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Da Infolampo: Idea diffusa – rai

rai005Idea diffusa, la community Cgil per l’innovazione

Fare rete, innanzitutto con i lavoratori, per comprendere e governare i cambiamenti imposti dalla

tecnologia. È l’obiettivo della piattaforma collaborativa online del sindacato con il coinvolgimento di

esperti. La presentazione in un convegno a Roma

di Chiara Mancini coordinatrice della piattaforma Idea diffusa

Negli ultimi mesi si è fatto un gran parlare di Industria 4.0, ma non sempre è chiaro cosa si intende

quando ci si riferisce al tema. Entrato a far parte del nostro linguaggio come sinonimo di un cambio di

paradigma tecnologico ed economico, Industria 4.0 è,

semplicemente, una politica: nella fattispecie, quella

varata nel settembre del 2016 nel Piano Calenda, che –

artefice il ministro dello Sviluppo economico dell’allora

governo Renzi – ha avuto il pregio di riaprire, sulla scia del

dibattito sulle nuove tecnologie, anche quello sulle

politiche industriali del nostro Paese.

Nel Piano si è immaginata una governance

multistakeholder e multilivello – multilivello, perché ci si è

mossi sia a livello centrale che a livello territoriale –, che

dovrebbe nelle intenzioni dei suoi estensori introdurre

l’idea dei Competence center, attraverso i quali si

vorrebbe finalmente stimolare il dialogo tra università,

imprese, centri di ricerca e attori del territorio. Un’idea da tempo in auge in Germania, dove il

funzionamento di Industria 4.0 – così come, per esempio, il basso tasso di disoccupazione giovanile –

sono in larga parte influenzati dal rapporto osmotico – che è sistema – tra università, centri di ricerca e

tessuto produttivo.

Un approccio che favorisce il trasferimento tecnologico (quindi l’innovazione) nelle imprese, favorendo

la competitività, ma che in Italia purtroppo fa fatica a decollare, per varie ragioni che sono soprattutto di

ordine culturale, pur trattandosi di un obiettivo da perseguire, se si vogliono cogliere fino in fondo le

opportunità dell’innovazione.

Non solo. A livello centrale, il Piano Calenda ha anche lanciato l’idea della Cabina di regia, accolta

positivamente dalla Cgil, sia per via del coinvolgimento delle parti sociali, sia per il fatto che finalmente

si è riconosciuta una complessità di governance che è necessaria affinché le politiche industriali siano ben

progettate e poi realmente implementate.

Tutto bene, dunque? Non proprio, se si considera il fatto che si tratta di idee che, una volta condivise,

sono rimaste in larga misura sulla carta. L’istituzione dei Competence center è appesa alla pubblicazione

di un bando, che slitta i tempi di applicazione di quella parte del Piano e di cui ancora non si conoscono i

criteri, mentre la Cabina di regia non è stata mai convocata.

Ma indipendentemente dalla valutazione del Piano Calenda, è indubbio che il tema del cambio di

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I ciarlatani della salute

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Viale Mazzini non la racconta giusta

Quella che va in onda è un’altra Italia, un paese di fantasia o luoghi comuni. La Rai sarà anche

migliorata nella rappresentazione della donna, ma ne ha di strada da fare per raccontare la realtà e

quindi anche il corretto ruolo femminile nella società

di Silvia Garambois

Come sono le donne raccontate dalla Rai, nei tg, nella fiction, nei programmi di intrattenimento? Giovani:

hanno tra i 19 e i 49 anni (solo il 6,8% è over 65), in barba al fatto che siamo un Paese che non solo

invecchia ma dove sono proprio gli anziani i maggiori “divoratori” di tv. Sono benestanti e colte (solo il

16% appartiene a fasce culturali medio-basse e a ricordarsi di loro è praticamente solo la fiction). Sono

“angeli del focolare”, rappresentate in particolare quando bisogna parlare del ruolo in casa e in famiglia,

della bellezza e dell’appeal sessuale, vittime o parenti di vittime (gli uomini, in contrasto, si

caratterizzano per le abilità fisiche o perché protagonisti o testimoni di una storia di vita, per le loro

capacità professionali o perché persone di potere).

La Rai sarà anche migliorata nella rappresentazione della donna, ma ne ha di strada da fare per raccontare

la realtà per quella che è, e quindi anche il corretto ruolo femminile nella società. L’Isimm, che ha curato

la ricerca sulla rappresentazione femminile alla Rai nel 2016, denuncia infatti poche gravi violazioni della

tv pubblica al “contratto di servizio” firmato con il Ministero per lo sviluppo economico: un paio di

intollerabili servizi dei tg sui femminicidi in cui è stata “normalizzata” la violenza di genere, e poi episodi

nei reality, nell’intrattenimento e nella fiction in cui l’uso del corpo della donna, la derisione e il ricorso a

stereotipi erano assolutamente gratuiti e scorretti, senza che niente e nessuno – conduttore o sceneggiatura

– “correggesse” l’inutile sessismo.

Resta il fatto che su 700 trasmissioni monitorate – dall’attualità allo sport, dalla cultura agli show del

sabato sera, dalla fiction al cinema di produzione Rai – le figure femminili sono solo il 37,8% del totale.

Che la loro presenza ha un picco nel genere “factual”, cioè dove devono raccontare i fatti loro… E,

soprattutto, che gli uomini più delle donne appaiono in ruoli autorevoli e prestigiosi o dotati di

“caratteristiche intellettuali e morali positive”, mentre le donne più degli uomini sono giudicate per la loro

moralità sessuale o sentimentale.

Questi report annuali sullo stato della tv pubblica, in cui viene sezionata e misurata col bilancino, oltre a

dover essere uno strumento di lavoro a viale Mazzini e dintorni, confermano quello che di qua dello

schermo sappiamo bene: quella che va in onda è un’altra Italia, un paese di fantasia, accomodato assai

spesso su luoghi comuni vecchi, ma proprio vecchi. Ma è così difficile raccontare la realtà? Una realtà

dove si invecchia, dove si perde il lavoro, dove le donne non affrontano i problemi nel cicaleccio di un

cortile. Dove, a dirla tutta, sono poche a capire ancora il significato di “angelo del focolare”.

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