Da Infolampo: Povertà – Lavoro
Ddl povertà approvato dalla Camera, i contenuti
Nel reddito di inclusione non solo denaro, ma pure servizi garantiti su tutto il territorio nazionale.
La Camera ha approvato il disegno di legge del governo per il contrasto alla povertà e che introduce una
«misura nazionale» di carattere universale, denominata «reddito di inclusione».
Si tratta di una legge delega all’esecutivo che dovrà emanare entro sei mesi uno o più decreti legislativi di
attuazione.
Ecco i contenuti principali del ddl:
FONDO DA AUMENTARE. La legge di Stabilità approvata nel
dicembre 2015 ha istituito un fondo per la lotta alla povertà e
all’esclusione, dotato di un miliardo a partire dal 2017. Il ddl ora
approvato prevede l’aumento della dotazione «da definire mediante
specifici provvedimenti legislativi».
REDDITO DI INCLUSIONE. La riforma dovrà introdurre «una
misura nazionale di contrasto della povertà e dell’esclusione
sociale»: tale misura, «denominata reddito di inclusione» è
individuata come «livello essenziale delle prestazioni da garantire
uniformemente in tutto il territorio nazionale».
SALVE PENSIONI DI REVERSIBILITÀ. Il «reddito di
inclusione» avverrà assieme a un «riordino delle prestazioni di
natura assistenziale», però «fatta eccezione per le prestazioni
rivolte alla fascia di popolazione anziana non più in età di
attivazione lavorativa». e fatta eccezione «per le prestazioni a sostegno della genitorialità e per quelle
legate alla condizione di disabilità e di invalidità».
SOLDI E SERVIZI. Il «reddito di inclusione» non si tradurrà solo in soldi per il beneficiario, ma sarà
«articolato in un beneficio economico e in una componente di servizi alla persona, assicurati dalla rete dei
servizi e degli interventi sociali», «mediante un progetto personalizzato». Il tutto sarà «garantito
uniformemente in tutto il territorio nazionale».
ISEE. L’erogazione del «reddito di inclusione» sarà «condizionata alla prova dei mezzi, effettuata
attraverso l’indicatore della situazione economica equivalente (Isee)».
PROGETTO PERSONALIZZATO. L’altra condizione per ricevere il beneficio è «l’adesione a un
progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa». I progetti sono «predisposti da
una équipe multidisciplinare costituita dagli ambiti territoriali, in collaborazione con le amministrazioni
competenti sul territorio in materia di servizi per l’impiego, la formazione, le politiche abitative, la tutela
della salute e l’istruzione», e sulla base di «una piena partecipazione dei beneficiari alla predisposizione
dei progetti».
CONTROLLI INPS. Sarà l’Inps a controllare che chi riceve il reddito di inclusione ne ha diritto. Per i
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contenuti_43675253572.htm
Pensioni, confronto vero
o dialogo finto?
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Cultura senza lavoro
Eurostat rileva le molte ombre dell’occupazione in Italia nel campo culturale. Nonostante diversi governi
abbiano annunciato ripetutamente un cambio di politiche, i risultati non seguono alle tante promesse e i
numeri smentiscono l’enfasi degli annunci
di Marco Sappino
“Cultura e arte sono il nostro petrolio”. Oppure: “L’Italia da sola possiede oltre la metà dei beni culturali
del mondo”. Saranno vent’anni che è invalsa tra i nostri governanti, senza reali differenze in base al
colore politico, l’abitudine di suonare le fanfare della propaganda più banale preannunciando in materia
chissà quali svolte finalmente in arrivo. Ma sempre i fatti non tengono dietro all’enfasi delle parole. Nel
campo della cultura (che poi tutto è meno che un universo omogeneo e bisognerebbe fare le dovute
distinzioni) ci troviamo sempre nella parte bassa della classifica e per alcune voci siamo prossimi alla
retrocessione dal campionato europeo.
“La cultura è il nuovo orizzonte del lavoro. Darà un’occupazione crescente e sarà decisiva per uscire dal
tunnel della crisi globale”. Quanti proclami ai convegni. Quante promesse non mantenute alla prova dei
numeri. Lo certifica il rapporto Eurostat basato sui dati del 2014. L’Italia con 602mila addetti si colloca
solo al quarto posto nell’Unione e, rispetto al totale degli occupati, costoro rappresentano appena il 2,7
per cento, un paio di decimali al di sotto della media dei 28 Paesi, di cui 20 presentano cifre migliori delle
nostre.
Per pescare qualche altra tabella negativa, di quei 602mila italiani che inventano o producono cultura il 43
per cento è laureato (la media europea è al 60) e il 62 per cento ha un rapporto di lavoro autonomo, cioè
perlopiù altalenante, precario. Già sapevamo di esserci posizionati al penultimo posto (sopra alla Grecia)
per quota di spesa pubblica dedicata, ora le statistiche squarciano un’altra illusione. No, non si trovano
mai i fondi per investire davvero nei saperi, nell’istruzione, nell’alta formazione, nella tutela e nella
gestione dei beni e delle attività culturali e il coinvolgimento del privato o non decolla o svilisce in
operazioni di pura facciata.
Il patrimonio straordinario che secoli di storia e artisti di ogni talento ci hanno consegnato non riesce a
diventare una risorsa comune, una leva per la crescita sostenibile, una grande questione nazionale. Altro
che petrolio.
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