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Da Infolampo: Pensioni e L’Italia cresce o è in crisi?

infolampo_banPensioni: è ora di rifare tutti i calcoli

Senza vergogna si parla di futuri pensionati di 70 anni e più. Ma se l’aspettativa di vita è in continuo e costante divenire (anzi inverte la tendenza e scende), come si può pensare di mandare in pensione lavoratrici e lavoratori sempre più tardi?

di Silvia Garambois

C’è un sassolino nell’ingranaggio. Un imprevisto. A dirla tutta per la gente normale non è una bella notizia, nient’affatto: si muore prima rispetto agli schemi predisposti dai tecnici. Ma se al massimo ciò può provocare ai più qualche sorridente scongiuro, questo dato rischia invece di essere devastante per chi sta calcolando l’”aspettativa di vita” in virtù della quale mandare in pensione i lavoratori … il giorno del mai (ormai erano arrivati a calcolare che nel 2021 occorrerà avere 67 anni e 2 mesi, ma la progressione sembra infinita): e ora? Tutto da rivedere?

L’Istat l’ha buttata là, tra le righe, qualche giorno fa: nel 2014 gli uomini avevano una speranza di vita di 80 anni e 3 mesi, nel 2015 è scesa a 80 anni e 1 mese; le donne – che avevano una speranza di vita di 85 anni – in un solo anno sono scese a 84 anni e 7 mesi, cinque mesi in meno.

Le spiegazioni tecniche sono discutibili: una presa d’atto del picco di mortalità del 2015 (anno terribilis, allo studio dei ricercatori, anche per il ruolo che può aver avuto il contenimento della spesa sanitaria), gli “effetti strutturali connessi all’invecchiamento”, un biennio precedente (quello 2013-14) “più favorevole alla sopravvivenza”.

Ma se non è vero che l’aspettativa di vita è in continuo e costante divenire, come si può pensare di mandare in pensione lavoratrici e lavoratori sempre più tardi? Senza vergogna ormai si parla di futuri pensionati di 70 anni e più. La certezza del diritto non esiste. Come non esiste nessuna palla di vetro in cui leggere quanto sarà lunga davvero la nostra vita.

Ma se l’età della pensione è legata a calcoli attuariali che devono partire dai dati di cronaca, la cronaca è questa. E qualcuno deve rifare i calcoli.

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Ma l’Italia cresce o è in crisi? I commenti ai dati Istat

«Dobbiamo guadagnarcela la ripresa. La risalita sarà lenta e faticosa, come è stata la fuoriuscita dalla recessione. Ma non partiamo da zero perché gli anni del rallentamento ci hanno aiutato a cambiare, almeno un po’».

Sul Sole 24 ore si dice molto soddisfatto dei dati Istat l’editorialista Luca Ricolfi: “Finalmente le luci superano le ombre”, mentre sullo stesso giornale Giulio Gentili parla del lavoro da fare per una crescita. Sul Corriere della Sera (che apre con il titolo “Torna la crescita dopo tre anni”) Daniele Manca parla del “freno nascosto del Paese”, ma dice che comunque un doppio segnale positivo c’è. Anche Repubblica apre con la notizia dei dati Istat: “Torna la crescita, 70 mila posti in più, l’export spinge il Pil”, con un’analisi di Roberto Mania: “Quello che serve a una ripresa fragile”. Interessante il ragionamento di Mania: La crisi non è finita, meglio dirlo subito. Certo siamo usciti dalla lunga recessione, ma un Pil che aumenta dello 0,8%, che a prezzi costanti vuol dire aver prodotto una ricchezza sotto il livello del 2000, e un numero di disoccupati che sfiora i tre milioni non ci mettono al riparo da una possibile ricaduta. Questa è una ripresa fragile e forse non è neanche una vera ripresa, tant’è che dobbiamo fare i conti con l’insidiosa malattia della deflazione. Il Fondo monetario internazionale ha abbassato le previsioni della crescita mondiale dal 3,6 al 3,4 per cento e per noi che — per fortuna — siamo immersi nell’economia globale vuol dire che la strada è ancora tutta in salita, di scorciatoie non ce ne sono. Dobbiamo guadagnarcela la ripresa. La risalita sarà lenta e faticosa, come è stata la fuoriuscita dalla recessione. Ma non partiamo da zero perché gli anni del rallentamento ci hanno aiutato a cambiare, almeno un po’. E non è solo merito del governo in carica, che pure c’è. Se le esportazioni sono cresciute del 4,3 per cento è perché una quota significativa (almeno il 25 per cento) dei nostri imprenditori (in genere alla guida di gruppi di medie dimensioni) ha davvero imparato a vivere nei mercati internazionali. (…) Un pezzo del nostro apparato produttivo che ha funzionato nonostante una tassazione opprimente, nonostante una burocrazia a dir poco stupida, che nessun governo (al di là delle promesse o delle «chiacchiere, per dirla con il nostro presidente del Consiglio) è riuscito ancora a piegare. Sono questi capitalisti (e i loro dipendenti ) il perno della piccola ripresa. (…) Sul Messaggero Marco Fortis sostiene che con questi dati sarà più facile la trattativa con l’Europa sulla flessibilità. Sull’Unità scrive Ernesto Auci: “Siamo sulla strada giusta, il governo proceda senza esitazioni. L’economia si è rimessa in moto”. Su La Stampa scrive Roberto Giovannini: “L’offensiva di Renzi sui numeri. Gufi sconfitti, l’Italia è tornata” (p.2). Interessante l’approfondimento di Roberto Romano sul manifesto a proposito di competitività e di misurazioni. “Proprio perché l’evoluzione delle condizioni tecniche di produzione è necessaria per lo sviluppo – scrive Romano – le “condizioni tecniche” modificano costantemente l’organizzazione di una impresa e, quindi, l’intera economia. Questa dinamica (squilibrio) sostiene e cambia il contenuto del Pil e il mercato dei beni e dei servizi. Alla fine dobbiamo riconoscere a Sylos Labini una grande intuizione che non può essere formalizzata: in una analisi dinamica lo sviluppo economico è da riguardare, non semplicemente come un aumento sistematico del prodotto nazionale concepito come aggregato a composizione data ma. necessariamente. Come un processo di mutamento strutturale, che influisce sulla composizione della produzione e dell’occupazione e che determina cambiamenti nelle forme di mercato, nella distribuzione del reddito e nel sistema dei prezzi. ll rapporto dell’Istat rimane prezioso e unico, ma l’analisi e l’interpretazione dei fenomeni economici dipende dai modelli di riferimento utilizzati”. Molto critico su dati Istat il Fatto Quotidiano: “Propaganda. Le bugie di Renzi su lavoro e numeri dell’Istat. Il gioco delle tre carte sul +0,8% del Pil 2015”.

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