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Infolampo: Sanità – Disuguaglianza

La crisi senza fine della sanità pubblica
Prima indagine su tempi e costi delle prestazioni nei sistemi regionali: 65 giorni per una visita medica, 7
nel privato e prezzi molto simili. Fp Cgil: “Il Ssn soccombe alla concorrenza. Bisogna potenziarlo e
qualificarlo”
Sessantacinque giorni per una visita medica nella sanità pubblica, sette giorni nel privato, con prezzi
sempre più vicini. È questo il dato più eclatante emerso
dallo studio sui tempi di attesa e sui costi delle prestazioni
nei sistemi sanitari regionali, condotto da Crea, e
commissionato dalla Funzione pubblica Cgil insieme alla
Fondazione Luoghi Comuni. L’indagine, che prende a
riferimento un arco temporale che va dal 2014 al 2017, è
stata effettuata su un campione di oltre 26 milioni di utenti,
pari al 44% della popolazione totale, perché condotta sulla
popolazione residente di quattro regioni: Lombardia, Veneto,
Lazio e Campania. I dati si riferiscono esclusivamente alle
prestazioni mediche (11) senza esplicita indicazione di
urgenza.
TEMPI D’ATTESA
Il primo dato evidente, relativo all’anno 2017, è che i tempi
medi di attesa per effettuare una visita medica attraverso il
Sistema sanitario nazionale sono nettamente maggiori
rispetto a quelli dell’offerta privata: 65 giorni nel pubblico a fronte di 6 nell’intramoenia, 7 nel privato e
32 per il privato convenzionato. Nel dettaglio delle prestazioni, i giorni di attesa della Sanità pubblica
sono estremamente lunghi: si va da 22,6 giorni per una Rx articolare a 96,2 per una Colonscopia. Le
stesse prestazioni registrano attese invece in intramoenia di 4,4 (Rx articolare) e 6,7 (Colonscopia),
privato convenzionato rispettivamente di 8,6 e 46,5; infine, privato a pagamento di 3,3 e 10,2.
Un altro elemento molto significativo riguarda l’aumento dei tempi di attesa nell’arco degli anni. Infatti,
una visita oculistica nel pubblico richiedeva nel 2014 dei tempi di circa 61 giorni a fronte degli attuali 88
(+26 giorni in 3 anni) mentre nel privato a pagamento, sempre lo scorso anno, si registravano soli 6 giorni
di attesa. Quanto invece alla stessa visita oculistica condotta in intramoenia l’attesa lo scorso anno era di
7 giorni mentre nel privato convenzionato 55.
Per una visita ortopedica nel pubblico invece i giorni di attesa nel 2014 erano 36, oggi sono 56 (+20
giorni); nel privato a pagamento, guardando al solo 2017, 6 giorni, anche in intramoenia 6 nel privato
accreditato 27. Infine per una colonscopia nel pubblico nel 2014 avremmo dovuto attendere 69 giorni,
oggi 96 (+27 giorni); guardando allo scorso anno per la stessa prestazione nel privato a pagamento
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Cgil: ferma condanna per scritte
contro Biagi e svastiche a Camera
del lavoro Massa Carrara

Foto da repubblica.it 19.3.18
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La disuguaglianza nel mondo e in Italia
Dati, cause e soluzioni
Frasi che leggiamo o sentiamo spesso: “la disuguaglianza nel mondo è aumentata”, “si allarga la
forbice tra ricchi e poveri”, “la disuguaglianza è il vero problema”. Frasi che, utilizzate come un mantra
da media e politici, possono sembrare un po’ vuote, eppure non lo sono. Sono vere, come vera è la
questione della disuguaglianza nel mondo.
di Matteo Margheri
La disuguaglianza nel mondo si è in effetti accentuata negli ultimi venti anni. Diversi studi internazionali
stanno monitorando il fenomeno ma sono pochi i governi nazionali che prestano attenzione alla
redistribuzione della ricchezza, che dovrebbe essere l’antidoto alla disuguaglianza.
Ma come si misura la disuguaglianza? Quali sono i paesi più eguali e quelli più diseguali? Come mai la
disuguaglianza nel mondo è aumentata negli ultimi anni? E come è la situazione in Italia?
Per rispondere a queste domande facciamo riferimento all’indice di Gini, il metodo di misurazione della
disuguaglianza economica più riconosciuto a livello globale, che ci consente anche di mappare l’entità del
problema nelle diverse aree del mondo.
Scandagliamo poi altri studi per approfondire le motivazioni dell’aumento della disuguaglianza nel
mondo, con un focus finale sull’Italia.
Cos’è l’indice di Gini
Siamo all’inizio del novecento e il poliedrico statistico italiano Corrado Gini, poi convinto sostenitore del
fascismo, si ingegna per elaborare un indice di misurazione della concentrazione della ricchezza. Compie
diversi studi e nel 1914 propone quello che sarebbe stato universalmente riconosciuto come indice, o
coefficiente, di Gini.
L’indice di Gini è attualmente utilizzato su scala globale per misurare la disuguaglianza nel mondo,
quindi la disparità di distribuzione del patrimonio economico (o ricchezza) e del reddito fra gli individui
di una popolazione.
L’indice si muove fra 0 e 1, dove 0 indica la completa equi-distribuzione della ricchezza (tutti
percepiscono lo stesso reddito), mentre 1 corrisponde alla massima concentrazione (un individuo
controlla tutta la ricchezza nazionale). Indici di Gini vicini allo 0 corrispondono quindi a una situazione
vicina a una equa distribuzione economica, mentre coefficienti vicini all’1 indicano una concentrazione
verso pochi individui di ricchezza e reddito.
A volte l’indice di Gini viene moltiplicato per cento, diventando così un valore tra 0 e 100, più facile da
visualizzare graficamente e da comprendere nei suoi trend di crescita o decrescita.
Nel 2016 gli studiosi del Buffett Institute for Global Studies hanno elaborato una mappa del mondo
basata sull’indice di Gini, che evidenzia quale sia la situazione della disuguaglianza economica paese per
paese.
In Europa, i paesi con la ricchezza più equi-distribuita sono i paesi scandinavi, la Germania e alcuni paesi
dell’est (Slovenia, Slovacchia, Repubblica Ceca), con un indice di Gini compreso tra lo 0,25 e lo 0,30. La
forza dell’economia tedesca e il sistema di welfare in vigore nei paesi nordici sono i fattori determinanti
dell’equa ridistribuzione del reddito. Nel resto del mondo, l’unica “grande potenza” ad avere un indice di
concentrazione così basso è il Giappone.
Al contrario, i paesi con il più alto indice di concentrazione della ricchezza sono Bolivia e Colombia in
Sud America, e Namibia, Gambia e Sud Africa in Africa, con valori vicini allo 0,66.
Stati Uniti e Russia rientrano nello stesso alto range di concentrazione (fra lo 0,40 e lo 0,45) e anche la
Cina non si allontana troppo dallo 0,50. Per quanto riguarda il Medio Oriente, l’istituto non è riuscito ad
effettuare delle rilevazioni attendibili in quasi tutta la Penisola Araba, escludendo quindi dalla mappa
paesi come l’Arabia Saudita o gli Emirati Arabi, dove è comunque nota l’alta concertazione della
ricchezza in mano a pochi sceicchi.
Perché aumenta la disuguaglianza nel mondo
Il World Inequality Report – Rapporto sulla disuguaglianza nel mondo 2018 evidenzia come vi sia una
forte disuguaglianza di distribuzione non solo fra paesi della stessa area geografica, ma fra regione a
regione.
Se guardiamo alle diverse quote di ricchezza possedute dal 10% della popolazione più ricca nelle varie
regioni otteniamo questo quadro: il 10% più ricco della popolazione possiede il 37% della ricchezza in
Europa, il 47% in America del Nord, il 46% in Russia, il 41% in Cina, il 55% della ricchezza in India,
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