Pubblica amministrazione, il governo punta sulla cittadinanza digitale
Accanto al nome, al numero di telefono e alle altre classiche generalità ci sarà anche l’indirizzo elettronico. Una cassetta postale telematica, destinata a mandare in pensione quella tradizionale, e che ha già un nome, «domicilio digitale». La novità è prevista dalla riforma Madia ma finora è rimasta bloccata, perché legata alla realizzazione dell’Anagrafe unica della popolazione, il mega database che sostituirà le singole realtà comunali. Il progetto ancora non è stato completato ma il Governo ha deciso di non aspettare e di dare la possibilità a tutti i cittadini di eleggere – se lo vorranno – un proprio recapito web, dove ricevere dalla Pubblica amministrazione e da chi svolge servizi pubblici documenti e notifiche, comprese multe e bollette.
La svolta è stata inserita nel decreto correttivo del Codice dell’amministrazione digitale, che ha ricevuto il primo sì dal Consiglio dei ministri e dovrebbe andare a regime nel 2019. Ora un giro parlamentare e di raccolta dei pareri per poi tornare a palazzo Chigi per il sì definitivo (entro tre mesi).
Ma cos’è davvero il domicilio digitale e come funzionerà? Potrà sicuramente coincidere con la posta elettronica certificata (pec), che però finora è stata utilizzata (poco) per lo più da imprese e professionisti. Tanto che se il governo consentirà solo l’utilizzo della posta elettronica certificata il domicilio digitale è quasi certamente destinato a essere un fallimento, dato che quasi nessun cittadino utilizza la pec per le sue comunicazioni. Dovrebbe comunque andare bene qualsiasi canale telematico che rispetti le regole Ue in fatto di sicurezza, quindi potrebbe non essere necessario usare la pec.
I vantaggi per i cittadini vanno dal risparmio di tempo, alla possibilità di utilizzare il domicilio digitale per tutte
le comunicazioni con valore legale (anche con privati). La novità unita al cosiddetto Pin unico, lo Spid, dovrebbe
permettere una gestione interamente online delle pratiche. Nella relazione tecnica al provvedimento vengono stimati anche vantaggi economici per la Pa, con almeno 250 milioni l’anno grazie all’azzeramento delle spese postali (che però non avverrà visto che difficilmente molte persone anziane poco abuituate alla tecnologia comunicheranno il proprio domicilio digitale). Poi c’è il problema che oggi la posta trasmessa via web si perde (il 40% degli invii telematici effettuati dal responsabile della riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione) fallisce).
Ovviamente però c’è da finanziare l’infrastruttura che sta alla base del domicilio digitale. Si tratta di un Indice, una
sorta di portale, che sarà lanciato già nel 2017 per essere operativo nei primi mesi del 2018 ed entrare a regime nel 2019 (al costo di circa 400mila). Come si più immaginare per la Pa sarà un obbligo accettare un dialogo esclusivamente per via digitale, così come dovrà essere pronta alla moneta elettronica. Per il cittadino invece è tutto facoltativo.
A proposito, il decreto rafforza anche le regole per i pagamenti online, le sanzioni per chi, abilitato a fornire servizi online, sgarra (da un massimo di 40 mila euro si passa a 400 mila). È stato poi deciso di istituire un unico Difensore civico per il digitale, invece di prevederne uno in ogni amministrazione. In Cdm sono stati esaminati in via preliminare anche altri due decreti ‘integrativì, di aggiustamento, rispetto alle versioni originali già in vigore, sempre figlie della riforma della P.a. Si tratta dell’assorbimento del Corpo forestale nei carabinieri (per cui si rilevano solo modifiche tecniche) e del riordino dei porti.