!

ARES