Attualità a cura di Maurizio Donini

L’Italia non è un Paese per donne lavoratrici

“Ci aspettiamo che le donne madri lavorino come se non avessero figli e crescano i loro bambini come se non lavorassero”.

Amy Westervelt dal suo libro: “Dimentica di avere tutto

 

L’Italia per il binomio donne e lavoro resta un punto dolente, aggravato dalla pandemia che ha scaricato
proprio sul lato femminile il maggior peso di accudire casa tra mille difficoltà e sostenere i figli durante il
periodo della scuola online. Scelgono la maternità sempre più tardi, mediamente a 32,4 anni e fanno
sempre meno figli, la natalità è scesa a 1,25 figli per donna, cosa che sta già incidendo anche sul mercato
del lavoro. Devono spesso rinunciare a lavorare a causa degli impegni familiari (il 42,6% delle donne tra i 25
e i 54 anni con figli, risulta non occupata), con un divario rispetto ai loro compagni di più di 30 punti
percentuali, o adattarsi a un contratto part-time (per il 39,2% delle donne con 2 o più figli minorenni).
Nella sua 7° edizione, il rapporto “Le equilibriste. La maternità in Italia 2022” di Save the Children,
evidenzia come le donne siano “le ultime ad entrate, le prime ad uscire” dal mercato del lavoro, e quando
prende forma la decisione di avere un figlio, diviene ancora più larga la forbice salariale tra donne e
uomini, oltre alle penalizzazioni che la maternità porta con sé (“motherhood penalty” o “child penalty
gap”). Diseguaglianze che si riflettono anche a livello territoriale come dimostrato dal Mother Index,
elaborato dall’ISTAT per Save the Children, che identifica le Regioni che si impegnano, a diverso livello, a
sostenere la maternità in Italia in tre diverse aree: quella della cura, del lavoro, e dei servizi. Secondo
l’Indice, anche quest’anno, sono le regioni del Nord ad essere più mother friendly, grazie ad una maggiore
attenzione alle condizioni socio-economiche delle donne e uno sforzo maggiore nell’investimento sul
welfare sociale.
C’è poi il tema dell’assistenza, o per dirla all’inglese tanto di moda, cargiver. L’Istat certifica che nella fascia
di età tra i 45 e i 64 anni, in 6 casi su 10 sono le donne (1 milione e 343mila) ad avere questo tipo di
responsabilità: tra queste una su due è occupata (49,7 cento). Dal confronto con le donne che non hanno
questo tipo di responsabilità emerge un divario tra i tassi di occupazione pari a quasi 4 punti percentuali,
confermato anche a livello territoriale. Il possesso di un titolo di studio pari o superiore alla laurea invece
riduce la differenza tra le donne con e senza responsabilità a soli 1,9 punti. Situazione che non cambia in
presenza di figli piccoli, il tasso di occupazione dei padri di 25-54 anni, classe di età in cui è più alta la
presenza in famiglia di figli di 0-14 anni, è l’89,3 per cento. Per gli uomini senza figli coabitanti è pari
all’83,6 per cento. La situazione diversa per le donne, penalizzate: il tasso di occupazione delle madri di 25-
54 anni è al 57 per cento, quello delle donne senza figli coabitanti è al 72,1. I tassi di occupazione più bassi
si registrano tra le mamme di bambini in età prescolare: 53 per cento per le donne con figli di 0-2 anni e
55,7 per cento per quelle con figli di 3-5 anni. Impietoso il confronto con l’Europa, l’11,1% delle donne con
almeno un figlio non ha mai lavorato per prendersi cura dei figli, un valore decisamente superiore alla
media europea, pari al 3,7%. Nel Mezzogiorno la percentuale lievita, una donna su 5 con almeno un figlio
dichiara di non aver mai lavorato per potersene prendere cura». Sempre al Sud si registra anche la quota
più alta di donne che dichiarano di non lavorare per motivi non legati alla cura dei figli (12,1 per cento
rispetto al 6,3 per cento della media italiana e al 4,2 per cento della media europea).
Giuseppe Di Rienzo, direttore generale di Fondazione Libellula, ha dichiarato: “Il tempo delle donne è
essenzialmente tempo speso per gli altri. Deve far riflettere il fatto che molte donne ricoprano ruoli di
responsabilità sul lavoro mentre a casa la loro opinione sulle questioni finanziarie conti meno. Come sta
avvenendo nel mondo professionale, serve creare una cultura condivisa per raggiungere una piena equità

anche in casa, che permetta alle donne di dedicare tempo a sé stesse ed essere protagoniste della vita
economica famigliare”.
MAURIZIO DONINI