Da Infolampo: Mezzogiorno – Jobs Act
Un’alleanza per il Mezzogiorno d’Europa
La Cgil rilancia il progetto “Laboratorio Sud-Idee per il Paese”. La scommessa è puntare su Andalusia,
Comunità Valenciana, Campania, Puglia e Sicilia – cinque regioni-chiave del Mediterraneo – e
trasformarle in un traino per la ripresa
di Antonella Romano
PALERMO – Rilanciare il Mezzogiorno attraverso l’area mediterranea, valorizzare il lavoro e
l’occupazione, affidare ai soggetti economici e sociali e alle organizzazioni della società civile un ruolo
chiave per favorire percorsi di sviluppo. È questa la scommessa che secondo la Cgil dovrà coinvolgere le
cinque regioni-chiave del Mezzogiorno d’Europa: Andalusia,
Comunità Valenciana, Campania, Puglia e Sicilia. Qui
bisogna puntare con investimenti infrastrutturali, immateriali
e materiali che faranno da traino alla ripresa dell’intero
continente.
L’idea di fondo è proporre una strategia macro-regionale
rivolta alle quaranta regioni costiere di otto nazioni: Spagna,
Francia, Italia, Slovenia, Croazia, Grecia, Malta e Cipro. Una
strategia che sappia fare tesoro dei limiti delle strategie
macro-regionali esistenti a livello europeo e, nel contempo,
rappresenti un volano per una nuova politica di cooperazione,
sviluppo e sicurezza per tutto il Mediterraneo.
Se n’è parlato oggi (19 settembre) a Palermo nel rilanciare il
progetto della Cgil “Laboratorio Sud – Idee per il Paese”. A
fare da supporto, la presentazione di un report con i dati sui
fondi strutturali sugli investimenti europei per il periodo
2014-2020 nelle regioni beneficiarie, sulle relazioni tra Italia
e Mediterraneo e sul rapporto tra il nostro paese e i suoi
competitor internazionali. “Senza una strategia Euro-mediterranea è impensabile una piena e reale
integrazione dell’Unione Europea”, ha esordito la segretaria confederale della Cgil Gianna Fracassi.
Sul ruolo dell’Unione è intervenuto Stefano Palmieri, consigliere del comitato economico e sociale
europeo a Bruxelles dove lavora per l’Area per le politiche internazionali ed europee della Cgil.
“L’attivazione di un piano di investimenti – ha sottolineato – è strettamente legata al rilancio della politica
industriale del vecchio continente. L’Unione deve tornare svolgere un ruolo in termini di sistema, deve
avere una propria politica industriale e un manifatturiero che torni al 20 per cento del Pil”.
“Ridurre le diseguaglianze che esistono nel nostro paese e tra il Nord e il Sud Italia è l’ingrediente
primario – spiega nel suo intervento il segretario generale della Cgil Susanna Camusso – per ridare
slancio allo sviluppo infrastrutturale e all’economia del Sud. Non vediamo altra possibilità che
determinare una politica di creazione del lavoro, perché il tema della disoccupazione è la più grande
Leggi tutto: http://www.rassegna.it/articoli/unalleanza-per-il-mezzogiorno-deuropa
“Spirito di gruppo” ottobre 2016
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www.lettera43.it
Il Jobs Act è un flop: ecco il nuovo piano del governo
Le assunzioni stabili crollano. E l’Inps ha un buco di 3 mld. La riforma ha fallito. Così Renzi fa
dietrofront: si torna a tagliare il cuneo fiscale. Due strade possibili.
di Francesco Pacifico
Il governo rottama il Jobs Act. E lo fa nel giorno in cui l’Inps certifica che quanto speso finora in
detassazione e decontribuzione, cioè quasi 10 miliardi di euro in due anni, non è bastato per invertire la
tendenza sull’occupazione. Se i voucher venduti (84,3 milioni) sono aumentati del 36,2% rispetto a 12
mesi fa, i 298.327 contratti a tempo indeterminato rappresentano soltanto un terzo delle assunzioni
registrate dall’inizio dell’anno. Senza contare che, sempre nell’arco di un anno, il rapporto tra nuovi
lavori stabili e licenziamenti (il saldo è di 76.324 unità) è crollato dell’83,5%.
IL BUCO DELL’INPS. Soltanto l’Inps si è ritrovata nel 2015 con 3 miliardi in meno di contributi versati.
Addio quindi agli incentivi per i nuovi assunti e ritorno – come fatto in passato dai governi Prodi e
Berlusconi – al taglio tout court della parte fiscale sul lavoro.
Per tutti, non soltanto per i più giovani.
Il concetto era stato già ventilato dai ministri centristi del governo (Carlo Calenda ed Enrico Zanetti), ma
a ufficializzare la linea è stato il numero due del Tesoro, Enrico Morando.
Cioè l’uomo di cui Renzi si fida di più in via XX settembre.
MORANDO DIXIT. «Gli sgravi sui neoassunti», ha spiegato, «sono stati efficaci e straordinari. Ma ora
bisogna aprire una fase diversa e pensare a una riduzione strutturale del cuneo fiscale e contributivo con
orizzonte 2018-19».
Come? Il viceministro dell’Economia ha parlato di «un’ipotesi cui stiamo lavorando e che io caldeggio
molto sullo schema di quanto già fatto per l’Ires, cioè una misura scritta oggi ma che non scatta subito,
bensì dal 2018».
Quindi, ha aggiunto che «se si intervenisse sul cuneo l’intervento sull’Irpef sarebbe già fatto».
Il governo lavora su un doppio binario
Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Tommaso Nannicini.
In realtà sono due le strade sulle quali starebbe lavorando il governo.
La prima, allo studio al ministero dell’Economia, prevede di ridurre la parte fiscale legata a Irap o Irpef.
Altri alleggerimenti potrebbero poi arrivare nell’ambito della contrattazione aziendale di secondo livello,
quella legata alla produttività.
In quest’ottica il risultato sarebbe duplice: da una parte, far risparmiare qualcosa alle imprese sul salario
lordo e incrementare il potere d’acquisto dei lavoratori; dall’altra, ridurre per le esangui casse del governo
l’impegno ora previsto per decontribuzione e defiscalizzazione sui nuovi assunti, dimezzandolo.
Necessità sempre più impellente dopo che all’ultimo Consiglio europeo Angela Merkel e François
Hollande si sarebbero rimangiati le promesse fatte a Renzi sulla concessione di nuova flessibilità.
L’IPOTESI NANNICINI. A Palazzo Chigi, più precisamente al nucleo per le riforme guidato dal
sottosegretario Tommaso Nannicini, si studia un’ipotesi diversa: ridurre il peso contributivo per tutti i
lavoratori, ma senza intaccare gli assegni pensionistici futuri.
Per recuperare i versamenti mancati, si starebbe pensando di convogliare verso questa direzione tutte le
risorse oggi legate agli sgravi concessi attraverso detrazioni e deduzioni.
Diverse soluzioni, ma un unico obiettivo. Il tutto con il placet del mondo delle imprese.
Non a caso Emma Marcegaglia, già presidente di Confindustria e oggi alla guida di Eni e Luiss, ha fatto
notare: «Secondo me è molto importante detassare e decontribuire il salario in azienda, che è quello che
può permettere di pagare di più i nostri collaboratori e contemporaneamente aumentare la produttività
delle imprese».
L’APPELLO DELLA CGIL. Ma potrebbe dare il via libera anche il sindacato.
Susanna Camusso ha lamentato che «si continua con politiche inefficaci: distribuire soldi a pioggia alle
imprese, che poi non determinano investimenti. Il grande tema di cui ci si dovrebbe occupare è il crollo
degli investimenti privati, la lentezza di quelli pubblici e la loro scarsa misura. Invece di continuare a
distribuire risorse, sarebbe bene concentrarle su piani per il lavoro».
Anche per questo la sua Cgil ha chiesto a Renzi di aumentare la progressività per i redditi più bassi e
introdurre una patrimoniale per finanziare la creazione di 600 mila posti tra pubblico impiego, ricercatori,
start up, cooperative e manutenzione del territorio.
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governo_43675260794.htm