slider

La Sea Watch tra decreto sicurezza e norme internazionali, da Dublino a Montego Bay

La vicenda Sea Watch impone tutta una serie di valutazioni sul fenomeno migratori che va ben
oltre i proclami totalmente privi di fondamento fatto da un Ministro incompetente come Salvini
che basa la propria presenza semplicemente sul fomentare odio e divisioni sociali.
Innanzitutto è doveroso ricordare come l’accoglienza dei migranti non avvenga in base ad un
Trattato Europeo, ma ad una Direttiva che si basa sul Regolamento di Dublino, nella sua ultima
estensione 3, liberamente sottoscritto dagli stati aderenti (tra cui l’Italia. La CONVENZIONE DI
DUBLINO fu firmata il 15 giugno 1990, ed entrò in vigore il 1 settembre 1990 con l’adesione di
Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna
e Regno Unito. Il 1 ottobre 1997 per Austria e Svezia, ed il 1 gennaio 1998 per la Finlandia. Lo
scopo della Convenzione era di stabilire criteri e meccanismi volti a determinare lo Stato membro
competente per l’esame di una domanda di asilo internazionale presentata in uno degli Stati
membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide. Pilastro fondante dell’accordo era il
rispetto della Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato del 1951 oltre gli altri obblighi
internazionali in materia.
Il diritto di asilo è un concetto giuridico per cui una persona perseguitata nel suo paese d’origine
può essere protetta da un’altra autorità sovrana, un paese straniero, o un santuario religioso
(come nel medioevo). Questo diritto ha le sue radici in una lunga tradizione occidentale, anche se
era stato già riconosciuto da Egiziani, Greci, Romani ed Ebrei. Tutti gli stati, in qualsiasi epoca,
hanno offerto protezione e immunità a stranieri perseguitati. Dublino III determina lo Stato
membro dell’Unione europea competente a esaminare una domanda di asilo o riconoscimento
dello status di rifugiato. Il regolamento mira a determinare con rapidità lo Stato membro
competente e prevede il trasferimento di un richiedente asilo in tale Stato membro. Uno degli
obiettivi che ci si pone è che ad esaminare la domanda di asilo sia lo Stato destinazione del
richiedente, questo dovrebbe impedire ai richiedenti asilo di presentare domande in più Stati
membri.
Di seguito evidenziamo quali sono i diritto sul mare che sono sovranazionali e vanno oltre le
disposizioni dei singoli stati, a regolamentare tutto questo è l’UNCLOS (United Nations Convention
on the Law of the Sea), il risultato di circa 14 anni di lavoro che hanno coinvolto più di 150 Paesi e
che si sono conclusi con la firma durante la conferenza delle Nazioni Unite svoltasi a Montego Bay
(Giamaica) il 10 dicembre 1982, successivamente ratificata in Italia con la legge 2 dicembre 1994
n.689. Il principio della Convenzione di Montego Bay è rivolto al superamento della vecchia
dottrina che recitava la libertà dei mari, si è quindi passati dal mare di nessuno al mare di tutti. Il
principio risalente al XVII concepito dal giurista olandese Cornelius van Bynkershoek e fondato sul
‘colpo di cannone’, consistente nel definire quindi un limite di acque territoriali di 3 miglia
risultava superato dalle problematiche moderne.
Dal diritto di pesca allo sfruttamento delle risorse sottomarine, ma anche i doveri in caso di
soccorso in mare, alla luce dei crescenti movimenti migratori sui mari, tutto questo necessitava di
un nuovo ordinamento giurisdizionale organico. Le Convenzioni internazionali, al pari dei
Regolamenti europei, costituiscono un limite alla potestà legislativa dello Stato e, in base agli
art.10, 11 e 117 della Costituzione, il diritto internazionale e le Convenzioni internazionali
sottoscritte dal nostro Paese non possono essere derogati da scelte discrezionali dell’autorità
politica. Questo implica che il diritto internazionale di soccorso sui mari e l’art. 33 della

Convenzione di Ginevra si pongono ad un livello superiore a quello delle norme emanate dai
singoli stati ed impongono il SAR in un luogo sicuro (place of safety).
Tirando le somme la Convenzione UNCLOS (“Ogni Stato deve esigere che il comandante di una
nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a
repentaglio la nave, l’equipaggio o i passeggeri: a) presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in
condizioni di pericolo; b) proceda quanto più velocemente è possibile al soccorso delle persone in
pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto, nella misura in cui si può
ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa”) obbligava la Sea Watch e Carola Rackete a
soccorrere i migranti, fatto ancor più dovuto in base al normato della Convenzione internazionale
sulla ricerca e il soccorso in mare (SAR) e della Convenzione SOLAS, la quale impone che “Il
comandante di una nave in navigazione che riceve un segnale da qualsiasi provenienza indicante
che una nave o un aereo o loro natanti superstiti si trovano in pericolo”, alla massima velocità
possibile.
Il concetto di ”acque territoriali” invocato dal decreto sicurezza, (ricordiamo che non è solo di
Salvini, ma anche di Toninelli e Trenta, esponenti di un Movimento 5 Stelle sempre più lontano
dagli ideali costitutivi) è fondato su un assunto normativo che esiste solo nella testa del trio
Salvini-Toninelli-Trenta. La convenzione SAR di Amburgo del 1979 prevede che gli sbarchi delle
persone soccorse in mare debbano avvenire nel “porto sicuro” più vicino al luogo del soccorso, nel
caso della Sea Watch non certo in Olanda, nel caso Acquarius non certamente a Panama. Il
decreto sicurezza avrebbe fondato nel solo ipotetico caso che la nave violasse il legalissimo diritto
di passaggio, assolutamente possibile se inoffensivo da parte delle navi straniere, “sia per
traversarlo, sia per entrare nelle acque interne, sia per prendere il largo provenendo da queste, e
purché il passaggio sia continuo e rapido. Il passaggio è da considerarsi inoffensivo finché non reca
pregiudizio alla pace, al buon ordine o alla sicurezza dello Stato costiero”. Nel caso della Sea Watch
come di altre navi, l’invocazione del divieto di accesso alle acque territoriali varrebbe solo nel caso
che si ritenga che 42 migranti stanchi, malati e malnutriti, possano rappresentare un ‘pericolo alla
sicurezza nazione’ di uno stato che dispone di un esercito di professionisti, di forze dell’ordine con
armi pesanti e navi da guerra, di portaerei, aerei d’attacco e dotazioni belliche all’avanguardia.
MAURIZIO DONINI