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Da Infolampo: Verona L’Aquila, – I dieci giorni

1044940_194777034018408_588815202_nVerona–L’Aquila, una storia di solidarietà che si rinnova

Questa è la storia di quattro volontari dello Spi di Verona che sette anni fa vennero all’Aquila per

prestare soccorso ai terremotati. Oggi, grazie alla festa di LiberEtà, sono tornati e vedono una città che

brulica di cantieri. La Festa dello Spi produce anche questo. Giuseppe Di Girolamo, segretario dello Spi

di Verona, Maria DoraLobbia, medico geriatra, Giorgio Citto e Paolino Bissa, sono contenti di rivedere

una città che si sta rimettendo in moto. Ecco i loro racconti.

«Manca solo Adriano Salgarelli – racconta Giuseppe – perché

allora eravamo in cinque, ma stavolta non è potuto venire.

Chiamalo un viaggio indietro nel tempo, ma di fatto oggi,

finalmente vediamo formarsi il futuro dell’Aquila». Un immenso

cantiere che riporta a vita nuova chiese antiche e palazzi del 400

rendendole immuni ai futuri terremoti. «Sta accadendo qualcosa

fuori dal comune – osserva Di Girolamo – architetti, ingegneri,

oltre tremila lavoratori, dai muratori ai restauratori, artefici di

un’opera che nessun paese ha mai realizzato, almeno in queste

dimensioni».

Sette anni fa l’atmosfera era ben diversa. Anche nel campo di

Coppito gestito da Cgil, Spi e Auser nel quale, diversamente dagli

altri campi sparsi nelle zone della città, niente era militarizzato e in

cui le persone potevano entrare e uscire liberamente. «Siamo arrivati cinque mesi dopo le scosse di

terremoto»,– ricorda Giuseppe. «Era settembre. Dormivamo in tenda, come come tutti quelli che non

avevano più una casa. Nel campo erano stati creati un asilo, una biblioteca, la mensa a cui accedeva anche

chi non dormiva in tenda. Parliamo di centinaia di pasti a pranzo e cena. Per circa dieci giorni abbiamo

svolto ogni tipo di mansione, dalla pulizia dei bagni al lavaggio dei piatti. Maria Dora si prendeva cura

delle persone, Giorgio e Paolino intervenivamo ogni volta si creava un problema elettrico o idraulico».

Quel lavoro senza soste che regalava momenti unici nella relazione con chi pagava a caro prezzo gli

effetti del terremoto e con chi era lì per aiutare si è interrotto una sola volta, quando i quattro visitarono

Onna. «Fu un impatto terribile vedere gli effetti del terremoto in quella località alla periferia dell’Aquila»,

racconta il segretario dello Spi Cgil di Verona. «Ricordo le vettovaglie e i letti che affioravano dalle

macerie.Gli oggetti che in casa non nota nessuno, tanto sono familiari, mostravano più di ogni altra

elemento cosa vuol dire sconvolgere in modo drammatico la vita di una comunità».

Nel 2012, Giuseppe è tornato di nuovo all’Aquila. «Ed era tutto fermo come allora. Sembrava una città

addormentata, ingabbiata dai tubi innocenti. un solo bar aperto all’angolo della piazza del Duomo. Uno

scenario lunare, quasi post atomico».

Oggi c’è chi parla, non senza ragioni, di ricostruzione lenta. Ma per Giuseppe, tornato insieme ai suoi

amici in occasione della Festa di LiberEtà, il bicchiere sembra già mezzo pieno. «Provo una sensazione

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Canone Rai: errori e

anomalie in agguato

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I dieci giorni che cambiarono il paese

Genova, Reggio Emilia, Roma, Palermo, Catania. Nelle carte dell’epoca il racconto di quelle terribili

giornate di fine giugno-inizio luglio ’60. “In ballo c’era il fondamento dello Stato democratico,

l’antifascismo, la Resistenza”

di Ilaria Romeo

Il 14 maggio 1960 il Movimento sociale italiano ufficializza il suo sesto congresso per il 2 luglio a

Genova, città medaglia d’oro alla Resistenza. Gli ex partigiani, appoggiati dalla popolazione e dalla

nutrita comunità dei portuali, iniziano a picchettare ogni angolo del capoluogo ligure; i sindacati di

categoria fanno la voce grossa con il governo: quel congresso a Genova non si deve tenere, a qualunque

costo. Dopo due cortei, il primo svoltosi il 25 giugno, e il secondo, il 28 giugno, concluso con un comizio

di Sandro Pertini (pdf), il 30 giugno la Camera del lavoro proclama lo sciopero generale.

Un lungo corteo si dipana per le vie cittadine. Risalendo dal porto migliaia di cittadini, in massima parte

di giovane età (i cosiddetti ragazzi dalle magliette a strisce) si riversano per le strade del capoluogo. Alla

testa della manifestazione, gli operai metalmeccanici e i portuali, ad aprire il corteo i comandanti

partigiani. Davanti al tentativo, da parte della polizia di sciogliere la manifestazione, esplode la rabbia

popolare. Alla fine della giornata Giuseppe Lutri, prefetto di Genova, si vede costretto ad annullare il

congresso del partito neofascista.

Trascorrono solo pochi giorni (è il 5 luglio) e a Licata, in provincia di Agrigento, durante una

manifestazione unitaria di braccianti e operai, la polizia uccide Vincenzo Napoli. Il 6 luglio a Roma viene

negata l’autorizzazione a una manifestazione di protesta per i fatti appena accaduti a Genova e in Sicilia.

La manifestazione però si tiene ugualmente: sfidando apertamente il divieto i romani scendono per le

strade. Porta San Paolo si presenta accerchiata da celerini e carabinieri, per la prima volta vengono

utilizzati i carabinieri a cavallo.

Così trent’anni più tardi Aldo Natoli ricorda l’accaduto: “Eravamo circa una trentina di deputati

dell’opposizione, comunisti e socialisti, venuti a deporre una corona presso la lapide che ricorda i caduti

nella resistenza contro i nazisti a Porta San Paolo nel settembre 1943. La lapide si trova fuori dalla Porta,

oltre la Piramide. Noi stavamo stretti nel giardinetto che occupava l’angolo formato dal viale Aventino e

da via Marmorata nel confluire sul piazzale. Intorno e dietro c’era folla, non smisurata, se ricordo bene,

qualche migliaio di persone, ma vivacissime”.

“Di fronte – prosegue il racconto di Natoli –, a breve distanza, a presidio degli accessi alla Porta e alla

lapide, schiere nutrite di poliziotti, camionette della Celere e tutto il vasto piazzale retrostante fino alla

stazione della ferrovia per Ostia era stato sgomberato ed era occupato dalla polizia. Il traffico era stato

interrotto. Infatti la manifestazione contro il governo sostenuto dai fascisti era stata vietata. Anche solo

l’accesso e l’omaggio (non ricordo che fossero previsti discorsi) a un luogo-memoria della popolazione

romana, alle soglie del quartiere rosso, allora, di Testaccio, erano negati. C’era tensione e dietro di noi il

brusio inquieto della folla (documento integrale)”.

In solidarietà con quanto successo a Genova, Roma e Licata, il 7 luglio 1960 a Reggio Emilia è indetto lo

sciopero generale. La polizia spara nuovamente contro i dimostranti e cinque persone rimangono a terra

uccise: Lauro Farioli (22 anni), Ovidio Franchi (19), Emilio Reverberi (39), Marino Serri (41) e Afro

Tondelli (36). Tutti e cinque operai e comunisti, alcuni ex partigiani. A breve distanza di tempo, la rivista

Vie Nuove pubblica un disco con la registrazione sonora degli scontri. Si ascoltano i colpi dei lacrimogeni

e delle pistole, le raffiche dei mitragliatori, le sirene della Celere e delle ambulanze.

Dell’episodio dirà Pier Paolo Pasolini: “Spero che nessun registratore serva mai più a stampare dischi

come questo. Che è il più terribile – e anche profondamente bello – che abbia mai sentito” (dalla rubrica

“Dialoghi con Pasolini”, Vie Nuove a. XV, n. 33, 20 agosto 1960, leggi tutto).

L’8 luglio, a Palermo, il centro è presidiato fin dalle prime ore del mattino dalla Celere per disturbare lo

sciopero generale proclamato dalla Cgil per i fatti di Reggio Emilia. Negli scontri con la polizia restano

uccisi: Francesco Vella, 42 anni, sindacalista; Giuseppe Malleo, 16 anni; Andrea Gancitano, 18 anni;

Rosa La Barbera, 53 anni, casalinga; 36 manifestanti sono feriti da proiettili; 400 i fermati, 71 gli

arrestati. Sempre l’8 luglio, a Catania, rimane ucciso da un colpo di arma da fuoco sparato dalla polizia

Salvatore Novembre, giovane lavoratore edile di 20 anni.

Scrive in quei giorni Luciano Romagnoli su Rinascita: “Che cosa era in discussione a Genova? E, dopo

ancora, a Licata, a Roma e a Reggio Emilia? Che cos’era in discussione nel paese? Era il fondamento

stesso dello Stato democratico: l’antifascismo, la resistenza e la Costituzione repubblicana” (qui il

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