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Infolampo: Molestie – Violenza

Se le molestie sessuali vi sembran poche
La rapida diffusione del movimento #meetoo ha avuto il merito di portare in superficie un problema
diffuso e radicato in tutto il mondo del lavoro. Cosa fa (e cosa deve ulteriormente fare) il sindacato per
contrastare efficacemente il fenomeno
di Agnese Palma
Nel 1905, a Limoges, nella famosa fabbrica di porcellane, le molestie sessuali di un caposquadra
provocarono uno sciopero delle lavoratrici e dei lavoratori. In quella zona c’erano già fermenti e
agitazioni per la condizione di bassi salari degli operai, e ancora di più delle operaie. Il licenziamento di
una giovane operaia che non aveva ceduto alle attenzioni del caporeparto fece scattare la scintilla che
provocò la protesta delle operaie, sostenute anche dagli
uomini. Quella scintilla diede avvio a una dura stagione di
lotte in quella zona della Francia.
Le molestie sul posto di lavoro sono un problema antico.
Fin dalla nascita del movimento operaio, figlio della
rivoluzione industriale del diciannovesimo secolo, le donne
che entravano nelle fabbriche, più sfruttate e sottopagate
degli uomini, erano da subito sottoposte anche a molestie
sessuali e ricatti. Volantini e manifesti del nascente
movimento operaio riportano testimonianze, insieme alle
denunce delle condizioni di lavoro, di abusi dei padroni e
dei capireparto, qualche volta esplicitando i nomi dei
molestatori. Il coraggio e la dignità di quelle lavoratrici ci è
ancora di insegnamento.
In quella fabbrica di Limoges, per mezzo dello sciopero, lo
strumento sindacale per eccellenza, per la prima volta la
molestia sessuale esce dalla dimensione privata, dove la
donna è sola, e diventa denuncia pubblica, sfatando la narrazione del “caso isolato” che sopravvive ancora
oggi. La rapida diffusione in tutto il mondo del movimento #meetoo, a dispetto delle polemiche e dei
tentativi di screditamento, ha avuto il merito di portare in superficie un problema diffuso e radicato non
solo nel mondo dello spettacolo, ma in tutto il mondo del lavoro.
Per quanto se ne parli come di un tema di attualità, quasi fosse una scoperta, sappiamo che si tratta di un
problema con cui le donne hanno dovuto fare i conti sin da quando sono entrate nel mondo del lavoro. E
su questo tema anche il sindacato, a volte in modo consapevole e convinto, altre volte spinto dalle
lavoratrici e dalle sindacaliste, si è impegnato (e si deve ulteriormente impegnare) a contrastare
efficacemente il fenomeno.
Cosa è cambiato in un secolo e mezzo? La storia la conosciamo tutti, una lunga storia fatta di lotte,
Leggi tutto: https://www.rassegna.it/articoli/se-le-molestie-sessuali-vi-sembran-poche
Il lavoro delle donne cambia il
mondo

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Nigeria, Italia. Mondi connessi dalla violenza di genere
Nel 2016 le donne di nazionalità nigeriana sbarcate sulle coste italiane sono state 11.009, molte di più
rispetto alle circa 5.000 del 2015 e alle 1.500 del 2014. Circa l’80% di queste ragazze sono diventate
potenziali vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale. Inoltre, il 59,4% delle sopravvissute alla
tratta inserite nei programmi di protezione sociale è nigeriano.
Sono alcuni dei dati diffusi dal rapporto Mondi connessi. La migrazione femminile dalla Nigeria all’Italia
e la sorte delle donne rimpatriate, realizzato da Actionaid insieme alla cooperativa BeFree a partire
dall’analisi di sessanta verbali di audizioni di donne nigeriane segnalate come presunte vittime di tratta
presso la Commissione territoriale di Roma, tra il 2016 e il 2017, per il riconoscimento della protezione
internazionale.
Il fattore principale che spinge le donne nigeriane a lasciare il proprio paese per raggiungere l’Italia è la
violenza di genere, spiega il rapporto, un “fattore di espulsione” che relega le donne ai margini della
società nigeriana fino a costringerle alla partenza. La violenza di genere dentro e fuori dalle mura
domestiche in Nigeria costituisce infatti la ragione principale dell’espatrio nel 61% dei casi analizzati. Il
33,3% delle donne fugge da situazioni di estrema povertà. Nel 66% dei casi sono donne con un’età
compresa tra i 19 e i 24 anni e il loro arrivo in Italia è molto recente (l’86,7%), tra il 2015 e il 2017.
“Le differenze di genere divengono, spesso indipendentemente dai contesti, disuguaglianza di genere:
essere donne significa avere meno potere, risorse più scarse, maggiori ostacoli nell’accesso all’istruzione,
all’occupazione; all’essere donna è attribuito uno status di inferiorità, di mancanza, di disvalore” ha
commentato Livia Zoli, responsabile dell’Unità Global Inequality & Migration di ActionAid. “Per questi
motivi, parlare di migrazione non è un fatto neutro. L’approccio di genere è indispensabile per
comprendere le diverse forme di espulsione dalla società, sia nel contesto d’origine che in quello
d’approdo. Questo è uno degli aspetti cruciali del rapporto: la tratta si configura come uno degli strumenti
in mano al potere maschile nell’esercitare violenza, quale parte di un sistema di dominio basato sul
genere, che rende la violenza contro donne e ragazze estremamente redditizia e contribuisce a sancire
l’abuso strutturale dei diritti delle donne”.
Il rapporto, che si concentra anche sulla sorte delle donne rimpatriate forzatamente in Nigeria dall’Italia e
dall’Europa – con interviste a donne inserite nei due progetti condotti dal Committee for the Support of
the Dignity of Woman (COSUDOW), a Lagos e a Benin City – mette in evidenza l’inadeguatezza delle
normative e delle politiche del sistema italiano, non in grado di garantire la necessaria protezione e il
rispetto dei diritti umani delle migranti.
A governo e parlamento italiani Actionaid ha rivolto richieste precise: applicare pienamente l’articolo 18
del Testo Unico sull’immigrazione, prevedendo una maggiore durata del permesso di soggiorno e
rafforzando il sistema di protezione anti-tratta sostenuto dal Dipartimento per le pari opportunità della
Presidenza del consiglio; aumentare la disponibilità di alloggi protetti per le richiedenti asilo presunte o
potenziali vittime di tratta; migliorare le procedure di identificazione, evitando rimpatri forzati; un
cambiamento radicale del cosiddetto decreto sicurezza, per permettere alle donne migranti irregolari di
rivolgersi agli enti giudiziari e alle forze dell’ordine senza il timore di essere detenute o rimpatriate;
chiudere le strutture di detenzione amministrativa e trattenimento dei migranti perché violano gravemente
la Costituzione, le norme internazionali e la Direttiva 2008/115/CE sul rimpatrio degli stranieri in
condizione di soggiorno irregolare; eliminare il criterio e la lista dei cosiddetti paesi sicuri; istituire un
osservatorio che verifichi le condizioni di accoglienza riservate alle donne richiedenti asilo e titolari di
protezione nelle diverse strutture, comprese quelle detentive.
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