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Da Infolampo: Welfare – Appalti

altan_vignettaWelfare, un nuovo contratto sociale

Un programma di innovazione, coesione e rilancio anche economico e occupazionale del Paese dovrebbe

partire dall’obiettivo di ridurre il divario territoriale tra Nord e Sud nell’offerta pubblica di servizi.

Il welfare italiano funziona grazie all’interazione di tre componenti principali: il livello essenziale di

prestazioni, teoricamente garantito a tutti i cittadini, i servizi integrativi declinati in ambito regionale, e un

welfare locale di sussidiarietà o prossimità, rivolto alle

persone in vario modo non autosufficienti e alle loro famiglie.

La qualità e l’efficacia del sistema di welfare dipende da come

il soggetto pubblico (nazionale, regionale, locale) combina

queste tre componenti, affidandone la gestione a operatori

pubblici, privati, privati non profit, cooperazione sociale,

volontariato, famiglie.

Il sistema nazionale del welfare non è quindi diffuso su tutto il

territorio italiano con le stesse capacità di “presa in carico” o

con la stessa appropriatezza. Abbiamo welfare regionali in cui

prevalgono i servizi del sistema pubblico, altri in cui è

maggiore la quota di prestazioni erogata da soggetti terzi (laici

e religiosi), altri in cui anche le cure di assistenza primaria

sono demandate alle famiglie. Un programma di innovazione,

coesione e rilancio anche economico e occupazionale del

Paese dovrebbe partire da qui: dall’obiettivo di ridurre il

divario territoriale del welfare e rendere più certo ed esigibile

il “contratto sociale” da parte di tutti i cittadini, almeno per i

settori essenziali del socio-sanitario, dell’istruzione e del lavoro.

Al contrario, i vincoli europei sul pareggio di bilancio e le politiche italiane di taglio dei trasferimenti alle

Regioni e ai Comuni stanno ridimensionando ovunque l’offerta pubblica di servizi di welfare. I bisogni

sociali crescono (la disoccupazione, le nuove povertà, l’invecchiamento), ma sempre più spesso i cittadini

rinunciano a ricorrere ai servizi, specie nel Mezzogiorno, per costi e inefficienze. Per contrastare queste

tendenze, la Cgil e lo Spi si propongono di rilanciare la contrattazione sociale territoriale sul welfare (in

100 città e 20 regioni), come strumento di una riorganizzazione dei servizi e creazione di nuovo lavoro.

Negli ultimi anni è andata crescendo una quarta componente del welfare, quella cosiddetta “contrattuale”

o “aziendale”, che eroga prestazioni ai lavoratori dipendenti e alle loro famiglie, senza passare per la rete

pubblica. Il welfare contrattuale è incentivato fiscalmente dalle leggi dello Stato, sostenuto dalle imprese,

che lo considerano una forma indiretta di salario, ben accolto dalle compagnie di assicurazioni e dai

professionisti socio-sanitari privati. Anche nel recente documento di Cgil, Cisl e Uil sulle nuove relazioni

industriali si cita il welfare contrattuale come una delle materie cui rivolgere sia la contrattazione

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Ottusa burocrazia

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Codice appalti: «Il governo cambia le carte in tavola»

Martini (Cgil): tra le modifiche peggiorative quella che riguarda le clausole sociali, “la cui applicazione

è lasciata alla volontà delle stazioni appaltanti”. Camusso: “Molto seccati”. Fillea: cancellati gli

avanzamenti nel confronto con le parti

Sembrava una buona legge, poi, come spesso capita è arrivato il “colpo di mano” del governo, che ha

stravolto alcuni dei contenuti previsti dal nuovo Codice degli appalti. “Avevamo espresso un

apprezzamento per il testo proposto dalle commissioni parlamentari competenti, ma quello pubblicato

nella Gazzetta Ufficiale contiene delle modifiche che ci costringono a dare ora un giudizio negativo su

merito e metodo delle stesse”. Così Franco Martini, segretario confederale della Cgil.

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Il 27 aprile sciopero concessionarie autostradali

SPECIALE: Appalti, la campagna Cgil

Sono tre i punti che contesta la Cgil e che nel giudizio del sindacato sono stati peggiorati dall’azione

dell’esecutivo. “Per prima cosa – spiega – si prevede l’obbligatorietà dell’indicazione in sede di offerta

della terna dei subappaltatori solo per gli appalti sopra soglia comunitaria, quando è noto a tutti che l’80%

dei contratti riguarda appalti al di sotto del milione di euro”.

“Critichiamo poi fermamente – prosegue il dirigente sindacale – la modifica apportata alle previsioni

riguardanti le clausole sociali per la stabilità occupazionale: si lascia alla volontà delle stazioni appaltanti

la facoltà di applicarle o meno, quando è essenziale, invece, che la esigibilità delle stesse clausole sia

certa e non aleatoria”.

Il terzo punto negativo sottolineato da Martini consiste nel “non aver recepito l’accordo tra le categorie

sindacali delle costruzioni e il Mit per quanto concerne la salvaguardia occupazionale dei lavoratori

impegnati nelle concessioni autostradali”. Il segretario confederale della Cgil contesta anche il metodo

utilizzato dal Governo, che da un lato “ancora una volta non ha tenuto conto del parere delle commissioni,

frutto del proficuo confronto con le parti direttamente impegnate e interessate al settore appalti” e

dall’altro “non ha rispettato un accordo sottoscritto con un ministero”.

“Proseguiremo quindi nell’azione sindacale affinché, per quanto concerne i decreti attuativi e le stesse

linee guida, i tempi di approvazione siano celeri, e per evitare che lo stesso Codice non venga

ulteriormente svuotato di significato”, conclude Martini.

“Siamo molto seccati perché é stato dato l’ annuncio di accoglimento di norme che non appaiono nel testo

della Gazzetta ufficiale” sugli appalti. Lo ha affermato il segretario generale, Susanna Camusso, all’Ansa.

“Ciò che è stato raccontato come rispondente ai problemi posti dalle organizzazioni sindacali – ha

osservato – viene invece tradito. Trovo davvero inqualificabile un comportamento di questo tipo, che

dimostra la solita non sussidiarietà del governo rispetto ai problemi del lavoro e neanche il minimo

rispetto dell’interlocuzione e degli impegni che si assumono”.

Durissimo anche il giudizio della Fillea, il sindacato delle costruzioni della Cgil. “Sembra che in

Consiglio dei ministri sia accaduto qualcosa di insolito: è entrato un testo del disegno di legge di riforma

del Codice degli Appalti e ne è uscito un altro, cancellando proprio gli avanzamenti fatti nel confronto

parlamentare e con le parti sociali in materia di qualità e trasparenza degli appalti nel sistema delle

costruzioni, con la sola eccezione positiva del ripristino del limite del 30% per i subappalti”. È quanto

afferma il segretario generale, Walter Schiavella,, secondo il quale “tutto ciò è molto grave, perché

rappresenta un’ombra pesante su un provvedimento che, nel suo complesso, fa un passo in avanti nella

direzione di mettere ordine e regolamentare il sistema degli appalti.”

Un’ombra che per Schiavella evidenzia “incoerenza con i principi di rendere più trasparente il mercato e

più qualificate le imprese. Infatti, le principali variazioni rispetto al testo entrato in Cdm riguardano una

fascia di appalti fondamentale nel nostro settore, quello delle opere di importo inferiore a 1 milione di

euro. Su questo punto il testo licenziato dal Cdm ha fatto pericolosi arretramenti, sia sul sistema di

affidamento che su quello della qualificazione delle imprese, che resta appannaggio esclusivo delle Soa,

quindi escludendo la possibilità che le stazioni appaltanti possano richiedere altri requisiti, come la storia

di impresa o lo storico dei contenziosi”.

Ma, dulcis in fundo, continua il sindacalista “si autorizza il ricorso alle gare con il massimo ribasso per

opere di importo inferiore a 1 milione di euro – che rappresentano l’80% del mercato – contrariamente a

quanto chiesto con forza dalle commissioni parlamentari che avevano fissato tale limite a 150 mila euro”.

“Siamo di fronte ad un colpo di mano senza precedenti, che sacrifica la trasparenza e la qualità sull’altare

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