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Infolampo: previdenza , diseguaglianze

Previdenza, ecco com’è possibile tutelare il lavoro povero
Sarebbe auspicabile l’introduzione di una forma di garanzia delle pensioni di chi dovesse avere carriere
particolarmente fragili. A questo scopo, a poco o nulla servirebbe una risposta di tipo assistenziale, come
quella a cui sembra puntare il governo
di Michele Raitano
Il timore che le dinamiche del mercato del lavoro italiano possano portare molti individui a versare pochi
contributi a fini pensionistici ha recentemente indotto studiosi e policy
makers a ragionare su come offrire un’adeguata tutela previdenziale ai
lavoratori più svantaggiati all’interno di un sistema, come quello
contributivo (che si applica interamente a chi ha iniziato a lavorare dal
1° gennaio 1996), in cui l’importo della futura pensione dipende dal
montante dei contributi versati lungo l’intera carriera e, pertanto, non è
altro che lo specchio dell’esperienza lavorativa precedente.
Un intervento di tutela contro il rischio di ricevere una pensione
d’importo limitato anche dopo una lunga vita attiva va pensato
all’interno del sistema pubblico, dato che appare del tutto implausibile
che un lavoratore povero e con frequenti periodi di interruzione
dell’attività possa risparmiare per garantirsi un maggior consumo da
anziano ricorrendo alla previdenza privata.
Il governo, negli scorsi mesi aveva iniziato a ragionare sulla possibilità
di introdurre una forma di tutela per i lavoratori con pensione
interamente contributiva, coerentemente con quanto delineato
nell’accordo fra governo e sindacati siglato a settembre 2016. Nelle
ultime settimane la discussione sulle tutele delle future pensioni è,
tuttavia, scemata.
L’ultima idea circolata in ambienti governativi prevedeva di ampliare la cumulabilità fra pensione e
assegno sociale (attualmente solo un terzo del valore della pensione è cumulabile con l’assegno sociale),
in modo che nessun futuro pensionato con almeno 20 anni di contribuzione riceva una pensione di
importo mensile inferiore a circa 660 euro. Si otterrebbe, dunque, un’integrazione di natura assistenziale,
soggetta a prova dei mezzi e di importo slegato da età di pensionamento e precedente storia lavorativa.
In realtà, quando il governo aveva iniziato ad affrontare il tema delle tutele pensionistiche per i lavoratori
del contributivo aveva pensato a uno strumento di natura ben diversa da quanto attualmente in
discussione, ispirato alla “pensione contributiva di garanzia” ideata anni orsono da chi scrive. Questa idea
nasceva dalla constatazione che, diversamente da quanto avveniva nel precedente schema retributivo, nel
contributivo possono aversi pensioni di importo limitato, anche se la vita lavorativa non è stata breve, ma
è stata caratterizzata da frequenti eventi sfavorevoli (bassi salari, part time involontari, periodi di
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Fino a che punto le politiche fiscali possono ridurre le
disuguaglianze?
Valutare in che modo e fino a che punto le politiche fiscali siano in grado di porre un freno alle crescenti
disuguaglianze non è un compito semplice. Un aiuto concreto arriva dal rapporto “Fiscal Monitor”
pubblicato lo scorso ottobre dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) e intitolato “Tackling Inequality”.
di Roberto Fantozzi ed Eleonora Romano
Il rapporto si apre con la considerazione che un’eccessiva diseguaglianza può minare la coesione sociale,
alimentare fenomeni di polarizzazione politica e rallentare la crescita economica. Partendo da questa
valutazione il FMI analizza in che modo le politiche fiscali possano contribuire a raggiungere obiettivi
redistributivi. Le analisi, basate principalmente sui dati del World Economic Outlook Database, si
riferiscono a tre gruppi di Paesi: 35 economie avanzate, 40 economie emergenti e a reddito medio, 40
economie in via di sviluppo a basso reddito. Nello specifico sono tre i temi approfonditi: le aliquote
fiscali sui redditi più elevati (top income), l’introduzione di un reddito di base universale e il ruolo dei
trasferimenti in natura, con particolare attenzione alla spesa pubblica per l’istruzione e la sanità. In questa
scheda concentreremo la nostra attenzione sui primi due temi e principalmente sulle analisi relative alle
economie avanzate (ove non specificato diversamente).
È utile comunque ricordare come gli investimenti in istruzione e in sanità – ambiti rispetto ai quali molti
Paesi presentano ancora oggi lacune considerevoli – contribuiscano a ridurre le disuguaglianze (non solo
di reddito), contrastino la povertà, migliorino la mobilità sociale e favoriscano, infine, una crescita
economica inclusiva.
Come accennato nella parte introduttiva, il FMI ribadisce l’importanza della crescita economica
segnalando come in molti Paesi essa non abbia garantito un percorso inclusivo per tutte le fasce di
reddito. Al contempo, IL FMI individua nelle differenti politiche fiscali una delle cause delle differenti
performance in termini di disuguaglianza tra diversi gruppi di Paesi e degli stessi Paesi nel tempo.
Tali politiche, infatti, contribuiscono a ridurre, attraverso vari canali, le distanze tra i redditi. La
progressività delle imposte dirette e dei trasferimenti, ad esempio, determina una maggiore riduzione
delle disuguaglianze nel passaggio dai redditi di mercato a quelli disponibili. Le imposte sul consumo,
invece, agiscono sul reddito disponibile “reale”.
Nel 2015 è stato osservato come, nelle economie avanzate, le imposte dirette e i trasferimenti abbiano
ridotto la disuguaglianza reddituale, in media, di circa un terzo; la media del valore del coefficiente di
Gini è stata pari a 0,31 per quanto riguarda il reddito disponibile, a fronte di un valore pari a 0,49 per i
redditi di mercato. Tuttavia, le evidenze empiriche suggeriscono che il ruolo della redistribuzione fiscale
nel compensare l’aumento delle disuguaglianze determinate dal mercato si è indebolito negli ultimi
decenni. Tra il 1985 e il 1995, l’aumento della redistribuzione fiscale è stato in grado di compensare circa
il 60% dell’aumento nella disuguaglianza del reddito di mercato. Di contro, l’effetto redistributivo medio
delle politiche fiscali non è cambiato sostanzialmente tra il 1995 e il 2010, mentre le disparità di mercato
hanno continuato ad aumentare. Ne è seguito che la disuguaglianza del reddito disponibile medio è
aumentata in linea con quella dei redditi di mercato. Questo andamento segnala, quindi, che le riforme
delle politiche fiscali intraprese hanno in media diminuito la progressività degli strumenti redistributivi.
Per meglio comprendere quali siano le cause di tale riduzione, è utile concentrare l’attenzione sulle
imposte personali sul reddito e sui capitali. L’analisi congiunta di diverse categorie impositive può aiutare
a comprendere i diversi gradi di progressività – intesa come capacità di prelevare più che
proporzionalmente dai ricchi e meno che proporzionalmente ai poveri.
Indipendentemente dalla misura utilizzata, nel rapporto si mostra che il grado di progressività delle
imposte personali sul reddito nei Paesi Ocse si è ridotto in modo consistente durante gli anni ’80 e ’90,
per poi rimanere stabile. La diminuzione registrata è coerente con il forte calo delle aliquote sui redditi
più elevati avvenuto in molti Paesi. Questa tendenza potrebbe essere spiegata con la teoria dell’imposta
ottimale: essendo impossibile che le imposte non distorcano le scelte, la minore progressività potrebbe
essere motivata da una maggiore elasticità dei redditi imponibili dei più abbienti al livello delle aliquote,
da una riduzione della quota di reddito posseduta dai più abbienti o da un maggiore peso attribuito dalla
società al benessere degli individui con redditi elevati.
Il rapporto del FMI ha verificato queste ipotesi osservando, per prima cosa, che negli anni non si è

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disuguaglianze/