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infolampo: congresso – difesa

«Il lavoro È», la Cgil verso il congresso
Inizia con la traccia di discussione per le assemblee generali il percorso che porterà alla XVIII assise
nazionale. Baseotto a RadioArticolo1: “Sono 14 pagine chiare e dirette sulle quali confrontarci tutti
insieme per trovare una sintesi condivisa”
È partito il lungo percorso che porterà alla fine del gennaio 2019 al diciottesimo congresso della Cgil, a
Bari presso la Fiera del Levante. La grande novità del processo democratico che attende il sindacato di
Corso d’Italia nei prossimi 9 mesi è il ruolo decisivo che
assumeranno le assemblee generali, promosse dall’ultima
Conferenza di organizzazione. “Si tratta di organismi dirigenti
composti per il 50% più uno dei loro componenti dai delegati sui
luoghi di lavoro e dagli attivisti delle Leghe dello Spi. Il compito
principale dell’assemblea è quello di eleggere i gruppi dirigenti.
Abbiamo deciso di fare un passo avanti, per far sì che il documento
congressuale non sia più deciso da una piccola commissione del
Comitato direttivo”. A dirlo ai microfoni di RadioArticolo1 è Nino
Baseotto, segretario confederale della Cgil.
Il percorso prevede che la commissione vari una traccia di
discussione, che andrà al dibattito. Questa bozza verrà discussa da
tutte le assemblee generali di ogni struttura. “Si tratta di circa 1.500
organismi, per un totale di 20.000 persone – spiega ancora Baseotto
–. Le assemblee generali hanno il compito di avanzare le proprie
osservazioni e dare suggerimenti. Poi, attraverso la sintesi di questo
enorme lavoro di partecipazione, si arriverà a determinare il documento che sarà alla base del prossimo
congresso. Fatta salva la possibilità di presentare uno o più documenti alternativi. In ogni caso, il
documento nascerà da un percorso partecipato che non ha precedenti nella storia della nostra
organizzazione, né credo che nessun paragone sia possibile con i meccanismi di qualsiasi altra
organizzazione”.
La Cgil quindi allarga la partecipazione. “Sono scelte che non nascono oggi, ma dalla nostra storia e dalla
nostra tradizione – continua il segretario organizzativo del sindacato –. Mentre altrove si parla di
caminetti, di gruppi ristretti, di leader che decidono in solitudine, noi abbiamo fondato tutte le nostre
scelte sulla democrazia interna. Negli ultimi anni, in questo solco, abbiamo anche scelto di presentare una
proposta di legge, la Carta dei diritti universali del lavoro, attraverso la consultazione straordinaria degli
iscritti. Una cosa che nei 110 anni e oltre di storia della Cgil non era mai capitata”.
Nella bozza del documento (leggi il pdf) che verrà presentato alle assemblee si parla di uguaglianza,
sviluppo, diritti e cittadinanza, ma anche di solidarietà e democrazia. “Il titolo – afferma ancora Baseotto
– è ‘Il lavoro È’: si tratta di una traccia di sole 14 paginette, composta da una premessa e da 4 capitoli. È
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Difesa europea, il business della sicurezza
Quanto costano i respingimenti dei migranti? In 15 anni almeno 17 miliardi. Mentre droni e satelliti
militari drenano risorse per l’innovazione civile. Lo scopo: la forza lavoro deve filtrare attraverso le
frontiere in condizioni di bisogno e precarietà. E la difesa comune europea (PeSco) darà impulso ad un
ulteriore riarmo bellico.
di Bruno Montesano
A Bruxelles, e tra i governi liberali e conservatori da Parigi a Berlino, va di moda attaccare chi parla
esplicitamente di muri e esibisce la propria forza. Nel frattempo l’Europa, che è la seconda potenza al
mondo per spesa in armamenti, avvia un grande piano di investimenti nel settore bellico e finanzia la
Turchia, che ha appena costruito un muro lungo il suo confine con la Siria per difendersi meglio dai
profughi che contribuisce a creare. Oltre ai 3 miliardi appena consegnati dall’Europa a Erdogan al fine di
esternalizzare le frontiere e rendere invisibile[1 ]la violenza necessaria a tal scopo, l’Europa finanzia
anche le tecnologie e le armi di cui la Turchia ha bisogno per i suoi obiettivi di potenza regionale.
L’attuale gestione delle frontiere interne ed esterne, rispondendo al paradigma neoliberale del migration
management, necessita di un forte dispiegamento di risorse in quello che potrebbe esser definito il
“business della xenofobia” fatto di droni, satelliti, videocamere, recinzioni, filo spinato e agenzie di
sorveglianza. Secondo il report Money Trails, in quindici anni sono stati spesi 11,3 miliardi di euro per
deportare i migranti nei paesi d’origine, circa 1 miliardo per le agenzie europee come Frontex e Eurosur,
230 milioni nella ricerca e 77 milioni per le fortificazioni. La forza lavoro deve filtrare attraverso le
frontiere e, affinché chi riesce a superarle sia in condizioni di bisogno e precarietà, il loro attraversamento
va reso difficile e rischioso. Nella fortezza Europa, allo stesso scopo si spendono più risorse per il
respingimento che per l’accoglienza. Le migrazioni, oltre che scaturire dalle dinamiche dell’economia
globalizzata, dipendono dal collasso dell’ordine internazionale, scosso da guerre, dittature, crisi
climatiche e crescenti disuguaglianze.
Davanti all’insicurezza globale del neoliberismo, l’Unione Europea per affrontare questi “fattori di
instabilità”, nel 2016 ha deciso di adottare una nuova politica estera, la UE Global Strategy (EUGS), al
cui interno spicca il progetto di costruire una difesa comune europea. Nonostante l’analisi retrostante la
strategia lasciasse spazio ad alcune positive possibilità politiche, di fatto l’Unione Europea riproduce il
paradigma “realista” della difesa, costituendo un modello militaresco e nazionalista che replica i
tradizionali meccanismi statali di potenza su scala più ampia.
Primo passo in tal senso è PeSCo (Permanent Structured Cooperation), l’iniziativa di cooperazione
rafforzata approvata da 25 paesi membri nel dicembre 2017 all’interno del Consiglio Europeo.
Coerentemente con la sostituzione della sicurezza sociale con la sicurezza poliziesca e militare, PeSCo,
nei documenti di presentazione, è spacciata come la risposta alla crescente domanda di sicurezza. Oltre
all’autonomizzazione della politica di difesa rispetto agli umori di Trump e dopo Brexit, tra gli obiettivi di
PeSCo c’è il risparmio ottenibile con la cooperazione tra forze militari di diversi paesi e la
razionalizzazione dei costi degli eserciti nazionali, valutato tra i 25 e 100 miliardi di euro. Allo stesso
tempo, però, nell’ultimo anno la spesa è aumentata del 3,7%, e con PeSCo si stabilisce che ogni paese
debba incrementare ulteriormente la spesa bellica, come indicato dalla NATO e da Trump. In realtà, con
la scusa del risparmio, si finirà per spendere di più.
PeSCo e il Fondo Europeo per la Difesa: politica industriale, profitti e lobby
Mentre l’anemica crescita europea continua a ricordarci che l’austerity ci ha fatto perdere
irrimediabilmente un decennio, dal 2020 dovrebbero esser spesi 5,5 miliardi di fondi europei e nazionali
l’anno per acquisti di armi e nella ricerca bellica. Con PeSCo, i paesi dell’Unione si sono detti pronti a
collaborare prevalentemente in tre ambiti: gli investimenti nella difesa, lo sviluppo di nuove capacità e la
preparazione all’intervento congiunto nelle operazioni militari.
A tal fine, PeSCo si è dotata due strumenti: la Revisione coordinata annuale della Difesa (CARD), che
serve a monitorare e valutare l’efficienza delle spese militari nazionali, e il Fondo Europeo per la Difesa,
che dovrebbe promuovere investimenti nella ricerca e nella produzione bellica. Il Fondo Europeo per la
Difesa sarà dedicato alla ricerca, con il Preparatory Action on Defence Research (PADR) e alla
razionalizzazione della spesa e allo sviluppo di nuove tecnologie, con il Programma Europeo di Sviluppo
Industriale nel settore della Difesa (EDIDP, European Defence Industrial Development Plan).
La prima riunione dei ministri della Difesa in formato PeSCo sulla programmazione dei progetti futuri è
avvenuta il 6 marzo di quest’anno[2], ma l’ultimo atto del processo verso la difesa comune è stata
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