INCOSTITUZIONALI LE SANZIONI PER GLI AFFITTI IN NERO
La Corte Costituzionale, con la sentenza 50/2014 depositata il 14 marzo 2014, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dei commi 8 e 9 dell’articolo 3 del decreto legislativo n. 23/2011.
Si ricorda che in base ai riferimenti normativi suddetti, ora annullati, il legislatore, per ostacolare il fenomeno delle locazioni in nero, aveva introdotto una serie di pesanti sanzioni indirette che andavano ad incidere sul regolamento contrattuale, aggiungendosi alla sanzione della nullità civilistica del contratto non registrato prevista dall’art.1 comma 346 della L.311/2004.
In particolare l’art.3 comma 8 del DLgs.23/2011, prevedeva che il contratto di locazione di immobili abitativi non registrato nei termini doveva essere assoggettato ad una disciplina molto favorevole per l’inquilino e molto penalizzante per il proprietario. In sostanza, chi evadeva il fisco poteva essere “denunciato” dall’inquilino, che otteneva per quattro anni dal momento della registrazione (volontaria o d’ufficio) un affitto annuo bassissimo pari al triplo della rendita catastale con rinnovo tacito di altri quattro anni, salve specifiche ipotesi tassativamente previste dalla norma.
A norma del comma 9 del medesimo art.3, le sanzioni sopra illustrate si applicavano non solo in caso di mancata registrazione, ma anche ove nel contratto di locazione registrato fosse indicato un importo del canone inferiore a quello effettivo e ove fosse stato registrato un contratto di comodato fittizio.
Ora la Corte Costituzionale ha dichiarato tali disposizioni costituzionalmente illegittime per violazione dell’art.76 della Costituzione (c.d. vizio di eccesso di delega), ovvero perché il Governo non ha rispettato i limiti fissati dalla legge delega per l’esercizio del potere legislativo delegato che prevedeva, in questo contesto, esclusivamente l’introduzione di disposizioni per il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario e l’istituzione del fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale.
La sentenza in commento ha effetto retroattivo, ciò significa che i contratti “ridotti” in corso si estinguono automaticamente: è come se non fossero mai esistiti.
Se il contratto di locazione originaria era stato scritto e sottoscritto tra le parti ma non registrato ritorna ad essere valido: i proprietari dovranno quindi registrarlo (considerato che non l’avevano fatto a loro tempo) e l’autoriduzione del canone effettuata dall’inquilino in forza della legge ora annullata, risulterà essere illegittima costituendo quindi un’ipotesi di inadempimento; il proprietario avrà quindi la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto e la conseguente condanna al rilascio.
Nel caso in cui il conduttore avesse già riconsegnato l’unità abitativa, il proprietario potrebbe richiedere il pagamento delle somme che non ha conseguito a causa dell’illecita autoriduzione del canone previo esame dell’eventuale accordo transattivo che ha regolato la consensuale risoluzione del contratto, valutando se lo stesso accordo abbia avuto effetti novativi e o risolutivi della pretesa del locatore.
Se il contratto di locazione non era stato né scritto né sottoscritto tra le parti si è in presenza di un contratto verbale. In questo caso poiché la forma scritta è prevista per i contratti di locazione a pena di nullità, il proprietario non potrà agire in forza della locazione (che risulta non esistere) ma con una causa ordinaria contestando l’occupazione senza titolo e chiedendo la condanna dell’occupante al pagamento di una indennità di occupazione.
Se il contratto alla base dell’occupazione dell’immobile era un contratto di comodato fittizio ossia dissimulante la locazione, il rapporto giuridico resterà regolato dal comodato ed occorrerà agire in via ordinaria con un’azione di risoluzione del contratto alla sua scadenza e conseguente condanna al rilascio dell’immobile con la possibilità di richiedere una somma di denaro a titolo di indennità di occupazione a decorrere dalla scadenza del contratto di comodato.