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Infolampo: Camusso – megliogioventù

disoccupazione-giovanileCamusso: il governo non crea un futuro per i giovani
Il segretario generale Cgil in una intervista a La Stampa: “Non è accettabile che vadano
all’estero centomila ragazzi l’anno”
“Un po’ di ripresa è arrivata, anche se molto c’è da fare per recuperare il terreno perduto.
Gli investimenti privati sono un po’ ripartiti, ma con scarsi risultati occupazionali, anche
perché per il blocco dei pensionamenti non
c’è stato ricambio. Mancano gli investimenti
pubblici. Manca il personale nella sanità.
Casa Italia è stata una meteora che non ha
prodotto nulla per rimettere in sesto il
territorio”. Così il segretario generale della
Cgil Susanna Camusso in un’intervista a La
Stampa.
“Siamo un Paese malconcio – osserva la
dirigente sindacale –, non siamo stati capaci
di investire sulle sue ricchezze, sulle sue
competenze, e non abbiamo costruito
possibilità di futuro per i giovani, non è
accettabile che vadano all’estero centomila ragazzi l’anno”. E prosegue: “Io spero che
nessuno sia così matto da pensare che quel poco di crescita che c’è sia figlio del Jobs Act.
Però abbiamo agganciato una possibilità di ripresa. Servono interventi nella legge di
Stabilità per consolidarla e accelerarla, per chiudere il gap che invece aumenta con l’Ue”.
Inoltre, “non è la decontribuzione l’unica via per ridurre il cuneo fiscale. Si intervenga
sulle detrazioni da lavoro dipendente: ridurre il prelievo fiscale sulle buste paga dei
lavoratori strutturalmente e per tutti sarebbe giusto. E sistemerebbe anche la beffa degli 80
euro, che si sono trasformati in una tassa contro i contratti”. Quanto all’occupazione
giovanile “c’è uno strumento che si chiama apprendistato: favorisce insieme il lavoro
stabile e la formazione dei giovani fino a 39 anni, e ha uno sconto contributivo e fiscale
convenientissimo. Usiamolo”.
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Pensioni, tavolo il 7 e il 13 settembre.
Al centro la rivalutazione

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C’era una volta la “Meglio Gioventù”…
Il problema della disoccupazione giovanile sta caratterizzando il dibattito di politica economica in
Europa e in particolar modo in Italia ed è divenuto oramai un tema di acceso interesse per l’opinione
pubblica e il mondo accademico. Studiosi e giornalisti sono concordi nell’enfatizzare le condizioni
sfavorevoli delle giovani generazioni nel mercato del lavoro, sia rispetto agli adulti e agli anziani, sia
rispetto ai giovani delle precedenti generazioni, tanto da riferirsi sovente ai più giovani con termini quali
generazione sacrificata, generazione zero, generazione 1.000 euro. Il Financial Times ha recentemente
parlato di “lost generation” per sottolineare la forte caduta dei salari dei più giovani rispetto alle
generazioni precedenti.
di Paolo Naticchioni, Michele Raitano and Claudia Vittori
A questo proposito, in un nostro recente lavoro ci siamo domandati se nel corso del tempo (anche prima
della crisi) in Italia la dinamica dei salari percepiti all’inizio della carriera abbia registrato uno
scivolamento verso il basso nel passaggio da una generazione all’altra.
Riferendoci al periodo 1980-2009, abbiamo osservato l’andamento delle retribuzioni di un campione di
lavoratori dipendenti privati seguiti nei primi 6 anni della loro attività. I lavoratori sono stati distinti in tre
generazioni: i nati tra il 1965 e il 1969, i nati tra il 1970 e il 1974 e, infine, i nati tra il 1975 e il 1979, che
rappresentano l’ultimo gruppo per il quale i dati consentono di seguire con buona rappresentatività le
dinamiche retributive di inizio carriera.
La curve mostrate nella fig. 1 rappresentano l’andamento delle retribuzioni nei primi 6 anni di attività per
le diverse generazioni, come risulta dalle nostre stime 1. Il termine di riferimento è rappresentato dalla
retribuzione percepita, nel primo anno di impiego, dalla generazione 1965-1969, che ha valore 1, e tutti
gli altri valori sono relativi a quest’ultimo. L’anno iniziale considerato non è quello dell’ingresso nel
mercato del lavoro, ma quello successivo, in modo da eliminare l’influenza del mese nel quale si è
verificato l’ingresso.
I dati sono inequivocabili: nella fase iniziale della carriera, la generazione degli attuali 35-39enni è stata
chiaramente svantaggiata rispetto alle due coorti precedenti, dato che ha subito una marcata perdita di
salario sin dall’entrata in attività, senza alcun recupero negli anni successivi. Sintetizzando, rispetto alla
generazione più anziana i nati nella prima metà degli anni ’70 hanno subito una perdita cumulata nella
prima fase di carriera pari a poco meno di 5.000 euro, che cresce a circa 8.100 euro per coloro che sono
nati nella seconda metà degli anni ’70. E questi risultati non risentono del diverso andamento
dell’economia al succedersi delle generazioni, dato che abbiamo tenuto conto di questi effetti nelle nostre
stime.
Fig. 1: Stime dell’evoluzione delle retribuzioni medie annue lorde per coorte di nascita

Elaborazioni da dati AD-SILC
La caduta dei salari di ingresso a discapito delle generazioni più giovani è un fenomeno piuttosto
generalizzato; essa risulta da studi riferiti agli Stati Uniti, al Canada, al Regno Unito e all’Italia. Ciò che
finora non è stato indagato è se tale scivolamento sia stato omogeneo fra tutti i lavoratori o abbia colpito
alcuni più di altri.
Nel nostro studio dell’evoluzione fra le generazioni delle retribuzioni iniziali abbiamo distinto i lavoratori
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