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Infolampo: Patria – SSN

Patria e famiglia
Il nemico fuori di noi, la famiglia tradizionale dentro di noi. E una politica economica che premierà i più
ricchi. L’inedito mix del populismo di governo in Italia riscuote consensi, spaventa e disorienta. Ecco
perché si può capire – e fare – qualcosa partendo dalle donne. E dal nuovo ministro della famiglia
di Roberta Carlini
Le donne, gli omosessuali e gli immigrati, sono stati i primi bersagli delle dichiarazioni rilasciate dalla
nuova squadra di ministri appena salita in carica. In attesa dei primi provvedimenti concreti, nei quali si
potrà leggere la distanza tra le parole e i fatti, l’esordio del nuovo
governo ha un messaggio netto, che smentisce una falsa
contrapposizione tra chi ha a cuore i diritti sociali e chi le
conquiste civili, e mostra invece una linea continua tra questioni
sociali e civili all’insegna della difesa e della chiusura. Per questo
è utile leggere l’arrivo al governo, per la prima volta in uno dei
paesi fondatori dell’Europa, delle forze politiche che vanno
genericamente sotto il nome di “populiste” – e il cui arco può
essere tracciato con una lunga gittata che va da Trump a Orban –
sotto il segno del nuovo Ministero della famiglia e della
disabilità.
La visione dei rapporti tra uomini e donne e del ruolo che queste
hanno nella società non va letta solo nella conta (misera) delle
ministre, né solo in quella sceneggiatura tutta maschile che si è
svolta nei quasi novanta giorni della crisi – sceneggiatura, va
detto, che su questo versante è stata identica anche per le forze di opposizione, a dispetto della propria
storia e dei propri principi. Né solo nei programmi messi per iscritto nel contratto, dove già era evidente
la concezione del lavoro di cura come delega esclusiva alle donne. È nelle intenzioni e nella stessa
ontologia del nuovo animale politico che sta nascendo in larga parte del mondo occidentale e che
possiamo chiamare la nuova destra – anche gran parte dei suoi protagonisti e sostenitori ritiene la
categoria obsoleta, novecentesca).
Ne è prova eclatante il nuovo ministero. La nomina di un ministro che ha preso posizioni contrarie
all’aborto, ai gay, alle nuove famiglie, sembra una sfida invece è una cartina di tornasole. Non si è potuto
mettere un “no-euro convinto” all’economia, si può mettere una sentinella della tradizione alla famiglia. È
solo fumo, o ci saranno conseguenze concrete?
Questa filosofia non è solo l’ennesimo backlash di rifiuto del cambiamento. È un corollario della richiesta
di protezione che accomuna il fronte populista anti-sistema, reagisce ai grandi shock derivanti dalle
trasformazioni sociali e dalle ferite economiche (post crisi, globalizzazione, innovazione tecnologica,
migrazioni), in nome della paura e della difesa, il più delle volte da un nemico esterno. Già altrove le
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Istat: Cgil, dati evidenziano
debolezza sistema produttivo

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Rilanciare la discussione pubblica per rilanciare il
Servizio Sanitario Nazionale
In un bell’articolo del 2004 (“Privatizing Risk without Privatizing the Welfare State: The Hidden Politics
of Social Policy Retrenchment in the United States”, American Political Science Review) Jacob Hacker
richiama l’attenzione su come una pluralità di piccoli cambiamenti nascosti e apparentemente di poco
conto, accumulandosi nel tempo, possa portare a un radicale ridimensionamento delle politiche sociali,
pur in assenza di qualsiasi cambiamento formale nella loro struttura. A meno di un cambio di rotta da
parte del nuovo governo, questo rischia di essere il destino – che Hacker definisce di policy drift (deriva
delle politiche) – di una delle principali istituzioni del nostro stato sociale, il Servizio Sanitario
Nazionale, istituito esattamente quaranta anni fa.
Scritto da: Elena Granaglia
La richiesta di uno smantellamento esplicito del SSN non è, infatti, all’ordine del giorno. Corroborati
dalle reiterate affermazioni circa l’insostenibilità della spesa sociale, sono, però, all’opera diversi processi
sotterranei che rischiano di pregiudicarne l’esistenza. Appoggiandomi al bel libro di Marco Geddes (La
salute sostenibile, Il Pensiero Scientifico, 2018), ne vorrei richiamare due.
Il primo processo concerne il de-finanziamento del SSN. Limitare una tantum il finanziamento potrebbe,
nel breve, non avere alcun effetto sulla qualità delle prestazioni offerte. Addirittura, potrebbe trovare
giustificazione nel condivisibile obiettivo della riduzione degli sprechi – dunque, di fare funzionare
meglio il servizio sanitario pubblico. Se, anno dopo anno, si continua, però, a non investire in modo
adeguato, l’effetto cumulato diventa quello opposto di un peggioramento. Un servizio mal funzionante
costituisce un atout formidabile per difendere, nel futuro, una modifica esplicita: il ridimensionamento del
SSN a favore della sanità privata. Il timore è che il nostro SSN si stia avvicinando a questa situazione.
Nell’ultimo periodo, la spesa sanitaria pubblica ha, sì, registrato qualche incremento in termini nominali.
Nel 2011, come documenta Geddes, essa era pari a 112,8 miliardi di euro, mentre nel 2016 è salita a
115,8 miliardi. Diverso è, però, l’andamento in termini reali e gli importi appena richiamati rappresentano
tagli rispetto alle previsioni tendenziali espresse nei diversi Documenti di Economia e Finanza Pubblica
(DEF) relativi a quegli anni. Il grosso dell’incremento realizzato concerne poi la spesa farmaceutica, in
particolare, per i farmaci oncologici e i farmaci cosiddetti innovativi. Tale spesa è aumentata dell’8% fra
il 2013 e il 2016 e ha ancora assorbito quasi tre quarti dell’incremento della spesa per il SSN verificatosi
nel 2017. Per il personale, il de-finanziamento si è, invece, associato a un’altra misura nascosta, il blocco
del turnover e, per il personale non medico, al ricorso crescente a esternalizzazioni caratterizzate da
minori retribuzioni e turni di lavoro più faticosi (cfr. il caso degli infermieri).
Oggi comunque ci troviamo a spendere in media circa il 25% in meno della Gran Bretagna, un paese,
simile al nostro per dimensioni del PIL, dove, però, le prese di posizioni sui rischi di tracollo del National
Health Service sono all’ordine del giorno. Nel 2016, la Gran Bretagna aveva una spesa pubblica pro
capite pari a 3320 dollari Usa, mentre per l’Italia il valore era pari a 2545. La spesa pubblica pro capite in
Francia e in Germania era rispettivamente 3626 e 4695 euro.
L’ultimo DEF accentua ulteriormente la strategia del de-finanziamento: anche la spesa tendenziale cessa
di crescere. Nel 2020, dovrebbe scendere al 6,2% contro il 6,6% odierno. Il de-finanziamento avviene,
peraltro, in una situazione in cui i cambiamenti demografici, l’aumento delle malattie croniche, lo
sviluppo tecnologico e le aspettative crescenti di cura congiurano tutti verso l’incremento della spesa. Il
che rappresenta un altro limite delle posizioni secondo cui contrastare gli sprechi che ancora esistono
garantirebbe l’adeguatezza del finanziamento attuale.
Al de-finanziamento si è poi accompagnato il potenziamento, grazie alle agevolazioni fiscali, della sanità
complementare. Anche tale potenziamento, a prima vista, non appare alterare la struttura del SSN,
rappresentando un secondo livello di assistenza che si aggiunge – senza toccarlo – al primo. Addirittura,
potrebbe essere invocato come aiuto al SSN, in un momento di vincoli stringenti di finanza pubblica,
limitandone il sovraccarico. Il potenziamento del secondo welfare è stato, inoltre, presentato, nel nostro
paese, come indipendente dalle vicende sanitarie, in quanto finalizzato in via prioritaria all’incentivazione
della contrattazione decentrata e, con essa, della produttività. La legge di stabilità per il 2016 limita,
infatti, l’agevolazione fiscale per il welfare integrativo (compresa la sanità complementare) ai premi di

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sanitario-nazionale/