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Infolampo: Turni – Lavoro

Libertà di turno
La tecnologia aumenta la produttività e abbrevia le lavorazioni. Una parte di questo risparmio va
redistribuita alle persone. Occupazione e orari: anche in Italia si cominciano a contrattare riduzioni o
accordi per nuovi posti di lavoro
di Stefano Iucci
Lavorare meno, lavorare tutti. Uno slogan di qualche decennio fa, ma che rischia oggi, seppur articolato
in modo diverso, di tornare di strettissima attualità. Il perché è evidente per almeno due motivi. Il primo,
si spera, transitorio: c’è la crisi, il numero complessivo delle ore di lavoro diminuisce e, dunque, quello
che c’è si cerca di distribuirlo in maniera più equa. È il senso, questo, di tanti accordi di solidarietà che il
sindacato in questa fase è costretto a firmare per salvare posti
di lavoro. Ma sul piatto c’è ben altro: la tecnologia aumenta
la produttività, rende possibile fare in meno tempo ciò che
una volta richiedeva molto più lavoro. Cosa fare, dunque, di
questo tempo “liberato”?
È proprio qui che torna la vecchia contrapposizione tra
capitale e lavoro. “Una parte delle imprese sostiene che, visto
l’enorme aumento della produttività, servono meno lavoratori
e quindi punta a risparmiare sull’occupazione o, al contrario,
a mantenerla allo stesso livello, ma diminuendo il salario,
spiega Paolo Terranova, presidente di Agenquadri Cgil e da
anni attento ai temi dell’innovazione. Per lavoratori e
sindacati la prospettiva è un’altra. L'aumento di produttività
non è detto che debba essere tutto destinato all'incremento
del profitto, ma può essere redistribuito con una riduzione
dell’orario di lavoro. Si tratta di una sfida importante per la
contrattazione”.
La redistribuzione
Torna un tema chiave dell’azione sindacale: quello della redistribuzione. Negli ultimi decenni abbiamo
assistito a uno spostamento ingentissimo di risorse dal lavoro al capitale. Parliamo di circa 200 miliardi
all’anno. È una questione di giustizia: una parte va restituita ai lavoratori sotto forma di salario o di
tempo. E non è detto che i lavoratori scelgano per forza di cose il tempo. Ci sono fasi della vita in cui le
persone possano aver bisogno più di ore di vita che di denaro, e non solo perché hanno figli piccoli o
debbono assistere genitori anziani, ma anche per riappropriarsi di alcuni spazi, coltivare interessi e
relazioni che non trovano soddisfazione nel lavoro o sul mercato. “Diverse ricerche realizzate soprattutto
da sociologi statunitensi – aggiunge Terranova – studiano quali sono le componenti principali che rendono
felici le vite delle persone. Ebbene, ci sono delle soglie oltre le quali la quantità di reddito non è più la
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Lavoro. Per le under 35 il Sud Italia
è il posto peggiore d'Europa

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Lavoro e politica. Un’inchiesta sulle classi popolari
Chi è il popolo, cosa vuole, come si rappresenta. Inchiesta di un gruppo di ricercatori nelle periferie di
quattro grandi città, battute tra novembre e marzo attraverso focus group e interviste in profondità.
Risultati a tratti sorprendenti con una richiesta forte di intervento allo Stato ma non alla politica.
di Lorenzo Cini, Niccolò Bertuzzi
Nell’Italia degli anni post-crisi, le questioni del lavoro (mancanza o peggioramento delle condizioni),
della sanità (assenza di servizi o sempre più costosi) e della casa (degrado infrastrutturale o affitti non più
sostenibili) sembrano ancora rappresentare i problemi centrali vissuti quotidianamente dai settori popolari
della società. Questo è ciò che emerge da una ricerca realizzata da una rete di ricercatori e attivisti (“Il
Cantiere delle Idee”), che tra novembre e marzo hanno letteralmente girato l’Italia e visitato le periferie di
quattro città (Milano, Firenze, Roma e Cosenza) incontrando e intervistando circa 50 persone (tramite
focus group e interviste in profondità) per approfondire le condizioni sociali e il rapporto con la politica di
un ampio settore, quello con maggiori difficoltà economiche, della popolazione italiana.
Sabato 19 maggio dalle 10 alle 17 a Firenze (Palazzo Bastogi – Regione Toscana, Sala delle Feste, Via
Cavour 18), i/le ricercatori/ricercatrici e gli/le attivisti/e del Cantiere presenteranno pubblicamente i
risultati della ricerca in un evento significativamente titolato Popolo? Chi? Al lavoro per nuove idee,
partendo da un’indagine sulle classi popolari.
Il quadro che emerge dalle interviste è per molti aspetti inedito e sorprendente, e merita una seria e
approfondita riflessione da parte della classe politica, in particolare di quelle forze politiche che hanno
storicamente avuto nella funzione di rappresentanza del popolo e dei settori socialmente più svantaggiati,
la loro ragione di esistere.
Il lavoro – dicevamo – o meglio, la sua mancanza e/o la sua precarizzazione, sembra essere la questione
dirimente nel vissuto della larga maggioranza degli intervistati. Dal Nord al Sud, dalle periferie della
metropoli a quelle della città di provincia, non c’è nessuno che non abbia sottolineato le difficoltà
incontrate al lavoro (dall’intervistato/a medesimo/o e/o riferite ai suoi cari, vedi alla voce figli, amici e
genitori) come il problema principale delle loro vita. Fin qui, purtroppo, nulla di nuovo. Dieci anni di crisi
economica e, soprattutto, di soluzioni politiche inadeguate alla risoluzione di questi problemi non
potevano che generare e perpetrare questa generalizzata situazione di “povertà” lavorativa e sociale.
Il dato però sorprendente che emerge dalle interviste è la completa assenza della speranza di migliorare le
proprie condizioni di lavoro e sociali tramite il coinvolgimento in prima persona in organizzazioni,
sociali, sindacali o politiche, capaci, se non di rovesciare, almeno di modificare in meglio lo stato di cose
presente.
In altre parole, ciò che emerge dalla ricerca è la tendenza alla “privatizzazione” e alla
“individualizzazione” dei rapporti sociali e di lavoro e, soprattutto, dei problemi ad essi connessi. Sembra
che non ci sia più una diffusa consapevolezza tra le classi popolari che i problemi connessi alla propria
condizione lavorativa siano problemi sociali e, quindi in senso lato, politici, cioè capaci di essere
contrastati e risolti dal coinvolgimento personale in mobilitazioni collettive (intervistato Cosenza: “uno fa
così tanta fatica ad arrivare a fine mese che i pensieri te li porti nella tua sfera privata ed è difficile che ti
metti a pensare anche se sono cose che ti riguardano, però hai il pensiero di arrivare a fine mese, che alla
fine la sfera esterna te la senti scivolare addosso…”).
Adottando le categorie tradizionali della sociologia politica si potrebbe quasi dire che il quadro descritto
evidenzi un declino, se non proprio una vera assenza, di progetti e identità collettive con cui identificarsi,
a partire dalla materialità delle proprie condizioni di lavoro e di vita, per sovvertire i rapporti sociali
esistenti. Come ben sintetizzato da un intervistato romano: “L’aspetto più brutto, più triste, è che non ci
sono, o almeno non si avvertono, non si sentono progetti politici, di prospettiva, anche su base
ideologica”.
Questo quadro ci sembra quindi suggerire la fine delle identità sociali organizzate sul e dalla condizione
lavorativa, tratto caratterizzante della politica del Novecento, (il “non più”), e l’incapacità di prefigurare
cosa ci aspetterà nei prossimi anni (il “non ancora”).
La stessa tendenza individualizzante sottolineata parlando di mondo del lavoro, è stata riscontrata anche
rispetto alla dimensione politica. La disaffezione nei confronti della classe politica attuale, il tramonto
delle ideologie novecentesche e la scomparsa della frattura destra/sinistra sono elementi oramai
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