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E … lo chiamano “Equo Compenso”

equoSe c’è una cosa nella quale il nostro Paese eccelle è la fantasia. La fantasia intesa come capacità di “inventare” sigle alle quali puntualmente corrispondono nuovi balzelli. Vi ricordate il valzer delle sigle sulle imposte sulla casa? Ecco oggi si sono inventati l’Equo Compenso, l’imposta anti modernità in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale , ma di cui si conosce già la portata. Quattro euro per un televisore, il 5% sul prezzo al consumatore per «apparecchi polifunzionali» digitali o analogici, fino a 5,2 euro per gli smartphone e ancora fino a 5 euro per le memorie rimovibili, fino a 9 euro su chiavette usb, fino a 32,20 euro per ogni computer/hard disk. L’effetto del decreto, secondo le associazioni di imprese digitali ostili a un ritocco così sostanzioso (ma comunque è una revisione prevista dalla legge su base triennale, e in ritardo di 30 mesi rispetto alla tabella di marcia) provocherà un aumento di 2,5 volte del gettito del 2013 – gestito dalla Società italiana autori editori – «che non riflette le evoluzioni delle tecnologie, che disallinea rispetto all’Europa e che dà un segnale fortemente negativo verso la diffusione nel nostro Paese delle nuove tecnologie». Nei giorni passati il Ministro Franceschini aveva assicurato che per i consumatori non ci sarebbero stati rincari. La previsione del governo è per una assunzione diretta dell’onere da parte dei produttori, facendosi carico della stangata e riducendo parzialmente i margini. Non sembrano crederci le associazioni dei consumatori, che annunciano fin dalla prossima pubblicazione in GU una serie di ricorsi al Tar.