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Infolampo: Madri costituenti – Repubblica

L’8 marzo delle Madri Costituenti
Quest’anno la Giornata internazionale della donna viene celebrata all’insegna dei valori della
democrazia. Già, perché nel 2018 la nostra Costituzione compie settant’anni. Ma la memoria non è solo
ricordo, è la storia del vissuto che tramuta gli ideali e i valori in azioni concrete. Non è un caso che il
sindacato dei pensionati della Cgil dedichi il manifesto dell’8 marzo di quest’anno proprio alle ventuno
donne che parteciparono alla stesura della Costituzione. Il messaggio che si vuole dare è che le donne,
insieme, possono fare un’Italia migliore.
Le azioni concrete sono innanzitutto quelle messe in campo dai Coordinamenti Donne dei pensionati Cgil
che in tutta Italia stanno organizzando e promuovendo
iniziative in occasione dell’8 marzo. Sono tantissime le
donne dello Spi impegnate tutto l’anno per tenere alta
l’attenzione sui temi della parità di genere, della lotta alla
violenza, della tutela delle donne anziane, e non solo.
Incontri pubblici, dibattiti, letture, slogan, iniziative, libri,
convegni e molto altro ancora: i Coordinamenti Donne
saranno impegnati su tutto il territorio nazionale fino alla
fine del mese in tanti eventi che non vogliono essere
semplicemente celebrativi ma, al contrario, un momento di
iniziativa politica importante per ribadire, tutto l’anno, che
sul fronte dei diritti delle donne c’è ancora molto da fare.
LiberEtà, che proprio in questi giorni arriva nelle case dei
nostri 140mila abbonati, alle Madri Costituenti dedica un lungo speciale di cui pubblichiamo qui di
seguito un estratto. E ancora, un intervento di Lucia Rossi, segretaria dei pensionati Cgil, che ricorda
come il messaggio di cambiamento delle Madri Costituenti sia ancora attuale: “Per rispondere alle sfide in
esso contenute bisogna passare dal dire al fare”, dice Rossi.
Infine, il nostro mensile dedica a una grande donna l’intervista del mese: Giovanna Marini, musicista,
cantautrice, ricercatrice. Romana, 81 anni appena compiuti, è una delle più importanti studiose e interpreti
della tradizione musicale italiana. Della sua arte ha fatto uno strumento di lotta, di emancipazione
femminile, di conquista dei diritti.
Pubblichiamo qui di seguito un estratto dell’approfondimento di Massimo Franchi sulle Madri
Costituenti. Adele Bei, Bianca Bianchi, Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Maria De Unterrichter
Jervolino, Filomena Delli Castelli, Maria Federici, Nadia Gallico Spano, Angela Gotelli, Angela Maria
Guidi Cingolani, Leonilde Iotti, Teresa Mattei, Angelina Livia Merlin, Angiola Minella, Rita
Montagnana, Maria Nicotra Fiorini, Teresa Noce, Ottavia Penna Buscemi, Elettra Pollastrini, Maria
Maddalena Rossi, Vittoria Titomanlio.
Ventuno donne nel mondo più maschile che si possa immaginare, quello del potere. Ventuno donne con
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Otto marzo: le iniziative nelle
Marche

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La repubblica post-ideologica
Ventinove anni dopo l’89 che rivoluzionò gli assetti del mondo, ventiquattro dopo il ’94 che rivoluzionò
gli assetti della (cosiddetta) prima repubblica, il laboratorio italiano che non dorme mai tira fuori un
altro coniglio dal cappello, che archivia definitivamente la (cosiddetta) seconda repubblica a trazione
berlusconiana, mette fuori campo quella che fu la più forte sinistra dell’occidente, allinea uno dei paesi
fondatori dell’Unione europea più al blocco di Visegrad, alla Russia di Putin e agli Stati Uniti di Trump
che all’asse franco-tedesco di Bruxelles.
di Ida Dominijanni, giornalista
È l’inizio della terza repubblica, quella “dei cittadini”, ne deduce trionfante Luigi Di Maio: salvo che i
cittadini sono lungi dal poterne dedurre chi e come li governerà. È la vittoria dei populismi contro la
stabilità del sistema, ne deducono i giornali più legati all’establishment che fu: salvo che in realtà hanno
vinto i due populismi “dal basso”, quello della Lega e quello dei cinquestelle, contro i due “populismi
dall’alto”, di Berlusconi e di Renzi, che nel corso del tempo il sistema l’hanno sistematicamente demolito
più che stabilizzato.
Sui fattori di lungo periodo che precipitano in questa ennesima rivoluzione all’italiana ci sarà tempo per
discutere – e sarebbe finalmente l’ora di farlo, dopo una campagna elettorale caratterizzata da un’afasia
degli intellettuali pari al chiacchiericcio del ceto politico. Ma intanto, per i commenti del giorno dopo,
basta e avanza la foto del momento, netta e inconfutabile. Cinquestelle e Lega si spartiscono un paese
diviso in due ma unito contro l’establishment, lo spettro di Berlusconi è finalmente archiviato, il
centrosinistra e la sinistra sono in frantumi, forse anch’essi consegnati agli archivi della storia.
C’è un affannoso esercitarsi dei commentatori sulla maggioranza che non c’è, sul governo che verrà o non
verrà, su come il presidente della repubblica risolverà il rebus dell’incarico, sulle anticipazioni di possibili
alleanze che risulteranno dall’elezione della seconda e della terza carica dello stato. Questioni
indubitabilmente urgenti e pressanti, e tuttavia seconde rispetto alla necessità di sostare senza
infingimenti sulla rappresentazione di sé che il paese ha infilato nelle urne.
Quella foto bicolore dello stivale, con il nord e il sud consegnati a due populismi diversi ma convergenti,
racconta – lo avevamo anticipato prima del voto – un fallimento storico delle classi dirigenti, della prima
e della seconda repubblica, rispetto alla storica questione del dualismo italiano, quella maggiormente
costitutiva della fragilità strutturale nazionale. All’uscita da una crisi economica più lunga e devastante di
quella del ’29, c’è un nord in ripresa che si affida alla prospettiva sovranista, protezionista e xenofobica
della Lega, preferendola di gran lunga al non più sostenibile regime del godimento berlusconiano. E c’è
un sud eternamente figlio di un dio minore, condannato a uno standard inferiore di cittadinanza – nella
salute, nei trasporti, nel lavoro, nel reddito – che giustamente non ci sta più e manda via in un sol colpo
colpevoli e conniventi, di destra e di sinistra, di questo stato delle cose corrotto e corruttivo. Non si tratta
dello stesso disagio, anzi: sotto ci sono ragioni diverse e perfino conflittuali. Ma il dato nuovo è che per la
prima volta questi due disagi si sommano senza elidersi, e fanno un blocco sociale inedito, cementato in
primo luogo dall’arroccamento contro i migranti. Le ironie della storia non finiscono mai: quasi un secolo
dopo – l’ha notato Enrico Mentana nella sua maratona notturna -, il programma gramsciano dell’alleanza
progressista e rivoluzionaria fra nord e sud si realizza nel suo contrario.
Non è affatto un caso che questo storico fallimento del progetto unitario del paese coincida con la
marginalizzazione della sinistra e del centrosinistra. Facile imputarla agli effetti devastanti del renzismo e
dei suoi errori capitali, dall’arroganza rottamatoria, all’impuntatura referendaria che Renzi tuttora
rivendica, al parto di una legge elettorale che ha funzionato, come volevasi dimostrare, all’incontrario
rispetto alle intenzioni, e infine all’ostinazione di un segretario che anche di fronte a questa eclatante
sconfitta non molla se non in differita e prova a mantenere le redini del comando. Facile anche,
facilissimo, inchiodare Liberi e uguali a quel disastroso 3 per cento, che non ha affatto impedito al
“popolo nel bosco” della metafora bersaniana di infilare la strada del Movimento 5 stelle invece di tornare
all’ovile. Ma anche qui, gli errori capitali del breve periodo non possono esentare da un’autocritica di
lungo periodo sulla rotta perduta di una sinistra subalterna, in tutte le sue componenti, all’egemonia
neoliberale dell’ultimo quarantennio. Fra una trovata e l’altra, un cambio di nome e l’altro, una scissione
e l’altra, una larga intesa e l’altra, quello che doveva essere il “partito della nazione” perno del sistema è
riuscito a diventarne un accessorio irrilevante, come non è accaduto in paesi come la Francia, la Gran
Bretagna, la Grecia, la Spagna, gli stessi Stati uniti, dove dalla crisi pur profonda della sinistra qualcosa

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