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Infolampo: Inciviltà – Sanità

turisti_incivili_uomo_fa_bagno_nudo_fontana_venezia_645L’inciviltà della piazza virtuale
Ormai è una vera emergenza democratica: le menzogne sul web si intrecciano con le parole e i messaggi
di odio. Crescono senza remore notizie e commenti illeggibili per la volgarità, il sessismo, la cattiveria.
In particolare verso le donne e i migranti
di Silvia Garambois
Cattivi. Capaci di dire le peggio cose, senza nessun freno. Parole cariche di odio e di violenza urlate nella
piazza virtuale dei social, a istigare altro odio e altra violenza. Lo diciamo tecnicamente in inglese, “hate
speech”, “hate news”, ma è diventata – sembra pazzesco – una vera emergenza tutta italiana, un problema
di rapporti sociali, di convivenza (odio contro la religione dell’altro, il colore dell’altro, il partito
dell’altro, odio contro le donne, contro i migranti, contro i
diversi da noi). Un problema – non è paradosso – democratico.
È vero, fin qui sembra tutto chiuso nella piazza virtuale di
internet. Dietro a messaggi infuocati e vergognosi abbiamo
scoperto che si celano persino tranquille casalinghe, che
scrivono quasi di nascosto dalla famiglia (come quella signora
sessantenne di un paesino delle Marche che si era scusata
pubblicamente con la presidente Laura Boldrini per averle
rivolto insulti sessisti: “Mi vergogno, ero arrabbiata per la vita
che faccio”). Ma non è sempre così. Basta passeggiare per il
centro delle città, notare quello a cui ormai siamo assuefatti: le
reazioni scomposte per farsi largo su un marciapiede affollato,
la maleducazione nei negozi, l’irritazione manifesta ad ogni
più piccolo inconveniente in fila per il ticket del parcheggio… Una nuova “normalità” a cui non si fa più
caso, una civiltà di rapporti al ribasso.
I vecchi insegnavano che chi parla male pensa male; ed è anche peggio se chi scrive neppure pensa…
Brutti e cattivi, come “Napalm51”, il personaggio inventato da Maurizio Crozza. Come si fa – ed è stato
fatto – a pubblicare e condividere all’infinito sui social la foto di due ragazze scollacciate e ubriache
spacciandole per le giovani americane stuprate a Firenze? Le bufale (le “fake news”) si intrecciano con le
notizie e le parole dell’odio: i commenti a quell’evidente e brutto falso, preso ipocritamente per buono,
sono illeggibili per la volgarità, il sessismo, la cattiveria, l’odio. Quelle ragazze vittime due volte, cento
volte, mille volte…
Un commento su internet non è un esercizio innocente, non è un gioco. È una spirale dalle conseguenze
imprevedibili. La cronaca ha raccontato i suicidi – ragazze, adolescenti – di chi ne è stato travolto. Vittime
dei social. Delle fake news, dell’hate speech. Della menzogna e dell’odio.
Preoccupa anche l’Europa l’odio che corre sui social, le notizie false che spaventano. È di questi giorni la
proposta Ue di un codice di condotta per le piattaforme web; la presidente Boldrini dal canto suo è da
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Sanità complementare e welfare aziendale, l’insidia dei
costi
Non sempre sul versante della salute pubblica le agevolazioni fiscali sono prive di conseguenze dannose.
La verità è che, da un lato, possono creare una doppia disuguaglianza nei diritti e, dall’altro, permettono
di avvantaggiare i lavoratori più ricchi
di Elena Granaglia, Rps 27 settembre 2017 ore 12.10
Il testo che segue è la sintesi dell’articolo pubblicato nella sezione Tema del n.2-2017 della Rivista delle Politiche Sociali. Gli
abbonati possono leggerlo qui in versione integrale. Questo è invece il link alla rubrica che Rassegna dedica alla stessa
Rivista
Nell’arena pubblica, le agevolazioni fiscali al welfare aziendale sono spesso considerate una win win
solution: alcuni ne beneficiano e nessuno è danneggiato. Opporvisi sarebbe espressione d’invidia o di un
piatto ugualitarismo da parte di una sinistra passatista, cieca al ruolo del privato e delle differenze. Ma
non è sempre così. Sul versante della sanità complementare, le agevolazioni al welfare aziendale possono
invece comportare due insiemi di costi non indifferenti.
Primo, possono creare una “doppia” disuguaglianza nei diritti, permettendo ad alcuni non solo di accedere
a più tutele rispetto a quelle disponibili ad altri – nel caso della sanità complementare più prestazioni
sanitarie –, ma anche di scaricarne parte del costo su chi non può accedervi. Come esplicitamente rilevato
dal termine inglese di tax expenditure, le agevolazioni sono, infatti, una spesa fiscale, comportando una
riduzione del gettito.
La forma della deduzione (utilizzata in Italia) permette inoltre di avvantaggiare maggiormente i lavoratori
più ricchi, il valore della deduzione aumentando all’aumentare dell’aliquota marginale. Aggiungo come la
sanità complementare inietti, in un campo che ne era stato sostanzialmente immune, i germi di una
malattia che da sempre affligge il nostro sistema di welfare: il particolarismo categoriale.
Secondo, possono peggiorare lo stato del servizio pubblico. Diverse sono le vie. Vi è la via finanziaria. In
particolare in periodi di vincoli stringenti di finanza pubblica, dirottare risorse alla sanità complementare
può implicare meno risorse per il Ssn. Vi è la via dell’indebolimento della voce a difesa della qualità delle
prestazioni pubbliche. Chi beneficia della sanità complementare ha un’agevole opzione qualora
insoddisfatto delle prestazioni pubbliche: l’uscita. In tal caso, le prestazioni offerte dal privato
dovrebbero, ovviamente, essere sostitutive e, sulla carta, le prestazioni sanitarie oggi agevolate in Italia
dovrebbero essere integrative. Nella realtà, però, molte prestazioni offerte sono sostitutive.
Ancora, lo sviluppo della sanità privata potrebbe comportare una progressiva riduzione/marginalizzazione
del Ssn. Si ipotizzi, solo per fare un esempio, che nel futuro sia più facile reperire risorse per finanziare
l’universalizzazione di alcune prestazioni essenziali oggi non garantite di odontoiatria o di contrasto alla
non auto-sufficienza. Ebbene, la presenza della sanità complementare – e, in questo caso, l’obiezione si
applica esattamente alle forme integrative – potrebbe ostacolare il processo, come già paventato da
Titmuss e come suffragato da diversa evidenza empirica.
Non vi è, dunque, invidia nelle obiezioni al welfare aziendale in materia sanitaria. Semplicemente, le
prestazioni di welfare, qualora riguardino dei bisogni ritenuti importanti per tutti, vanno a tutti assicurate.
Se si ritiene che non riguardino bisogni oppure che le risorse pubbliche siano insufficienti per garantire a
tutti l’accesso, le prestazioni aggiuntive vanno lasciate alle scelte individuali senza sussidi da parte della
collettività. Neppure, mi sembra, le obiezioni possano caratterizzarsi come passatiste. Al contrario,
null’altro riflettono se non la nozione di diritto al cuore della prospettiva equitativa della cittadinanza.
Anche si condividessero le obiezioni appena espresse, le agevolazioni al welfare aziendale non
potrebbero, tuttavia, produrre benefici indiretti a favore di tutta la collettività? Ciò sarebbe
particolarmente vero nel caso delle ultime disposizioni introdotte nel nostro Paese che legano le
agevolazioni al verificarsi di guadagni di produttività. È impossibile in poche righe affrontare
adeguatamente la questione. Solo a mo’ di notazione, oltre a ricordare le difficoltà di definire gli
incrementi di produttività imputabili all’impresa (così evitando comportamenti opportunistici), aumentare
la produttività non è il mestiere dell’imprenditore? Certo, la produttività dipende anche dalle condizioni
esterne all’impresa e su questo fronte la politica ha molto a che fare. Le agevolazioni concernono, però, la
distribuzione di incrementi di produttività già verificatisi.
Dobbiamo allora compensare le imprese perché sono state brave? Ma i profitti non sono la ricompensa
della bravura? E se ci sono profitti, l’impresa non ha margini per migliorare le condizioni dei dipendenti?
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