Attualità a cura di Maurizio Donini

Il barometro politico di giugno 2023 – nel nome di Silvio

Silvio Berlusconi ci ha lasciato, resta un’eredità pesante, nelle sue varie declinazioni ancora tutta da
decifrare. Una settimana lutto nazionale che si spiega solo con la necessità della Meloni a ergersi a erede
designate dei voti forzisti, come a capire da quale parte cadranno i parlamentari eletti nelle file di FI. Sono
tanti i colonnelli, la silenziosa Fascina, simil-sposa priva del consorte regnante che potere potrà ancora
contare? La Roccella a suo tempo esautorata e invisa a tanti resterà nel dimenticatoio? E Tajani, forse il più
accreditato, riuscirà a diventare, in maniera definitiva, il nuovo conducente del vaporino forzista? Sempre
l’elettorato continui a premiare il prodotto berlusconiano privo del DNA primigenio.
Anche se non si augura mai la morte a nessuno, anche per rispetto dei parenti, legittimo è chiedersi se un
appartenente alla loggia P2, pregiudicato, privo degli attributi di onorabilità, sia giusto concedergli gli onori
dei funerali di stato. Per fermarsi ai fatti, il dominus della tv è stato condannato per frode fiscale in via
definitiva, sottoposto a 173 procedimenti giudiziari, per limitarsi a una sola condanna, si è avvalso di tutti i
mezzi in suo potere, ottenendo la prescrizione per finanziamento illecito, corruzione, falso in bilancio,
divulgazione di segreti, l’amnistia per falsa testimonianza e appropriazione indebita; si è avvalso della
depenalizzazione per falso in bilancio. Ancora, archiviazione per peculato, abuso d’ufficio, maltrattamenti,
diffamazione a mezzo stampa, ancora corruzione, concorso esterno in associazione mafiosa e riciclaggio,
concorso nelle stragi del 1992 e 1993. Ammettiamo che ci sono state anche delle assoluzioni nella mole di
processi cui il magnate di Arcore è stato sottoposto.
Mai negati i rapporti di amicizia con Craxi, meno noti ufficialmente le presunte sponde del leader socialista
per la nascita di Milano 2, i finanziamenti necessari, così come i suoi rapporti con ambienti mafiosi, mai
dimostrati per vie giudiziarie, richiamano i nomi di Mangano e Bontate, più che certi i suoi legami con
Marcello Dell’Utri, condannato nel 2014 a 7 anni di reclusione per concorso esterno in associazione
mafiosa.
Invece del tanto strillato milione di posti di lavoro, il cavaliere ha fatto schizzare il debito pubblico in misura
più che doppia rispetto agli esecutivi guidati dai suoi avversari; registrando un incremento complessivo del
debito pubblico del 13,5%, di gran lunga superiore al 5,1% contato sotto la guida degli altri quattro primi
ministri: Lamberto Dini, Romano Prodi (due volte), Massimo D’Alema e Giuliano Amato. Una massa di
debito necessaria a realizzare il consenso popolare attorno alla sua figura, ma seppellendo l’Italia e le
generazioni future sotto una montagna di debiti e interessi.
Oltre i fatti bisognerebbe considerare sugli aspetti sociali del fenomeno, l’avere sdoganato un modo di fare
politica elevando il bunga-bunga a ruolo diplomatico, tra belle ragazze giovani e nipoti di leader politici,
rivelatesi poi solo dei passatempi utili all’elegia di una repubblica delle banane e a gag per chi ci guarda
dall’estero.
MAURIZIO DONINI