CETA, via libera del Parlamento europeo. L’avvocato Dario Dongo illustra lo scenario poco tranquillizzante che si prospetta
A dispetto dei 3,3 milioni di firme #StopCETA, consegnate al Parlamento europeo alla vigilia del voto, il 15 febbraio l’assemblea di Strasburgo ha approvato in via definitiva il ‘trattato economico comprensivo’ con il Canada. A solo beneficio delle ‘Corporation’ globali, le quali non avranno più bisogno del TTIP (che il presidente Trump ha infatti messo da parte) per aggredire le politiche UE e degli Stati membri in tema di salute pubblica, beni comuni e servizi di interesse generale. Lo scenario che si prospetta, in breve a seguire.
Va anzitutto chiarito che il CETA – ‘EU-Canada Comprehensive Economic and Trade Agreement’ non è una semplice intesa sui dazi alle importazioni, per facilitare gli scambi commerciali. Si tratta di un accordo onnicomprensivo, mediante il quale i legislatori delle due sponde dell’Atlantico decidono di sottomettere le sovranità internazionali (UE), nazionali e locali (regioni, province, comuni) al potere di censura di gruppi economici privati. I quali potranno ricorrere ad apposite corti arbitrali per rimuovere atti – normativi e di amministrazione – che a loro dire intralcino i propri ‘business’.
Le parole d’ordine sono due, liberalizzazione e de-regolamentazione di ogni attività e servizio finora custodito dalle pubbliche amministrazioni o comunque disciplinato con rigore (in ambito sociale, sanitario, educativo, reti idriche, etc.). (1) E così le imprese canadesi – e quelle statunitensi o messicane che ivi abbiano sede – potranno agire in giudizio nei confronti delle istituzioni del vecchio continente.
Ogni progetto politico a tutela della salute pubblica – che si tratti della restrizione d’impiego di sostanze chimiche, (2) agrotossici e OGM (ivi compresi i ‘diversamente OGM’), interferenti endocrini, ad esempio – sarà di fatto assoggettato al vaglio e alla minaccia di ritorsioni legali dei gruppi industriali controinteressati, oltreché del governo canadese. (3)
Lo stesso principio di precauzione, su cui é basata la legislazione europea in tema di sicurezza alimentare, (4) può venire contestato quale base per l’adozione di misure di salvaguardia. Atteso che, nella logica neo-liberista che ispira il CETA (come già il WTO), ogni potenziale ostacolo al commercio delle merci deve venire giustificato non dal ‘dubbio sulla potenziale pericolosità’ di una sostanza, bensì sulla prova certa di un effettivo rischio per la salute pubblica.
Ne deriva che l’adozione di politiche – educative, commerciali, fiscali – tese a favorire stili di vita salutari e diete equilibrate, in assenza di solide giustificazioni scientifiche, potrà a sua volta venire contestata dai colossi del ‘junk-food’ e del ‘fast-food’, piuttosto che da ‘Big Tobacco’ o ‘Big Pharma’.
In compenso – si fa per dire – saremo inondati da derrate agricole e alimentari a dazio zero, sviluppate su economie di scala (5) soggette a regole ben più permissive (per quanto attiene, segnatamente, OGM e agrotossici, clonazione animale e impiego della relativa progenie nella filiera alimentare, coadiuvanti e additivi). Con l’aggravante della sostanziale legittimazione di ‘Italian sounding‘ e contraffazioni del ‘Made in Italy‘. Tenuto conto che:
– solo 1/7 delle DOP e IGP italiane (41 su 280) sono state riconosciute meritevoli di tutela,
– si ammette l’usurpazione dei nomi di parecchie indicazioni geografiche registrate, alla sola condizione di aggiungere una locuzione come ‘tipo’, ‘stile’, ‘imitazione’ (es. gorgonzola), e il Paese di produzione, (7)
– si esclude la possibilità di tutelare ulteriori DOP e IGP laddove preesistano simili marchi commerciali già registrati o comunque impiegati ‘in buona fede’ oltreoceano, anche solo quali ‘nomi usuali’, i quali sono perciò destinati a prevalere sulle nostre tradizioni, (7)
– le leggi nazionali sull’etichettatura d’origine delle materie prime, come il ‘decreto latte’ italiano, sono già sotto attacco di USA e Canada in sede WTO.
Il Parlamento europeo ha dunque favorito gli interessi di ‘Big Food’ e altri giganti industriali rispetto a quelli dei cittadini europei e dei diritti conquistati a caro prezzo nel corso dei decenni. Niente di nuovo, verrebbe da dire, anche se su vicende così epocali ci si sarebbe atteso un minimo di coraggio. A seguito della ratifica, il CETA potrà venire applicato in via provvisoria – escludendo la sola clausola ISDS (‘Investor-State Dispute Settlement’) – per entrare a pieno regime a seguito delle ratifiche dei 28 Stati membri UE. (8)
Per maggiori informazioni sull’argomento, si vedano gli articoli raccolti su Great Italian Food Trade.
Note
(1) Per la prima volta in 60 anni di aggregazione europea, è stata introdotta una ‘lista positiva’ dei soli e pochissimi servizi che le parti convengono di non ammettere alla liberalizzazione. Tutto il resto andrà sul mercato, senza che alcuno abbia neppure provveduto a una preventiva valutazione d’impatto socio-economico
(2) Basti pensare che il Canada ha già mosso trenta contestazioni nei confronti dell’UE, presso il WTO, adducendo che le nostre regole in tema di registrazione e autorizzazione all’immissione in commercio di sostanze chimiche (REACH), in quanto basate su apposite procedure di analisi del rischio, ostacolerebbero il ‘libero scambio’
(3) Grazie a una simile clausola a suo tempo inserita nell’accordo NAFTA (North American Free Trade Agreement), il solo Canada ha dovuto versare a gruppi privati statunitensi 170 mln di US$ a titolo di risarcimenti danni, con spese legali ulteriori per 65 mln
(4) Il principio di precauzione, si ricorda, é alla base del c.d. ‘General Food Law’, reg. CE 178/02
(5) Basti pensare al fatto che le imprese agricole canadesi hanno un’estensione media 15 volte superiore a quella europea