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Infolmpo: sanità – bonus

public-health_origUna sanità uguale per tutti: vertice a Roma
Incontro tra il ministro della Salute Beatrice Lorenzin e i sindacati sui Livelli essenziali di assistenza. Ma
il confronto è anche l’occasione per affrontare molti altri temi: dai finanziamenti alle liste d’attesa, dalla
non autosufficienza ai superticket
Garantire i Livelli essenziali di assistenza (Lea) in tutta Italia, superando il forte divario tra Nord e Sud.
Ma anche l’abolizione dei superticket, l’abbattimento delle liste di attesa, il “pieno” rifinanziamento del
Servizio sanitario nazionale (Ssn). Sono questi i temi che Cgil, Cisl e Uil portano oggi (mercoledì 15
novembre) all’incontro che si tiene a Roma, alle ore 15 presso il ministero della Salute, tra la titolare del
dicastero Beatrice Lorenzin e i sindacati (per la Confederazione partecipa il segretario confederale
Rossana Dettori). Un vertice nel quale le organizzazioni dei
lavoratori chiederanno al Governo di cambiare radicalmente
atteggiamento, investendo sul Ssn e decidendo che la salute
diventa un’attività comune, insieme al lavoro, dell’agenda
politica.
La situazione dei Livelli essenziali di assistenza presenta una
notevole divaricazione tra le diverse aree del Paese. Secondo il
Rapporto finale relativo alla “Verifica adempimenti Lea – Anno
2015”, redatto dal ministero della Salute (sulla base di 35
indicatori) e pubblicato il 12 ottobre scorso, sono cinque le
Regioni che non riescono a garantire i Lea, tutte del
Mezzogiorno: Molise, Calabria, Puglia, Sicilia e Campania. Un
dato che peggiora quello del 2014, quando le “inadempienti”
erano solo tre. In generale i dati più critici si rilevano nella
copertura vaccinale dei bambini (in particolare contro morbillo,
parotite e rosolia) e in quella antinfluenzale degli anziani (anche
se in lieve miglioramento), nelle attività di screening, nella
prevenzione veterinaria e nell’appropriatezza dell’assistenza
ospedaliera (riguardo, ad esempio, l’elevata percentuale di parti
cesarei primari). Per quanto concerne l’assistenza territoriale,
infine, le maggiori difficoltà si evidenziano nella presa in carico
degli anziani nelle strutture residenziali, in particolare nelle regioni meridionali dove l’offerta di posti
letto è carente.
“Cinque milioni di persone non accedono più al Servizio sanitario nazionale, mentre il 76 per cento dei
cittadini deve spendere di tasca propria per la cura e l’assistenza ad anziani, non autosufficienti, disabili,
bambini con malattie rare, di cui lo Stato non si occupa. Sono cifre drammatiche, che denunciamo da
tempo” ha spiegato il segretario confederale Rossana Dettori, in una recente intervista a RadioArticolo1:
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Immigrazione e sindacato

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Bonus 80 euro: facciamo il punto
La concomitanza delle affermazioni dell’ex Presidente del Consiglio Renzi – che ha definito il bonus 80
euro mensili come una grande operazione di redistribuzione del reddito a favore delle classi medie e
medio-basse – con l’intervento di manutenzione messo in atto nel recente DDL di Bilancio per il 2018 –
che modifica il range entro il quale il bonus decresce fino all’annullamento, portandolo da 24.000-
26.000 a 24.600-26.600 euro di reddito complessivo – spingono ad una riflessione aggiornata su questo
istituto. Il bonus – che costa allo Stato circa 9 miliardi annui, una somma ingente, dell’ordine di
grandezza delle complessive detrazioni per carichi familiari – è oggi, a tutti gli effetti, un assegno di 80
euro mensili (960 euro annui) spettante per intero ai soli dipendenti e collaboratori continuativi con
redditi compresi tra la soglia di capienza Irpef (8.150 euro da certificazione del datore per chi lavora
l’intero anno) e 24.000 euro di reddito complessivo annuo; oltre questa soglia la spettanza si riduce
rapidamente e in modo lineare, fino ad annullarsi a 26mila euro complessivi.
di Fernando Di Nicola
In primo luogo pare utile qualche considerazione generale sull’anomala funzione redistributiva di questo
strumento. Sebbene gli indicatori sintetici di disuguaglianza registrino un leggero miglioramento, esistono
almeno quattro ragioni che sconsigliano di considerare il bonus 80 euro un efficace strumento
redistributivo:
E’ riservato ai soli dipendenti e assimilati (tra cui i parasubordinati);
Tra costoro, esclude la gran parte dei soggetti a basso reddito;
L’indicatore del reddito complessivo o da lavoro dipendente, che definisce il diritto alla fruizione del
bonus, è in generale inappropriato, ed in pratica indirizzato a soggetti spesso non bisognosi, che
andrebbero invece individuati con riferimento al complesso dei redditi ed al nucleo familiare.
Sia in corrispondenza del reddito oltre il quale si acquisisce il diritto al bonus, sia nel range di
decrescenza, si generano aliquote marginali implicite altissime e di segno opposto, dagli effetti deleteri
per l’azione redistributiva del sistema tax benefit, oltre che per un’attribuzione irrazionale dei benefici
conseguenti a un aumento (o riduzione) di lavoro.
Per quanto riguarda il primo punto, colpisce l’esclusione, pur all’interno dei soli dipendenti e assimilati,
dei soggetti a minor reddito, cioè coloro che, con una retribuzione lorda inferiore ai 9.000mila euro annui,
sono a maggior rischio di povertà: dipendenti dei call center, lavoratori esecutivi dei segmenti bassi di
mercato, dipendenti con contratti a termine, esposti a discontinuità e con posti di lavoro “deboli”.
Se il bonus fosse stato esteso a queste tipologie di lavoratori, l’aggravio per la finanza pubblica sarebbe
stato di circa un miliardo ma l’ impatto sul reddito disponibile e sulla povertà sarebbe stato di tutto
rilievo, come è facile intuire pensando all’incidenza di 80 euro mensili netti su redditi estremamente
bassi. E’ da notare che, per questa esclusione, non è stata data (né peraltro chiesta) alcuna giustificazione.
Il fatto poi che il bonus sia riservato ai dipendenti e assimilati non a basso reddito, cioè a categorie che tra
assicurazioni sociali ed entità della retribuzione lorda presentano in generale un rischio di povertà
decisamente inferiore a quello di altre categorie, qualifica l’istituto – il cui costo, come si è detto, supera i
9 miliardi annui – come inefficiente in termini di contrasto alla povertà, oltre che di azione redistributiva
(il recente strumento specifico anti povertà, il SIA 2017, divenuto REI dal 2018, attribuisce ai nuclei
definiti poveri circa 1,8 miliardi annui e si tratta probabilmente di una sovrastima se si considera la
consueta griglia di requisiti molto stringenti richiesti per fruirne, che tende a deludere le aspettative create
dagli annunci).
Inoltre, per svolgere un’azione redistributiva e contrastare la povertà uno strumento dovrebbe essere
erogato in base ad uno o più indicatori appropriati per identificarla. E invece il bonus, in cifra fissa nel
range di fruizione non decrescente (attualmente 8.150-24.000 euro), è attribuibile in base ad un mix di
reddito di specie e “reddito complessivo”, l’indicatore reddituale individuale Irpef sulla cui inadeguatezza
come misuratore del tenore di vita tutti concordano – a maggior ragione dopo le ripetute esclusioni di
significative fattispecie reddituali. D’altronde, per gli assegni familiari, per il SIA/REI e per la misura
della compartecipazione ai servizi pubblici sono stati definiti indicatori diversi, ma accomunati da alcune
caratteristiche, quali il riferimento alla globalità dei redditi, alle scale di equivalenza e all’ ambito
familiare.
Infine, i limiti reddituali che governano l’acquisizione e la perdita determinano paradossali effetti
redistributivi. Da un lato, la corresponsione del bonus al superamento della soglia di 8.150 euro annui
determina una forte aliquota marginale implicita di segno negativo, in pratica un aumento di reddito di
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