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Infolampo: Globalstrike – Mezzogiorno

«Global strike for future», ci sarà anche la Cgil
“Saremo al fianco degli studenti impegnati in tutto il mondo venerdì 15 marzo. Occorre agire subito,
prima che sia troppo tardi”, spiega la vicesegreteria di corso d’Italia Gianna Fracassi
“Per rivendicare il diritto a un futuro su questo Pianeta, il 15 marzo, così come abbiamo fatto finora ogni
venerdì con il movimento ‘Fridays For Future’, saremo in piazza assieme agli studenti di tutto il mondo
per lo sciopero globale ‘Global Strike For Future’. Ribadiremo il nostro impegno a garantire una giustizia
climatica, attraverso: la contrattazione a tutti i livelli, il
confronto con il governo e con le amministrazioni locali,
le iniziative di lotta che verranno concordate dal
movimento sindacale globale”. Così la vicesegretaria
generale della Cgil Gianna Fracassi.
Per la dirigente sindacale “abbiamo solo undici anni per
cambiare radicalmente il modello di produzione e di
consumo per renderlo sostenibile dal punto di vista
climatico e sociale. Le conoscenze e le tecnologie per
tagliare drasticamente le emissioni di CO2 esistono già,
ma – sottolinea – manca la volontà politica di fare una
scelta per il futuro, definendo le misure strutturali
necessarie per una giusta transizione verso una società a
emissioni zero”. “Il tema della decarbonizzazione –
prosegue – deve guidare le scelte sugli investimenti e
indirizzare tutte le decisioni politiche, fiscali, industriali,
economiche, sociali affinché venga disinnescata la potente
bomba ad orologeria dell’incremento della temperatura
globale. Purtroppo non è così”.
“Nonostante gli impegni assunti dai vari Paesi a livello
globale non siano coerenti con l’obiettivo dell’accordo di Parigi, nessun governo ha deciso di alzare il
livello di ambizione di riduzione delle emissioni. Anche le ultime misure varate da questo esecutivo, dalla
legge di Bilancio fino al Piano nazionale integrato energia clima, non hanno il carattere di urgenza,
l’adeguatezza degli investimenti e l’ambizione necessari per rispondere alle indicazioni della scienza. A
fronte della colpevole inerzia dei governi solo un movimento per la giustizia climatica, sempre più forte e
globale, può costringere la politica a prendere atto che la giusta transizione non può essere rinviata.
Occorre – conclude la vicesegretaria generale della Cgil – agire subito, prima che sia troppo tardi”.
Leggi tutto: https://www.rassegna.it/articoli/global-strike-for-future-ci-sara-anche-la-cgil
«Global strike for future», gli
appuntamenti nelle Marche

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La desertificazione del Mezzogiorno
Questo intervento si articola in due parti. Nella prima parte mostreremo come il Mezzogiorno d’Italia
rappresenta l’epicentro di fenomeni che riguardano in paese nella sua interezza. Le differenze riscontrate
tra le due aree del paese – Nord e Sud – sono di livello, ma i dispositivi all’opera, quali la familizzazione
delle povertà e il carattere gerontocratico e patriarcale del mercato del lavoro per fare solo alcuni
esempi, sono del tutto uguali. Nella seconda parte argomenteremo che quando questo scarto supera una
certa soglia, come sta accadendo nel Mezzogiorno, esso diventa anche di tipo qualitativo e può produrre
conseguenze importanti sul piano della coesione sociale.
Scritto da: Enrica Morlicchio
Partiamo dai dati sulla diffusione della povertà. Come è noto nel Mezzogiorno vivono solo un terzo delle
famiglie italiane ma si concentra oltre la metà di quelle con consumi al di sotto della media italiana resa
equivalente in base alla dimensione familiare, famiglie cioè in condizione di povertà relativa. La tabella 1
ci consente di fare due ulteriori considerazioni. In primo luogo, nel Mezzogiorno l’incidenza della povertà
(cioè la diffusione della povertà all’interno di quella specifica tipologia familiare) è sistematicamente più
elevata sia rispetto al Centro-Nord che alla media italiana sia che si tratti di coppie con figli, famiglie
monogenitore o anziani che vivono soli o in coppia. In secondo luogo al Nord come al Sud sono sempre
le famiglie con figli a presentare tassi di diffusione della povertà più alti. Ciò significa che non siamo in
presenza di due distinti modelli di povertà, come si è talvolta sostenuto, caratterizzati rispettivamente al
Sud da una maggiore esposizione al rischio di povertà di anziani e madri sole e al Nord da famiglie
numerose con figli. ma di un modello con caratteristiche comuni in tutto il paese (e sostanzialmente simili
a quelle di altri paesi del Mediterraneo) che si manifesta in maniera più accentuata nel Mezzogiorno a
causa dell’intreccio di situazioni strutturali di svantaggio economico delle regioni interessate e di
caratteristiche socio-demografiche delle famiglie residenti (queste ultime fortemente legate alle prime).
Veniamo ad un altro fenomeno, il sempre più accentuato carattere gerontografico del mercato del lavoro
italiano, vale a dire la tendenza a preferire i lavoratori che nel dibattito sul mercato del lavoro degli anni
Settanta si definivano “nel fiore dell’età” rispetto a quelli più giovani (15-34 anni). Ebbene anche il
questo caso il confronto tra i grafici sottostanti, tratti dall’ultimo rapporto della Svimez, mostra come
negli anni cosiddetti della crisi, vale a dire il decennio 2008-2017, si è verificato un forte calo
dell’occupazione giovanile, sia nel Mezzogiorno che al Centro-Nord anzi con una più forte accentuazione
proprio nelle aree più ricche del Paese dove si partiva da livelli più alti. La conseguenza è che il tasso di

occupazione giovanile, che tiene conto anche dei contratti a termine, sia nel Mezzogiorno che nel Centro-
Nord è significativamente più basso di quello adulto (rispettivamente 28,5% e 48,1% a fronte del 52,5% e

del 73,3 dei lavoratori con più di 34 anni), segnalando l’esistenza di un comune fattore di espulsione dei
giovani dall’occupazione.
Il calo dell’occupazione giovanile è correlato ai processi di declino demografico e di intensificazione
delle partenze verso l’estero che stanno riguardando anche in questo caso tutte le aree del paese. E come è
noto si parte più dalle regioni centro-settentrionali che dal Mezzogiorno (nel periodo 2012-2017 più della
metà della emigrazione netta registrata riguarda le prime con una media annua di 33mila partenze nette).
Potremmo andare avanti con molti altri esempi, tratti da studi e ricerche di sicura affidabilità. Ma i dati
che abbiamo sin qui commentato sono già di per sé sufficienti per trarre alcune implicazioni di politica
sociale e economica. La prima implicazione riguarda la necessità di giungere alla definizione di un
quadro di riferimento comune, di standard condivisi e vincolanti, in tema di contrasto ai fenomeni
richiamati. Tale necessità trova un suo valido fondamento nella natura stessa dei problemi che si intende
affrontare che, come abbiamo visto, hanno carattere unitario, pur presentandosi con differenti livelli di
intensità nelle diverse aree del Paese. L’orientamento verso una immunizzazione tendente a separare le
regioni ricche, sottinteso virtuose, da quelle povere, quindi dissennate, equivale a pensare di poter guarire
da una malattia tagliandosi un arto. In particolare per ciò che riguarda i fenomeni citati, la garanzia di
condizioni di base perché una vita diventi “degna di essere vissuta”, per usare una espressione cara a
Amartya Sen, è questione di rilevanza tale da non poter essere soltanto prospettata come possibilità legata
alla ricchezza della regione di residenza, ma deve essere assicurata nel quadro di un sistema di
cittadinanza nazionale che non riproduca diritti differenziati territorialmente. In tal caso infatti non sono
in gioco servizi qualsiasi, ma tutte le prestazioni statali (a partire dalla sanità e dall’istruzione).
Nel caso si affermasse la concezione di un regionalismo differenziato, indifferente alle esigenze di
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