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Petrolio a 42$, Brent a 50$, ma la benzina alla pompa è sempre cara

000carobenzinaDal disastro del Vajont del 1963 all’alluvione di Firenze del 1966, passando per il terremoto del Belice del 1968 fino ad arrivare, più recentemente, al finanziamento del Fondo unico per lo Spettacolo (Fus), l’emergenza immigrati e l’alluvione in Lunigiana. Ecco a cosa contribuiamo, almeno in parte, quando acquistiamo un litro di benzina e gasolio. Nonostante il calo del prezzo del petrolio, che ieri è sceso ai minimi sfondando quota 42 dollari al barile (41,81 dollari) e negli ultimi 12 mesi si è praticamente dimezzato, in Italia il costo dei carburanti ha avuto una flessione modesta. Complice, oltre ai costi di produzione, anche l’alta tassazione nazionale: si pensi che dal 2011 a oggi le tasse sul carburante (le cosiddette accise) sono cresciute dal 29,1% al 46%.

In Italia la differenza tra il prezzo industriale della “verde” e quello finale rimane particolarmente alta: stando ai dati del ministero dello Sviluppo economico, il prezzo industriale è di circa 0,562 euro al litro, in linea con la media europea (0,561); mentre il prezzo finale si attesta sui circa 1,649 euro al litro. Le compagnie petrolifere, dal canto loro, si difendono dall’accusa del mancato ribasso continuando a evidenziare gli alti costi per la raffinazione del prodotto. Comparto in grandissima sofferenza in tutta Europa. Nella penisola, però, la contrazione è ancora più accentuata se si considera che sono ormai lontani i tempi d’oro quando, negli anni ‘70, la capacità produttiva era più del doppio di quella attuale ed erano ben 34 le strutture funzionanti (oggi sono 12).

Alla crisi del settore hanno contribuito un costante calo dei consumi (-36% nell’ultimo decennio) e la mancanza di economicità – secondo le compagnie – dell’attività di raffinazione, che ha portato negli ultimi anni alla chiusura di 5 stabilimenti, di cui 3 trasformati in depositi (quello a Cremona di Tamoil, quello romano di TotalErg e quello mantovano di Ies).