Eppure, uno shock c’è stato. In Francia, il partito di estrema destra e antieuropeo del Rassemblement National è arrivato primo con un risultato di quasi il 32% dei consensi espressi, doppiando la maggioranza presidenziale europeista del Presidente Macron, che ha reagito convocando le elezioni anticipate dell’Assemblea nazionale tra poco meno di un mese. In Germania, Alternative für Deutschland, nonostante gli scandali e le chiare simpatie neo-naziste, ha ottenuto il 16% dei consensi superando l’SpD del cancelliere Scholz e diventando il partito più votato nell’Est del Paese. In generale le forze populiste ed euroscettiche sono cresciute ovunque in Europa arrivando a quasi un quarto degli eletti nell’europarlamento. Si tratta di una tendenza innegabile ed estremamente pericolosa. C’è una parte crescente dell’opinione pubblica pronta a cedere alle sirene dei populisti e degli estremisti che nelle loro diverse declinazioni (di destra e di sinistra) sono sostanzialmente accomunati dall’ostilità verso il progetto di unificazione europea. Se nei decenni precedenti questo rigetto si traduceva in proposte massimaliste, quali l’uscita dall’Unione, l’abolizione della moneta unica o la soppressione delle istituzioni sovranazionali, la nuova strategia dei partiti anti-europei punta alla riproposizione dell’Europa delle nazioni dove gli interessi egoistici dei singoli Stati prenderanno il sopravvento: si tratta di un vero e proprio sabotaggio del processo di integrazione europea dall’interno, dal momento che l’uso continuo dei veti nazionali renderebbe l’Unione sostanzialmente incapace di agire e di portare avanti le sue politiche.
L’ascesa del nazionalismo euroscettico, che rischia di prendere il potere in Paesi chiave quali la Francia, non può però essere compresa fino in fondo se non viene letta anche in relazione alle crescenti spinte federaliste che stanno animando il campo europeista. Se per molto tempo, le forze pro-europee tradizionali sono state caratterizzate da un certo torpore, nel senso che si limitavano e difendere l’Europa unita che già c’era e a promuovere l’idea di un lento progresso funzionalista dell’integrazione, negli ultimi anni il moltiplicarsi dei nemici dell’Unione, interni ed esterni, sta obbligando le forze pro- europee a riorientarsi e fare una chiara scelta di campo a favore del progetto di federazione europea. D’altra parte, è sempre più evidente che l’Unione debba rafforzarsi e diventare capace di servire efficacemente i suoi cittadini, se vuole sopravvivere; il rischio è altrimenti quello di soccombere per mano delle forze antieuropee che vinceranno sempre più elezioni, oppure di essere schiacciati dalle potenze autocratiche, come l’esperienza della guerra in Ucraina sta dimostrando, e dalla concorrenza globale non solo da parte della Cina, ma anche degli stessi USA, come l’Inflation Reduction Act prova.
Va letto in questo senso, dunque, il progetto di riforma dei Trattati sostenuto dalle forze europeiste nel Parlamento europeo uscente,
già approvato in plenaria lo scorso 22 novembre e adesso bloccato sul tavolo del Consiglio europeo, in attesa che i capi di Stato e di governo decidano di convocare a maggioranza semplice una Convenzione che discuta i contenuti della riforma.