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Infolampo: congresso – autonomia

La Cgil c’è: la nostra sfida per il Paese
Nella sua relazione di apertura Susanna Camusso ribadisce le dure critiche al governo e rilancia la
manifestazione unitaria del 9 febbraio. L’attualità della Carta dei diritti. Il sindacato in campo per
un’Europa diversa
A cura di Emanuele Di Nicola, Stefano Iucci, Davide Orecchio
Un minuto di silenzio per le donne, gli uomini e i neonati morti nel Mediterraneo per l’egoismo
dell’Europa. Susanna Camusso ha aperto così il XVIII congresso della Cgil che si tiene alla Fiera del
Levante di Bari e che porterà all’elezione del nuovo
segretario generale del più grande sindacato italiano.
L’assise si svolge significativamente “nella terra di
Giuseppe Di Vittorio”, come ha scandito Camusso: “Noi
non ci stancheremo mai, ovviamente, di ricordarlo e di
trarre profitto dai suoi insegnamenti”.
La Carta dei diritti: un progetto inclusivo
In apertura la sindacalista ha ricordato l’importanza, in un
contesto come quello attuale, del sindacato confederale
come “luogo di crescita, di emancipazione, difensore della
democrazia, che sa sempre mantenere le sue radici”, come
“capacità di rappresentare l’universo del lavoro, di chi lo
cerca, di chi lo ha magari precario, di chi ha lavorato una
vita”. È proprio a partire da questa logica inclusiva che è
nata la Carta dei diritti universali del lavoro: si tratta di
una “proposta innovativa che definisce il lavoro, che interviene nel superare logiche di dualità e precarietà
per ricomporle nella dimensione dei diritti, che proprio in quanto diritti sono in capo alla persona”. Per
questo, “dopo una mobilitazione sindacale e civile che nella raccolta firme ha coinvolto milioni di
persone. Sarà nostro impegno e cura ricordare al Governo che invece di ledere il ruolo del Parlamento
farebbe bene a confrontarsi sulle leggi di iniziativa popolare. Pensiamo sia fondamentale che il
Parlamento discuta del nuovo diritto del lavoro, certo pensiamo all’articolo 18 ma non solo, ragioniamo
del nuovo diritto del lavoro; in molti accordi abbiamo riconquistato diritti, dobbiamo estenderli e
rafforzarli, anche così si dà senso e si lotta per l’affermazione della carta dei diritti”.
Il 9 febbraio in piazza contro una manovra inadeguata
Camusso ha anche ricordato l’importanza dei rapporti unitari con Cisl e Uil, con cui ”abbiamo elaborato
la nostra Piattaforma per il Paese, e a partire da questa, dato un giudizio largamente critico e severo della
manovra e indetto la manifestazione nazionale del 9 febbraio”. “Lavoriamo per una grande
manifestazione, per una stagione di vera e propria vertenza con il Governo”, ha aggiunto. “Sappiamo
bene che raggiungere questo obiettivo richiede un forte e straordinario rapporto con lavoratori, lavoratrici,
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L’eredità di Camusso

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Autonomia regionale differenziata e “secessione dei
ricchi”
Le iniziative delle regioni Veneto e Lombardia per acquisire una maggiore autonomia regionale sono
esplicitamente finalizzate ad ottenere, sotto forma di quote di gettito dei tributi che vengono trattenute in
regione, risorse pubbliche maggiori rispetto a quelle oggi spese dallo Stato a loro favore. Quello delle
risorse è stato il tema dominante della campagna referendaria in entrambe le regioni: era comune
l’invito a sostenere l’iniziativa per conquistare la maggior quota possibile del cosiddetto “residuo
fiscale”; quota esplicitamente quantificata nei 9/10 dei tributi riscossi in regione nel disegno di legge
approvato in Veneto nel novembre 2017.
Scritto da: Gianfranco Viesti
Con risorse pubbliche nazionali disponibili date (e comunque difficilmente aumentabili date le condizioni
della finanza pubblica italiana), questo significa spostarne una quota maggiore a loro favore,
conseguentemente riducendole per i cittadini delle altre regioni italiane a statuto ordinario. Configurando
così una vera e propria “secessione dei ricchi”: le regioni a più alto reddito trattengono una parte
maggiore delle tasse raccolte nel proprio territorio, sottraendola alla fiscalità nazionale.

Il tema del “residuo fiscale” non è certamente nuovo. Esso appartiene all’armamentario politico-
ideologico costruito, sin dagli anni Novanta del XX secolo, dalla Lega Nord, con le sue battaglie contro

“Roma ladrona” e il Mezzogiorno, e per la “riconquista” dei soldi del Nord. La questione ha però
conosciuto uno slancio del tutto nuovo negli ultimi anni. Con tutta probabilità, si tratta di uno degli effetti
della lunga e profonda crisi che ha colpito l’Italia. La caduta dei redditi ha prodotto difficoltà sociali in
tutto il paese: più intense e diffuse nel Centro-Sud, ma sensibili anche al Nord. Le misure di austerità
hanno notevolmente ridotto le risorse disponibili per Regioni ed Enti Locali, sia correnti sia per gli
investimenti; hanno contenuto fortemente le dotazioni del Fondo Sanitario Nazionale. I risultati
economici delle regioni del Centro-Sud sono stati pessimi, e le hanno molto allontanate dalle medie
europee nel reddito-pro capite. Ma anche le più ricche regioni del Nord hanno avuto un andamento
negativo, molto peggiore rispetto alle aree più avanzate del continente.
Questo ha rafforzato in larghe fasce delle classi dirigenti politiche ed economiche in particolare di
Lombardia e Veneto (ma anche in Emilia), l’idea che sia necessario disporre autonomamente della parte
maggiore possibile del gettito fiscale generato nei propri territori, anche mettendo in secondo piano i
principi costituzionali di eguaglianza fra tutti i cittadini italiani; la convinzione che sia assai più
importante promuovere la competitività delle aree già più forti del paese, piuttosto che puntare ad un
rilancio dell’intera economia nazionale. Ciò si è accompagnato ad una rinnovata enfasi sul “teorema
meridionale”, cioè sulla descrizione del Mezzogiorno come terra della cattiva amministrazione e dello
spreco di grandi risorse pubbliche (sul “teorema meridionale” cfr. G. Viesti, Mezzogiorno a tradimento. Il
Nord, il Sud e la politica che non c’è, Laterza 2009; Il Sud vive sulle spalle dell’Italia che produce: falso!,
Laterza 2013).
Con le iniziative sull’autonomia differenziata si concretizza una “secessione dei ricchi”. Essa avviene
stabilendo per principio, come già previsto nelle Pre-Intese siglate con il governo Gentiloni nel febbraio
2018, che le risorse nazionali da trasferire per le nuove competenze siano parametrate, dopo un primo
anno di transizione, a fabbisogni standard calcolati tenendo conto anche del gettito fiscale regionale; e
fatto comunque salvo l’attuale livello dei servizi (cioè prevedendo variazioni solo in aumento).
Il gettito fiscale non è stato sinora mai considerato nei complessi calcoli dei fabbisogni standard per i
Comuni, collegati sempre e solo alle caratteristiche territoriali e agli aspetti socio-demografici della
popolazione. Rapportare il finanziamento dei servizi al gettito fiscale significa stabilire un principio
estremamente rilevante: i diritti di cittadinanza, a cominciare da istruzione e salute, possono essere diversi
fra i cittadini italiani; maggiori laddove il reddito pro-capite è più alto.
Al di là del riferimento al gettito fiscale, definire i fabbisogni standard per quantificare i costi dei servizi
pubblici è certamente opportuno. Il passaggio da un sistema di finanziamento basato sulla spesa storica ad
uno basato su parametri oggettivi di fabbisogno è tuttavia assai complesso. Non solo tecnicamente; ma
perché esso richiede un’azione politica di mediazione degli interessi delle diverse comunità coinvolte.
L’uso di diversi indicatori tecnici può infatti produrre esiti assai differenti. Le esperienze del nostro paese
lo indicano chiaramente: i criteri di ripartizione del Fondo Sanitario Nazionale, che contrariamente a
quanto originariamente previsto dalla legge 662/96 sono stati poi principalmente basati solo su una quota
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