Infolampo: Donne – Democrazia
Una donna uccisa ogni 60 ore
La violenza contro le donne ha numeri da capogiro. E se i delitti comuni diminuiscono di quasi il 40%,
quelli in ambito familiare no. Su 116 donne uccise nel 2016, 111 sono state ammazzate da mariti,
fidanzati, ex. Ancora troppe le denunce archiviate
di Silvia Garambois
Antonietta ha perso le figlie, lei è viva praticamente “per sbaglio”: ha sparato anche a lei. Eppure aveva
chiesto aiuto a tutti contro quel marito carabiniere diventato
violento e ossessivo – alle forze dell’ordine, agli amici, ai
familiari, agli assistenti sociali, al parroco – ma non voleva
denunciarlo in modo formale perché lui avrebbe “rischiato di
perdere il lavoro”. Imma, invece, lo aveva già denunciato quel
marito che l’ha uccisa davanti alla scuola della figlia, a
Terzigno, ma non è bastato. Laura no, non aveva mai segnalato
il suo compagno violento, ne era solo scappata…
2018: una donna uccisa ogni 60 ore…
E allora viene un brivido a leggere nella relazione finale della
Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio,
ultimo atto depositato della passata legislatura, che “circa un
quarto delle denunce presentate contro soggetti noti vengono
archiviate”. Anche perché poi se la giustizia va avanti non
finisce ovunque allo stesso modo: quando un marito (un
fidanzato, un ex) arriva davanti ai giudici del tribunale “le
percentuali di assoluzione variano abbastanza sensibilmente sul
territorio nazionale, passando da un minimo del 12,6% del distretto di Trento al 43,8% di Caltanissetta”.
E dopo? Che succederà “dopo”?
Tribunali, polizia, carabinieri, centri antiviolenza: dati differenti, “non è stato previsto nemmeno –
ammette il Parlamento -, fino al Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere
adottato nel luglio 2015, un sistema integrato di raccolta e di elaborazione dei dati”. Che comunque
ancora non funziona. Ma il nodo sempre quello resta: dal 2011 al 2016 i delitti comuni sono diminuiti di
quasi il 40%, quelli “in ambito familiare” no. Su 116 donne uccise nel 2016, 111 sono state ammazzate
dal marito, dal fidanzato, dall’ex. Nell’ultimo anno sono ancora di più.
La violenza contro le donne ha numeri da capogiro. Poco meno di 7 milioni di donne tra i 16 e i 70 anni
(quasi una su tre) riferiscono di aver subìto una qualche forma di violenza fisica o sessuale nella propria
vita, dalle forme meno gravi (come lo strattonamento o la molestia) a quelle più gravi, come il tentativo di
strangolamento o lo stupro.
Dal 2011 al 2016 ci sono stati oltre 30mila procedimenti per maltrattamenti in famiglia (14mila nel 2016,
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Polizia penitenziaria, sui
distintivi torna l’aquila romana
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Luciana Castellina: «La democrazia ormai ha le ossa
rotte»
Le elezioni, la sinistra in frantumi, il web, le donne e l’ottimismo della volontà. Incontro a tutto campo
con l’intellettuale che si innamorò del comunismo
di Maurizio Di Fazio
Che avesse una grinta fuori dalla norma risultò evidente già in quel lontano 1943, lei aveva appena 14
anni, subito dopo l’8 settembre, prese di petto due ufficiali della Wehrmacht e sibilò loro: “Ve ne dovete
andare”. Lei, ragazza dei Parioli, dove vive tuttora, che era andata a scuola con Anna Maria, la figlia del
duce, con cui giocava a Villa Torlonia. E poi l’incontro fatale col comunismo, un amore a prima vista,
destinato a divampare per sempre. L’iscrizione al partito nel 1947 e l’apprendistato proletario nelle
borgate. Botteghe Oscure e il Liceo Tasso, la Fgci e la laurea in legge alla Sapienza. Le fabbriche, la
classe operaia, la lotta di classe, la libertà che “o è sostanziale, condivisa, di tutti o è una roba meschina”.
La sua bellezza stentorea, naturale, smagliante, che mandava in estasi i compagni più del migliore
discorso del Migliore Togliatti e che dura ancora oggi, che di anni ne ha quasi 89 ma spande fascino ed
energia come se ne avesse 30 o 40. Il matrimonio con Alfredo Reichlin e i viaggi senza requie
nell’Unione Sovietica, nella Germania dell’Est, nelle nazioni in effervescenza rivoluzionaria o sotto tiro
di un colpo di Stato. La politica e il giornalismo caparbiamente in prima linea. La fondazione, insieme a
Lucio Magri, Valentino Parlato, Rossana Rossanda, Luigi Pintor e Aldo Natoli, del Manifesto. Le critiche
da sinistra al Pci a tinte troppo brezneviane e la loro radiazione dal partito nel 1969. I libri, le esperienze
da parlamentare ed eurodeputata nel Pdup e nella nascente Rifondazione comunista, i 37 voti presi nella
prima elezione del presidente della Repubblica nel 2015.
L’incontro con Luciana Castellina, donna straordinaria e intellettuale irriducibile, tra le ultime grandi
autorità morali e civili di sinistra, a Pescara, è a margine di un incontro organizzato dall’Arci sui cent’anni
della rivoluzione d’ottobre. Colpisce la sua affabilità, la sua modernità, il suo fascino incrollabile, la sua
modestia. Il suo perpetuo desiderio di scommettere, a mezzo secolo dal Sessantotto, sulla politica, sulla
felicità a venire, su un qualche Sol dell’Avvenire. Il suo portare, tuttora, ineluttabilmente, “il Vietnam
dentro”.
Cara Luciana, la sinistra è uscita a pezzi da queste elezioni. Se l’aspettava?
“Sì, ma le cose sono andate peggio della mia immaginazione. Ma non è la sinistra che è andata in
frantumi: a esserne uscita con le ossa rotte è la democrazia, che non è comunicazione e mera ricerca del
consenso, come fosse l’auditel della tv, guardo se c’è un trenta per cento contro gli immigrati e allora
prendo quella linea (l’accenno a Di Maio è del tutto casuale…). La politica dovrebbe essere costruzione
di senso, di un’idea, un progetto di società, e dovrebbe prevedere la partecipazione della gente perché
l’orientamento dell’elettorato si può fare solo attraverso un vero confronto, un dibattito, una selezione
delle persone che ti andranno poi a rappresentare sulla base delle esperienze che hanno maturato sul
territorio. È lì che si costruisce la fiducia, la capacità di rappresentanza e tutto questo, se manca, conduce
a risultati perniciosi. La democrazia fondata solo su un voto ogni cinque anni non è vera democrazia. È
una specie di farsa. Il cammino è lungo, ma resto un’ottimista della volontà”.
Il Pd può riacquistare forza, secondo lei? E se sì, come?
“La sinistra ha sofferto appunto l’equivoco di un partito, quello democratico, che si definiva di sinistra
pur praticando da tanto tempo una politica di destra. Questo ha finito per confondere la testa di tutti”.
Si aspettava anche il flop di Liberi e Uguali?
“Ho pensato che Liberi e Uguali fosse un soggetto politico su cui puntare perché il fatto che l’intero
gruppo dirigente del vecchio partito comunista, la cosiddetta Ditta (responsabile, certo, di aver aperto la
strada a Renzi…) fuoriuscisse e criticasse tutto il lavoro di governo portato avanti dal Pd, rappresentava
un fatto importante e radicale, una scossa, che invitava alla riflessione critica. Inoltre il programma di Leu
era l’esatto opposto di quello del partito democratico: sul Jobs Act, sugli immigrati, sulla scuola, su tutto.
Pensavo: il vecchio corpo del fu Pci potrebbe svegliarsi. E invece no, mi sono sbagliata, perché quel
corpo è ormai defunto e in ogni caso non ha avuto più fiducia, ha votato per i 5 Stelle perché bisognava
comunque dare una botta al vecchio sistema”.
C’è qualche nuovo politico italiano di sinistra su cui scommetterebbe per il futuro?
“Già se parliamo di un leader chiamato a riscattare la sinistra, significa che non è di sinistra. Il leaderismo
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