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Da Infolampo: non autosufficienza – sanità

politichesocialiNon autosufficienza, incontro al ministero del Lavoro

Vertice sindacati-governo sui tagli operati al Fondo, che però le Regioni s’impegnano a ripristinare.

Cecconi (Cgil): “Verificheremo il mantenimento delle promesse. Ma serve un piano nazionale,

accompagnato dalla definizione dei Lea sociali e sanitari”

di Marco Togna

Non autosufficienza e politiche sociali, si apre la discussione fra governo e sindacati. Si tiene oggi

(mercoledì 29 marzo) a Roma, alle ore 10, l’incontro

tra il ministro Poletti e rappresentanti di Cgil, Cisl e

Uil, sollecitato dalle organizzazioni di lavoratori e

pensionati in seguito ai tagli compiuti con l’intesa fra

governo e Regioni del 23 febbraio scorso in

attuazione della Legge di bilancio per il 2017. Tagli

disapprovati dai sindacati, che hanno chiesto “un

confronto sul complesso dei finanziamenti destinati

alle politiche sociali”.

I fondi decurtati il 23 febbraio scorso starebbero per

essere ripristinati. Così ha annunciato lunedì 27

marzo il presidente della Conferenza delle Regioni

Stefano Bonaccini, al termine di un incontro a

Palazzo Chigi. Le Regioni dovrebbero farsi carico di

restituire al Fondo nazionale per la non

autosufficienza (Fna) i 50 milioni di euro tagliati, mentre il governo dovrebbe assicurare i 211 milioni

mancanti al Fondo nazionale per le politiche sociali (Fnps).

“Al tavolo verificheremo se le dichiarazioni saranno seguite dai fatti” dice il responsabile Politiche della

salute della Cgil nazionale Stefano Cecconi: “Già il Fondo per la non autosufficienza è ridotto all’osso,

considerando i milioni di persone che ne hanno bisogno, è davvero stupefacente che si sia voluto

intervenire tagliando queste risorse”. In aprile, aggiunge Cecconi, si aprirà “il tavolo sul Fondo delle

politiche sociali: anche in quel caso verificheremo se le promesse saranno state mantenute”.

Cgil, Cisl e Uil, in un comunicato dei giorni scorsi, rimarcano la necessità di “superare politiche di tagli

sbagliate e inopportune, perché toccano le persone più vulnerabili, negando diritti e inclusione sociale, e

frenano l’avvio stesso dei necessari processi di riforma del welfare”. Per i sindacati, infatti, la spesa per le

politiche sociali e sanitarie “è un formidabile investimento per creare sviluppo, innovazione e buona

occupazione”.

Per Stefano Cecconi occorre avere uno sguardo più largo. “Serve un piano nazionale per non

autosufficienza, accompagnato dalla puntuale definizione dei Livelli essenziali di assistenza sociali e

sanitari, fondato appunto sull’integrazione di queste prestazioni” conclude il responsabile Cgil: “Bisogna

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Politiche sociali, diritti, lavoro.

“#insieme generazioni in movimento.

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People At the Centre: il futuro di una sanità al servizio

della persona

People at the Centre. Le persone al centro.

È stato questo il titolo dell’ultimo Policy Forum organizzato dall’OCSE a Parigi lo scorso 16 gennaio e

riservato alle discussioni sul futuro della salute globale. Un’intera giornata dedicata, in cui più di

cinquecento tra esperti, giornalisti, policy-maker e ministri hanno scambiato idee e proposte,

confrontandosi sulle questioni da affrontare nella prossima generazione di riforme sanitarie.

di Giulia Morando and Stefano Dossi

Tante sono, in effetti, le sfide che il futuro sembra prospettare in tema di salute. Che cosa fare per

valorizzare le potenzialità offerte dallo sviluppo delle nuove tecnologie in ambito sanitario? In che modo

conciliare le esigenze di riduzione della spesa pubblica con una dinamica demografica che vede sempre

più aumentare il numero degli anziani? Come progettare sistemi sanitari che siano davvero adeguati,

accessibili e resilienti?

La risposta emersa durante il Policy Forum dell’OCSE appare chiara: in un’epoca – la nostra –

caratterizzata da stili di vita e da patologie completamente diversi da quelli del secolo scorso, superare i

modelli del passato diviene una necessità. Dalla concezione del rapporto medico-paziente,

all’organizzazione della sanità, passando per le misure di qualità e per gli indicatori di performance.

Come i business contemporanei sono stati in grado di reinventare i propri servizi verso una maggiore

centralità del consumatore, insomma, allo stesso modo i sistemi sanitari di domani dovranno indirizzarsi

verso l’offerta di cure e di trattamenti sempre più rivolti ai veri bisogni dei pazienti. People at the Centre,

appunto.

Ma che cosa vuol dire questo concretamente?

“Mettere le persone al centro significa trattare i pazienti, i loro cari e chi se ne prende cura con

compassione, dignità e rispetto”, ha spiegato così il Segretario Generale dell’OCSE Angel Gurrìa in

apertura del Policy Forum. La scelta di approcci orientati alla persona richiede l’adozione di attitudini e di

prospettive del tutto nuove nella pratica medica, in grado di cambiare i processi esistenti e di

rivoluzionare principi e credenze. Con la diffusione di modelli people-centred, dunque, il paziente con la

sua storia, i suoi valori, i suoi desideri e le sue paure diviene finalmente parte attiva del processo di cura,

favorendo così la creazione di vere e proprie partnership con i professionisti dell’attività sanitaria. “Una

persona non è una malattia” è stato d’altra parte il refrain dell’intera giornata organizzata dall’OCSE.

Come spiegato da Donald Berwick dell’Institute for Healthcare Improvement, la centralità della persona

non è semplicemente uno tra tanti parametri di misura della qualità dell’assistenza sanitaria, ma è “la

porta d’ingresso a tutte le qualità”.

In questa prospettiva, allora, le esperienze stesse dei pazienti assumono nuova importanza nella

misurazione del valore prodotto in termini di salute. Le economie dell’area OCSE, in media, riservano

oggi alla spesa sanitaria il 9% del proprio PIL, pari a quasi tremilacinquecento dollari per cittadino: cifra

destinata certamente ad aumentare nei decenni prossimi, di pari passo con l’innalzamento della speranza

di vita e con il moltiplicarsi delle opzioni di trattamento innovative offerte ai pazienti. Secondo le stime

del recente rapporto OCSE Health at a Glance, la percentuale della popolazione over-65 nei Paesi più

sviluppati è infatti destinata a subire un notevole incremento nei prossimi decenni, raggiungendo il 27%

nel 2050 (Health at a Glance 2015: OECD Indicators, OECD Publishing, Parigi, 4 novembre 2015). Gli

anziani con più di ottant’anni, poi, costituiranno addirittura il 10% del totale contribuendo così a

incrementare ulteriormente l’aspettativa di vita, pari ora a 80.5 anni. In questo senso, l’Italia spicca nelle

classifiche dei Paesi più longevi con una speranza di vita alla nascita di 82.8 anni, piazzandosi al quarto

posto dopo solo Giappone, Spagna e Svizzera. La corretta gestione di questi e altri trend e scenari futuri

sarà certamente una delle grandi sfide degli anni a venire.

Già oggi, grazie anche allo sviluppo delle tecnologie favorito dalla rivoluzione digitale, i professionisti

della sanità hanno accesso ogni giorno a una mole di dati immensa: dalla dimensione della spesa totale, al

numero di persone trattate, fino alla tipologia di terapie praticate. Eppure, i sistemi sanitari sembrano

essere ancora in ritardo nella raccolta di quelle informazioni sui risultati effettivi delle cure che, in fondo,

rappresentano ciò che più conta nella valutazione della qualità del trattamento. Quanto ha sofferto il

paziente dopo un intervento chirurgico al menisco? Quanto tempo ha richiesto la riabilitazione dopo un

attacco cardiaco? E ancora, quali sono state le conseguenze psicologiche di una mastectomia? Di fatto, al

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