In questa situazione di grave incertezza, il rapporto Draghi sulla competitività – pubblicato lo scorso 9 settembre – è arrivato come una doccia fredda per i governi e le istituzioni europee. Il messaggio è chiaro: l’Europa non è in crisi, ma in declino. Le debolezze sono molteplici: incapacità di innovare nei settori tecnologici d’avanguardia, scarsa efficienza nell’approvvigionamento delle risorse necessarie per la crescita, frammentazione del mercato dei capitali e del sistema bancario. Le cause di questi problemi vanno ricercate in due deficit strutturali dell’attuale Unione: l’assenza di un’autorità politica in grado di portare avanti l’interesse comune europeo al di là dei singoli veti nazionali e l’incapacità di mobilitare risorse sufficienti per l’innovazione e lo sviluppo economico. Così, divisa al suo interno e incapace di decidere in modo efficiente, l’Unione sta perdendo la sua competitività in confronto con le altre grandi potenze globali, Stati Uniti e Cina in primis. Tutto ciò si traduce in una lenta, ma costante perdita di benessere, sicurezza e coesione sociale, con gravi ripercussioni sulla tenuta del tessuto democratico negli Stati membri.
Fin qui la diagnosi. Draghi però offre anche la soluzione: il declino dell’Europa non è irreversibile. Il potenziale dell’Unione è ancora immenso e la strada perduta potrebbe essere facilmente recuperata se venissero attuate alcune riforme necessarie in grado di far fare un salto di qualità al processo di integrazione. La parola d’ordine è “sussidiarietà”. L’Europa deve agire unita tutte le volte che serve, il che richiede una coesione più stretta su tanti piani politici interdipendenti: spesa pubblica, politiche ambientali, investimenti in ricerca e sviluppo, sostegno all’industria, approvvigionamento energetico e politica estera sono cose da fare insieme in una prospettiva europea. Perché ciò sia possibile bisogna introdurre nell’Unione le necessarie trasformazioni istituzionali, essenzialmente superando il sistema di voto all’unanimità nel Consiglio e rafforzando il ruolo del Parlamento europeo e della Corte di giustizia in quegli ambiti dove sono ancora esclusi o svolgono un ruolo minore. Ciò richiede una riforma generale dei Trattati. In alternativa, Draghi propone riforme dei Trattati in forma semplificata (attraverso le clausole passerella) o, in mancanza dell’unanimità necessaria, tentare la via delle cooperazioni rafforzate o degli accordi intergovernativi tra gruppi di governi. Il messaggio è chiaro: la riforma dell’Unione è così urgente da richiedere il superamento del quadro costituzionale esistente anche a costo di procedere con un gruppo di Paesi volenterosi. L’Europa dovrebbe cioè essere riorganizzata su più livelli di integrazione con un nucleo politicamente coeso in grado di reggere la competizione globale. Il rapporto Draghi è stato accolto con molta attenzione dalle istituzioni UE e dai governi nazionali, i quali, per la maggior parte e a parole, hanno concordato con la diagnosi e sul da farsi.
|