Salari minimi e la Corte di Giustizia Europea
La direttiva UE sui salari minimi verso l’annullamento? Il parere dell’Avvocato generale riaccende il
dibattito sulle competenze europee. L’Avvocato generale della Corte di Giustizia UE contesta la legittimità
della normativa del 2022: “L’Unione ha superato i propri limiti in materia di retribuzioni”. Sindacati
preoccupati, imprenditori favorevoli. Il futuro del lavoro in Europa è a un bivio. La Direttiva (UE) 2022/2041
sui salari minimi, approvata nell’ottobre 2022 come uno dei pilastri della politica sociale dell’Unione, è ora
al centro di una controversia giuridica destinata ad avere ripercussioni significative. Il 16 gennaio 2025,
l’Avvocato generale della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Richard de la Tour, ha espresso un parere
che potrebbe cambiare le sorti della normativa: secondo la sua analisi, l’UE avrebbe superato le
competenze conferitele dai trattati intervenendo in un ambito – quello delle retribuzioni – riservato agli
Stati membri.
La direttiva, promossa dalla Commissione von der Leyen, intendeva fissare criteri minimi per garantire
salari dignitosi in tutta l’Unione, specialmente nei Paesi dove non esistono già sistemi consolidati di
contrattazione collettiva. L’obiettivo era duplice: rafforzare la dimensione sociale del mercato unico e
contrastare il dumping salariale all’interno dei confini europei. Tuttavia, fin dalla sua adozione, il testo
aveva suscitato perplessità. I governi di alcuni Paesi membri, tra cui Polonia e Ungheria, avevano
presentato ricorsi presso la Corte di Giustizia contestando la base giuridica della direttiva. Il punto critico è
l’articolo 153, paragrafo 5, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), che esclude
esplicitamente la regolamentazione diretta delle retribuzioni dal campo d’azione dell’Unione. Secondo
l’Avvocato generale, la Commissione avrebbe quindi travalicato i propri poteri.
Pur trattandosi di un parere non vincolante, la posizione di de la Tour è particolarmente rilevante, poiché
spesso anticipa l’orientamento finale della Corte. Se i giudici dovessero confermare questa impostazione,
la direttiva verrebbe annullata, infliggendo un duro colpo alla Commissione e alla visione di un’Europa più
sociale. Le reazioni al parere non si sono fatte attendere. Le organizzazioni sindacali europee, in primis la
Confederazione Europea dei Sindacati (CES), hanno espresso forte preoccupazione: “Senza un quadro
comune europeo – hanno dichiarato – milioni di lavoratori rischiano di restare senza tutele adeguate”. In
Italia, la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein e il leader della CGIL Maurizio Landini hanno
lanciato l’allarme: “La direttiva è uno strumento fondamentale per contrastare la precarietà e ridurre le
disuguaglianze”. Sul fronte opposto, associazioni imprenditoriali e diversi governi di orientamento
conservatore hanno salutato con favore la posizione dell’Avvocato generale. Per loro, si tratta di una difesa
del principio di sussidiarietà e della sovranità nazionale in una materia sensibile come il salario minimo.
Alcuni economisti, pur riconoscendo le finalità sociali della direttiva, hanno sollevato dubbi sulla sua reale
efficacia, sottolineando la mancanza di meccanismi vincolanti che obblighino gli Stati a fissare soglie
minime adeguate. Altri osservatori, invece, ritengono che la direttiva avrebbe potuto rappresentare un
primo passo verso una maggiore convergenza sociale in Europa. Ora, la palla passa alla Corte di Giustizia,
che dovrà pronunciarsi definitivamente nei prossimi mesi. Se confermerà l’annullamento, la Commissione
potrebbe tentare di riformulare il provvedimento basandosi su altre competenze, ad esempio legandolo
alla libera circolazione dei lavoratori o alla lotta alle disuguaglianze sociali, ma si tratterebbe comunque di
un percorso più complesso e politicamente delicato.
L’Europa, insomma, si trova davanti a un bivio: rafforzare la propria capacità di agire nel campo dei diritti
sociali oppure riaffermare i limiti delle istituzioni comunitarie lasciando agli Stati membri piena autonomia
nella regolazione del lavoro. La decisione della Corte sarà determinante non solo per il futuro della
direttiva, ma per l’intero impianto dell’integrazione europea in ambito sociale.
Silvia Spattini, Ricercatrice ADAPT, ha dichiarato: “Secondo l’Avvocato generale, la direttiva
rappresenterebbe un’interferenza con le competenze nazionali in materia di retribuzione, come
chiaramente stabilito dall’articolo 153, paragrafo 5, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea
(TFUE), che esclude esplicitamente la regolamentazione delle retribuzioni dalle competenze dell’Unione. Se
la Corte seguirà queste conclusioni, gli Stati membri non saranno più vincolati agli obblighi derivanti dalla
direttiva, con possibili impatti sulle disposizioni nazionali già adottate.”
MAURIZIO DONINI