La lenta ripartenza senza occupazione
Come va l’Italia? Riusacirà a lasciarsi alle spalle la più tremenda recessione del dopoguerra? E la modesta ripresa in atto potrà portare con sé un po’ di lavoro in più? Nel rapporto annuale Istat che viene presentato stamattina dal presidente Giorgio Alleva è ragionevole cercare risposte a queste domande. Ma le 280 pagine del volume raccontano una storia un po’ più complicata, fatta di eccellenze e di vecchi difetti, di aggregazioni virtuose e di diseguaglianze: un Paese in cui alcuni tra i bravi sono sempre più bravi ma il Mezzogiorno rimane ai margini. assente com’è, da anni, dall’elenco delle priorità. L’immagine insomma è dettagliata, ma profondamente disomogenea.
Ecco quindi che dietro il ritorno alla crescita, lo 0, 3 per cento che si è materializzato nel primo trimestre di quest’anno, ci sono soprattutto le imprese che hanno saputo cambiare, all’occorrenza abbandonare la propria rassicurante specialità produttiva, mettersi in rapporto tra loro per fare rete: non necessariamente lungo le linee geografiche tradizionali dei distretti industriali , alcuni dei quali anzi non riescono ad adattarsi al nuovo scenario di competizione globale. Sono ancora un punto di forza le aree urbane, dove la capacità di connettersi spinge sviluppo e crescita del reddito.
Ecco anche un mondo del lavoro percosso dalla crisi ma allo stesso tempo inchiodato ai propri ritardi: se il tasso di occupazione, oggi al 56 per cento, si attestasse invece alla media europea del 65, i lavoratori in più sarebbero 3,5 milioni, di cui 2,5 milioni donne. Eppure in questi anni durissimi proprio l’occupazione femminile ha tenuto, facendo anche segnare un piccolo risultato positivo (+64 mila) a fronte degli 875 mila lavoratori maschi in meno tra il 2008 e il 2014. Risultato di una serie di fattori molto diversi: il contributo delle straniere, l’esigenza di supplire al partner disoccupato, l’innalzamento dell’età pensionabile che ha lasciato in pista molte ultracinquantenni, ma anche l’avanzare di una generazione di donne più istruite e più abituate a lavorare.
I giovani restano l’anello debole; eppure i numeri dicono che l’istruzione premia, se tra i laureati i disoccupati sono solo l’8 per cento e il tasso di occupazione raggiunge il 75. E a i livello più alti del percorso formativo ci sono i dottori di ricerca che in misura sempre maggiore scelgono di lavorare all’estero. Il segnale è quanto meno ambiguo: da una parte evidenzia un buon sistema universitario, dall’altra ci ricorda come il nostro Paese faccia fatica a risultare attrattivo per questi giovani ma anche per gli stranieri brillanti. Tra le professioni potenzialmente vincenti spiccano quelle intellettuali, scientifiche e di alta specializzazione, ma anche quelle legate ai servizi alla persona, sempre più richieste dalle famiglie.
Allungando lo sguardo ai prossimi mesi, emerge un contesto internazionale ancora favorevole, per l’azione della Bce, i bassi prezzi energetici e la svalutazione dell’euro In questo contesto si deve però rafforzare la domanda interna, in particolare la componente investimenti. Gli investimenti, crollati tra il 2008 e il 2014, hanno mostrato segnali di ripartenza: è questa per Alleva la “vera chiave” della ripresa.