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Da Infolampo: UE servizi on line – Bonus bebè

bonus-bebè-2016UE, servizi pubblici online più accessibili per disabili e

anziani

I siti online delle istituzioni pubbliche dei paesi europei, da quali scarichiamo moduli, paghiamo tasse e

quant’altro, devono essere fatti in modo tale da ridurre al massimo le difficoltà di accesso agli stessi,

soprattutto da parte di anziani e disabili. A deciderlo, il 26 ottobre, è stato il Parlamento europeo che ha

approvato nuove norme per rendere più facile per disabili e anziani l’accesso ai siti web delle

amministrazioni pubbliche dei Paesi dell’Unione Europea, ad esempio per operazioni come la

dichiarazione dei redditi, per richiedere un’indennità, per pagare le tasse o iscriversi all’università.

(Fonte: www.aise.it)

Secondo la direttiva sull’accessibilità del web, già concordata da

Parlamento e Consiglio, i siti web e le applicazioni mobili degli

enti pubblici – amministrazioni, tribunali, dipartimenti di polizia,

ospedali pubblici, università e biblioteche – dovranno soddisfare

gli standard comuni di accessibilità. I deputati hanno assicurato

che anche le applicazioni utilizzate sui dispositivi mobili come

smartphone e tablet dovranno rispettare queste norme.

Circa 80 milioni di persone nell’UE presentano una disabilità.

Con l’invecchiamento della popolazione, si prevede che il

numero di persone, con disabilità o difficoltà di accesso a internet

legata all’età, aumenterà a 120 milioni entro il 2020.

Meccanismo di feedback

Gli enti pubblici dovranno fornire e aggiornare regolarmente una

“dichiarazione di accessibilità particolareggiata” sulla conformità

alla direttiva dei loro siti web e applicazioni mobili, includendo una spiegazione su quelle parti di

contenuto non accessibili e motivandone le ragioni dell’inaccessibilità. Un “meccanismo di feedback”

dovrà essere messo in atto per consentire agli utenti di segnalare problemi sulla conformità e per

richiedere informazioni specifiche sul contenuto inaccessibile.

Accesso on-demand a un determinato tipo di contenuti

Alcuni tipi di contenuti saranno esclusi dal campo di applicazione della direttiva, a condizione che non

siano necessari per i processi amministrativi, come ad esempio i formati di file per ufficio, i file media

preregistrati o contenuti di siti web archiviati. Gli enti pubblici dovranno rendere, su richiesta (accesso

on-demand), tali contenuti accessibili a qualsiasi persona.

Gli enti pubblici dovranno inoltre dare una “una risposta adeguata alla notifica o alla richiesta entro un

periodo di tempo ragionevole” oltre a fornire il link per una “procedura di attuazione” cui è possibile fare

ricorso in caso di risposta insoddisfacente al feedback o alla richiesta on-demand. Gli Stati membri

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Camusso: lavoratori usati

come scudi umani

Foto Simona Caleo

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E il governo partorì il bonus bebè

Come si contrasta la denatalità? Con un incentivo. Premesso che una donna e una coppia possono anche

non volere figli, c’è chi li vorrebbe ma non ha le condizioni per mettere su famiglia. Per affermare la

libertà di avere bambini la chiave resta il lavoro

di Silvia Garambois

Obiezione di coscienza e denatalità: c’è un sottile fil rouge tra chi impedisce di abortire e chi sprona in

modi volgari a far figli, c’è un paternalismo-padrone che sbircia sotto le lenzuola cosa ne fanno le donne

del loro corpo. Così che la notizia che rimbalza da Bari della Asl che consegna alle donne che hanno

abortito un promemoria ricordando le “implicazioni morali” dell’interruzione di gravidanza (“Le

auguriamo che l’intervento cui si è sottoposta in data odierna rimanga unico”) si lega al diffuso stracciarsi

le vesti per il dato dell’Istat sul nuovo tracollo delle nascite, 14 mila bimbi in meno in sei mesi, come se

tutte le donne di Roma avessero smesso di partorire.

Insomma, è successo che mentre la ministra Lorenzin si accaniva a colpevolizzare le donne che non fanno

nuovi bambini inventandosi il “Fertility Day” (che poi, oltretutto, dopo tante polemiche, è stato un

clamoroso flop), le nascite in Italia sono di nuovo crollate. Ci piangevamo addosso per un calo del 3,3 per

cento in un anno (quasi 17mila bimbi in meno), adesso stiamo sbigottiti a vedere che negli ultimi 6 mesi il

nuovo crollo demografico tra i nuovi nati è stato del 6% in sei mesi, da gennaio a giugno. E anche tra gli

immigrati – questa è una novità – c’è una forte riduzione della natalità.

Ora il governo tenta la carta di monetizzare i bimbi con il “pacchetto famiglia” inserito nella legge di

stabilità, un contributo a pioggia di mille euro l’anno per tre anni per l’iscrizione al nido, più la conferma

degli altri bonus (80 euro al terzo figlio e quello per la baby sitter). È vero, in Francia, in Germania, in

Austria, in Finlandia (e via elencando) il sostegno economico – che a dire il vero è più “robusto” –

funziona ed è norma da anni: eravamo praticamente soli a non dare aiuti alla famiglia.

Benissimo dunque che finalmente anche l’Italia apra a politiche sociali di questo tipo, ma lo diciamo in

modo brutale: nessuno si aspetti che lo Stato in questo modo possa “comperarsi” i bambini.

Premesso che una donna, e una coppia, possono anche non volere figli e nessuno ha il diritto di

colpevolizzarli, c’è invece il problema di chi i figli li vorrebbe ma nel nostro Paese non ha le condizioni

per mettere su famiglia. Se i giovani stanno nella casa dei genitori fino a trent’anni, non è perché sono

“choosy”, come diceva la ministra Fornero, o “mammoni”: come dice una battuta in voga in questi giorni,

la colpa è dei genitori, che non gli pagano affitto-luce e gas per andarsene a stare da soli! Perché di questo

si tratta e si continua a trattare, con la nuova “generazione 800 euro”.

Non bastano, allora, neppure i mille euro all’anno per mandare il bebé al nido; non servono le minacce

della ministra della salute che avverte elegantemente che l’utero invecchia; tanto meno serve un foglietto

di rimproveri lasciato nelle mani di una coppia che ha dovuto scegliere l’interruzione di gravidanza. Se si

vuole restituire la libertà di avere bambini la chiave è, e resta, il lavoro. Quella è la riforma da riformare.

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