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Infolampo: Sociale – Regresso

Politica sociale, la grande assente nelle Marche
Dal 2015 la Regione taglia costantemente le risorse (crollate a 3 milioni annui), sostituendole
parzialmente con i fondi europei, che andrebbero invece dedicati a progetti aggiuntivi. A farne le spese è
anche il lavoro: nel settore domina la precarietà
di Simona Ricci
Se è vero che le politiche verso i più deboli, i più fragili, sono la misura delle politiche per tutti, la
Regione Marche non sta dando un buon esempio. In questo territorio, riflettendo di politiche sanitarie,
spesso dimentichiamo che le politiche sociali sono le loro “sorelle gemelle”. E in tema di prevenzione e
promozione esse sono “le sorelle maggiori” in termini di importanza. Vale la pena ricordare che la delega
al welfare, unita a quella già impegnativa della sanità, è a
capo del presidente Ceriscioli.
La Regione in queste settimane dovrebbe (il condizionale è
rigorosamente d’obbligo quando si parla di partecipazione e
di programmazione) predisporre il Piano sociale e il nuovo
Piano sanitario. Sul primo argomento, la discussione con i
soggetti coinvolti sembra essere iniziata con le giuste
premesse, ma senza il tema cruciale, ovvero quello delle
risorse da dedicare alle politiche sociali. Vale la pena
ricordare che i tagli nazionali al Fondo per le politiche sociali
di questi ultimi anni (che non hanno risparmiato nessuno:
disabili, famiglie, giovani, non autosufficienza) hanno ridotto
il Fondo nazionale nel periodo 2008-2017 da 1,5 miliardi ad
appena 290 milioni di euro, mentre la quota riservata alle
Regioni, nello stesso periodo, è passata da 671 milioni ad
appena 277.
La Regione, dal punto di vista delle scelte politiche, ci ha messo del suo. Infatti, a partire dal 2015, le
risorse proprie del bilancio della Regione dedicate al sociale, già insufficienti, sono state drasticamente
tagliate, passando da poco più di 30 milioni di euro a circa 3 milioni, sostituite pressoché integralmente
dal Fondo sociale europeo che, invece di essere dedicato a progetti innovativi e aggiuntivi, ha in parte
compensato i tagli della Regione. Ma il Fondo sociale europeo non ha la funzione della gestione di servizi
e interventi sociali, per diverse ragioni quali la sua complessità, i forti vincoli che presenta (tutto è già
deciso a monte e non si possono gestire servizi su misura di un territorio), i forti vincoli burocratici ai
quali è sottoposto, le giuste e rigide regole di rendicontazione amministrativa che sottraggono tempo di
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Il declino delle vocali

Foto tratta da Nuova Brianza 6 novembre 2016
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Il regresso è stato pauroso. Nuove strade bisognava e
bisogna percorrere per difendere la democrazia e il lavoro
Ecco il testo dell’intervento pronunciato da Aldo Tortorella il 7 luglio alla celebrazione dei caduti nella
strage di Reggio Emilia del 1960, tenutasi anche quest’anno per iniziativa della Camera del Lavoro, del
Comune e della Provincia di Reggio.
Noi celebriamo oggi il sacrificio dei caduti di Reggio Emilia del 7 Luglio del 1960. Dobbiamo farlo
certamente per essere vicini ai familiari per cui la perdita non cessa di dolere. Ma credo che sia giusto
chiedere a noi stessi se noi stiamo svolgendo solo un rito privato ricordando la tragedia di un tempo
perduto e dimenticato per sempre. Di quel 7 luglio non ci sono quasi più testimoni se non i vecchi come
me che allora dirigevo l’Unità di Milano e mi precipitai qui a Reggio in quel pomeriggio d’angoscia per
scrivere della strage. Ho visto che la Camera del Lavoro ha voluto ristampare la mia testimonianza e ho
rivissuto la stessa angoscia di allora quando mi portarono all’ospedale a salutare i caduti e c’erano ancora
le grida di Tondelli che fu l’ultimo a morire. Inermi assassinati, mirati come in un tiro al bersaglio, mi
dicevano tutti. E nessuno, poi, verrà condannato per quella strage. Ma ci sono molti che dicono – e forse
molti di più lo pensano senza dirlo – che non ha senso riaprire quelle vecchie ferite dopo tanto tempo, ora
che di quella realtà di allora non c’è più niente. Qui da noi sono scomparsi tutti i vecchi partiti e anche
una parte di quelli nuovi, l’Italia, l’Europa, il mondo sono radicalmente cambiati nei mezzi di produzione
e di comunicazione, nei costumi e nelle culture, vecchie potenze sono cadute e altre sono sorte.
Ma invece io credo che abbia un gran significato ricordare la rivolta soprattutto giovanile contro la
costruzione di un governo che si reggeva sul voto dei neofascisti, eredi dichiarati di coloro che avevano
portato il paese in guerra al servizio della Germania nazista, una guerra di aggressione e dunque in se
assurda e criminale e finita poi in una totale sconfitta, più di cinquecentomila caduti solo in Italia, il paese
distrutto, il popolo alla miseria e alla fame e un pugno di pescicani arricchiti. Una guerra costata il
genocidio degli ebrei e del popolo rom, la carneficina di 70 milioni di morti, 23 milioni solo in Russia,
cifre impossibili da immaginare. E ci sono ancora oggi taluni che propagandano le idee fasciste e naziste .
Lasciarli fare la loro opera infame proibita dalla Costituzione non è solo una vergogna, è un pericolo
grave, come vediamo. Sono loro i primi a diffondere lo sciovinismo cioè il nazionalismo ostile a tutti gli
altri, l’odio alla democrazia, il razzismo.
Il tempo cancella tutto, si dice. Ma il tempo da solo non capovolge la memoria. C’è stata una campagna
sistematica di contraffazione della verità. Incominciata da anni contro la Resistenza, prima con la
svalutazione e poi con la diffamazione. Una ricerca dell’ANPI ha contato in Internet più di 2000 siti
apertamente fascisti che insultano la Resistenza, diffamano la Repubblica democratica, fanno proseliti
con le loro menzogne. I più ignorano che i tribunali della repubblica composti per lungo tempo, dopo la
liberazione, da magistrati entrati in carriera sotto i fascisti hanno comminato in processi a partigiani un
numero di anni di galera superiore a quello dei tribunali speciali dei fascisti contro gli antifascisti.
L’amnistia fu applicata ai fascisti ma quasi mai ai partigiani. Ed è successo che tanti innocenti come il
vostro, il nostro Germano Nicolini hanno passato la giovinezza in galera condannati per colpe mai
commesse com’era evidente subito ma sarà riconosciuto solo più di dieci anni dopo o per episodi di
guerra come Moranino. Poi è venuto il tempo in cui in nome della pacificazione si è detto che sono uguali
tutti i caduti nella lotta di liberazione da una parte e da quella opposta perché tutti sono caduti per il loro
ideale. Ma questa non era pacificazione ma rovesciamento della verità storica a fini evidenti. Certo tutti i
morti meritano eguale pietà, ma non sono eguali i motivi per cui sono caduti . C’è chi è morto per
conquistare la libertà e chi è morto per confermare la tirannide.
La lotta non finì con la Liberazione. Appena varata la Costituzione, che fonda sul lavoro la Repubblica
democratica, incominciò l’attacco per smantellarla e, quindi, la lotta per difenderla. E proprio per
difendere la libertà e la Costituzione ci fu la discesa in campo di tanti giovani a fianco dei partigiani e dei
lavoratori in quell’estate del 1960 a Genova prima e poi in tutta Italia. I portuali e gli operai di Genova
spontaneamente erano scesi in strada contro l’annuncio del congresso dei neofascisti indetto per sfregio in
un teatro di fronte al sacrario dei partigiani , un congresso che avrebbe dovuto essere presieduto dal
prefetto repubblichino di Genova Basile, detto il boia, colpevole dell’assassinio per rappresaglia di tanti
antifascisti detenuti e della deportazione nei lager tedeschi di migliaia di operai dell’Ansaldo. Come

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strade-bisognava-e-bisogna-percorrere-per-difendere-la-democrazia-e-il-lavoro/