Infolampo: Europa – Draghi
La svolta necessaria dell’Europa
Il segretario generale della Ces Luca Visentini presenta la Conferenza di metà mandato in corso a Roma.
“La prima parola d’ordine è investimenti, questo è l’anno giusto. Altrimenti l’Unione rischia di
implodere”
di Maurizio Minnucci
“La nostra prima parola d’ordine è investimenti, pubblici e privati, per rilanciare l’economia e i posti di
lavoro. Il piano Juncker ha provato a imprimere una prima svolta alla stagnazione, ma non è stato
abbastanza coraggioso. Anche i parametri di Maastricht vanno rivisti. Insomma, è giunto il momento di
una seria riforma macroeconomica”. A dirlo è Luca Visentini, segretario generale della Confederazione
europea dei sindacati, presentando la Conferenza di metà
mandato in corso a Roma. La confederazione rappresenta
circa 45 milioni di lavoratori di 90 organizzazioni affiliate
– anche di Paesi candidati a entrare come la Turchia – e il
suo obiettivo è quello di porre al centro il tema
dell’Europa sociale. “Ormai – sottolinea – veniamo da
dieci anni crisi drammatica con la disoccupazione giunta a
livelli intollerabili. A sessant’anni dai Trattati di Roma, la
cui firma è stata celebrata lo scorso marzo, pensiamo che
questo sia l’anno della svolta necessaria, altrimenti il
rischio è che l’Unione imploda in se stessa, non abbiamo
un futuro. Dalla dichiarazione sottoscritta al termine di
quell’incontro sembra esserci una presa di coscienza, tanto
più dopo la Brexit, che fa presagire la volontà fare le cose
insieme. Da parte nostra, garantiamo una spinta dal mondo
del lavoro, è questo il messaggio forte che in queste tre
giornate vogliamo lanciare alla politica”.
Rassegna Com’è la situazione a due anni di distanza dal vostro congresso di Parigi?
Visentini Ancora adesso la prima urgenza è quella degli investimenti. E insieme a questo bisogna pensare
a quella che noi abbiamo chiamato ‘transazione giusta’. Significa fronteggiare le sfide epocali della
globalizzazione e le trasformazioni del mercato del lavoro con un piano straordinario che preveda anche
nuovi strumenti finanziari.
Rassegna Poi c’è la questione salari, la Ces ha lanciato una grande campagna su questo tema…
Visentini Sì. I salari sono crollati miseramente in dieci anni. E se insieme a questo dato, ci ricordiamo che
il prodotto dell’Europa si basa per il 70 per cento sui consumi interni, allora è evidente che le
conseguenze sono disastrose. Al contrario, dobbiamo far convergere i salari verso i livelli più elevati e il
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I messaggi di Draghi a Italia e Germania
Il numero uno della Bce ci dà ancora tempo. E parla di crescita prioritaria. Poi richiama Berlino alla
garanzia dei depositi europei. Ma propone anche più poteri di controllo alla Commissione su riforme
strutturali.
di Giovanna Faggionato
Abbiamo ancora margine di manovra, ma non più giustificazioni. Il presidente della Banca centrale
europea (Bce) Mario Draghi, in audizione di fronte alla commissione Affari economici del parlamento di
Bruxelles, tra agguerriti europarlamentari tedeschi e greci, ha dato ai Paesi come l’Italia, con alto debito e
poca crescita, ancora tempo. Perché è «veramente troppo presto», ha spiegato, per mettere fine al
programma di stimolo della Bce. Nessuna resa dunque a chi invoca ormai da mesi il tapering, l’aumento
dei tassi di interessi, nessun cedimento al pressing costante di chi critica la politica di Francoforte – tra i
quali diversi europarlamentari presenti – pensando già a chi potrà guidarla nel 2019. Ma invece la
determinazione di accelerare sulla via dell’integrazione europea e sulla convergenza delle sue economie.
E proprio per questo nel discorso del banchiere centrale si possono leggere messaggi sia a Berlino che a
Roma.
In Germania il pressing su Draghi è in corso da mesi. E non cambiano le argomentazioni, la sfiducia nella
capacità degli altri Paesi di riformarsi, ma soprattutto nell’imparzialità della Bce. Tanto che il banchiere
centrale, oltre a difendere la necessità di mantenere il Quantitative easing, si è ritrovato per l’ennesima
volta a dover spiegare di fronte agli eurodeputati che il programma di acquisti non avvantaggia nessun
Paese rispetto a un altro, mentre con il rialzo dei tassi i Paesi a «elevato debito e bassa crescita» si
troveranno a pagare «un conto più alto sugli interessi». E questi Paesi, di cui l’Italia è esempio perfetto,
secondo Draghi devono fare politiche di bilancio, ma soprattutto «di crescita».
POLITICHE DI CRESCITA PIÙ CHE DI BILANCIO. Sembrano termini casuali, ma proprio nelle
raccomandazioni all’Italia di una settimana fa l’esecutivo Ue per la prima volta aveva inserito la crescita
come obiettivo a fianco della riduzione del debito. E quindi in realtà il riferimento di Draghi è nel solco di
una svolta, tardiva ma reale, che ha preso piede a Palazzo Berlaymont. E che regala all’Italia un
importante sponda. In più Draghi è tornato a spingere sulla garanzia unica dei depositi europei, quella che
Berlino blocca ormai da più di un anno. Un nodo cruciale per l’Italia perché utile anche a disinnescare il
legame ancora pericoloso tra debito sovrano e titoli bancari. Che, e qui il messaggio era rivolto a Roma, è
ancora rischioso.
«UNIONE MONETARIA INCOMPLETA». Il discorso di Draghi è stato un assist per il rilancio
dell’integrazione europea, su cui il nuovo asse franco-tedesco sembra avere scommesso seriamente, ma
anche un’ultima allerta all’Italia. «È venuto il momento di definire come sarà il futuro», ha detto di fronte
agli eurodeputati, «in un modo più chiaro e con una visione». Ma per arrivarci servono sforzi da entrambi
lati di quella unione monetaria che lui stesso ha definito «fragile e incompleta».
Draghi ha evitato di esporsi sul delicato dossier del voto italiano e soprattutto sull’idea di fissarlo nel
mezzo della presentazione della manovra finanziaria a Bruxelles. Ma ha usato parole chiarissime sulla
necessità di un maggiore controllo centralizzato sulle riforme strutturali dei Paesi europei. «Non esiste
una capacità fiscale di bilancio dell’Eurozona e la capacità di bilancio è un concetto inerente a qualsiasi
unione monetaria», ha osservato. «Ho detto molte volte che per arrivare alla condivisione dei poteri di
bilancio ci deve essere fiducia reciproca». E ancora più chiaramente: «Non ci possono essere
perennemente trasferimenti di risorse, debitori perenni e creditori perenni».
PIÙ POTERI ALLA COMMISSIONE. Draghi ha riconosciuto che attualmente i Paesi europei sono
troppo divergenti e per avvicinarli ha ribadito la necessità di riforme strutturali. E quando un eurodeputato
gli ha chiesto se non ci deve essere un monitoraggio maggiore sulle riforme, magari fissando obiettivi di
crescita potenziali, il presidente del board Bce ha proposto la sua via e cioè aumentare i poteri di controllo
della Commissione sulle riforme portandoli allo stesso livello di quelli sui conti pubblici, integrandoli di
fatto nel monitoraggio e nel sistema di raccomandazioni specifiche del semestre europeo. E creando un
sistema di confronto tra le riforme attuate dei vari Paesi. «Le riforme nazionali», ha aggiunto, «non sono
più una questione nazionale».
TOLTI GLI ALIBI AI FALCHI, MA… Così facendo ha tolto ogni alibi alle critiche tedesche, ha
inquadrato il discorso in modo che il confronto sia alla pari e quindi siano valutate anche le riforme in
corso e la Germania non si riforma dalla metà degli Anni 2000, ma ha anche congelato la discussione
sulla condivisione dei debiti. L’Eurotower sta studiando un progetto di cartolarizzazione che metterebbe
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