Il primo è quello della sicurezza: la Russia è ormai impegnata in una politica di aggressione volta a riprendersi i territori perduti con il crollo dell’Unione Sovietica. La sua conversione in un’economia di guerra, la repressione sempre più brutale dei dissidenti e il rafforzamento delle partnership militari con Iran e Corea del Nord lasciano pensare che il Cremlino voglia realizzare progressivamente una strategia neo-imperiale attraverso l’uso della forza. D’altra parte, a tre anni dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, l’amministrazione Trump sta spingendo per un accordo diretto con Putin, senza il coinvolgimento né di Kiev, né tanto meno dell’Unione europea: la Russia sarà di fatto autorizzata a mantenere il territorio già conquistato in cambio di vaghe promesse di non espandersi oltre. Si tratta di una vera e propria politica dell'”appeasement” che di certo non riuscirà a neutralizzare le mire di Putin su nuovi territori oltre l’Ucraina, come la Moldavia, la Georgia e, un domani, le repubbliche baltiche.
Il secondo fronte è quello economico: l’economia europea sta vivendo ormai un conclamato declino a causa della sua frammentazione politica e del fatto che gli Stati membri perseguono innanzitutto il proprio interesse nazionale anche nell’attuare le politiche comuni. A questo si aggiungono – spesso come conseguenza della mancanza di un governo politico a livello europeo – le rigidità burocratiche, il mancato completamento del mercato interno e la lentezza nelle decisioni strategiche. Mentre Stati Uniti e Cina investono massicciamente in digitalizzazione, intelligenza artificiale e produzione industriale, l’Europa fatica a mantenere il passo, priva di una capacità di investimento comune, ingabbiata in vincoli di bilancio stringenti, con un mercato dei capitali ancora frammentato, una capacità di innovazione tecnologica insufficiente e dipendenze nel settore dell’energia e delle materie prime strategiche. Senza un cambio di passo, l’erosione progressiva della base industriale e tecnologica europea avrà un effetto a cascata devastante su occupazione, benessere e coesione sociale, da cui dipende la tenuta del tessuto democratico.
L’ultimo fronte, forse il più decisivo, è interamente politico: riguarda l’avanzata delle forze antieuropee ed estremiste nell’opinione pubblica e nelle istituzioni. Parliamo di partiti che sulla base di proposte anti-immigrazione e securitarie hanno conquistato tra il 20 e il 35 delle intenzioni di voto, con un’influenza crescente nel dibattito politico. Alcuni di questi movimenti sono già al governo, altri si candidano a esserlo, e ora hanno trovato un nuovo leader in Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo, consigliere del Presidente Trump, responsabile del dipartimento per l’efficienza alla Casa Bianca e manipolatore di opinioni attraverso il suo social media personale, “X”. È proprio Elon Musk che, dopo aver sostenuto apertamente partiti di estrema destra, come l’Alternative fur Deutschland in Germania, ha lanciato lo slogan “MAKE EUROPE GREAT AGAIN”, chiamando a raccolta tutte le forze nazionaliste ed estremiste che odiano l’integrazione europea.
L’obiettivo di Musk è chiaro: sostenere a livello mediatico e finanziario quei movimenti politici radicali che una volta al potere sarebbero pronti a smantellare l’Unione per ritornare alla vecchia Europa delle patrie nazionali. Cosa ancora pìù sconvolgente, lo stesso Vicepresidente degli USA, J. D. Vance, ha direttamente attaccato l’Europa alla conferenza sulla sicurezza di Monaco, indicando come suoi veri nemici non la Russia o la Cina, bensì le regole UE di lotta delle fake news e dei messaggi d’odio, che a suo avviso rappresenterebbero un’inaccettabile censura. Se ciò non bastasse, Vance ha apertamente invitato i politici tedeschi ed europei a collaborare con le forze di estrema destra, per il momento tenute a debita distanza dall’arco costituzionale.