Economia

COMMERCIALISTI: PRESSIONE FISCALE REALE AL 49%, LA PIU’ ALTA D’EUROPA

La categoria in audizione alla Camera sul Def lancia l’allarme sull’incremento del carico fiscale: “Tenere sotto controllo l’aumento del gettito Iva” 

Roma, 11 aprile 2022 – La pressione fiscale reale italiana, calcolata al netto del sommerso, ha raggiunto ormai il 49%, il livello più alto d’Europa. Nel 2019 era al 48,2%. Il dato è stato fornito dal Consiglio nazionale di commercialisti nel corso di un’audizione sul Def svoltasi presso le commissioni Bilancio di Camera e Senato. “Stante l’elevata quota di economia sommersa e illegale in Italia – hanno spiegato Tommaso Di Nardo e Pasquale Saggese, ricercatori della Fondazione nazionale della categoria- la pressione fiscale reale, il sacrificio cioè realmente imposto alla collettività che opera nell’economia emersa, è di gran lunga più elevato di quello ufficialmente registrato dall’Istat per tutta l’economia. La contabilizzazione da parte dell’Istat di una consistente quota di economia sommersa ed illegale nel Pil, pari per il 2019 a 203 miliardi di euro, l’11,3% del Pil, determina un livello particolarmente elevato della pressione fiscale reale, pari nel 2019 al 48,2%”.

Pur non essendo ancora disponibili le stime Istat dell’economia sommersa per il 2020 e il 2021, i commercialisti hanno sostenuto che, “alla luce dell’incremento della pressione fiscale ufficiale, è comunque possibile ritenere che la pressione fiscale reale si sia incrementata di pari passo. Mantenendo costante la quota di economia sommersa all’11,3% del Pil nominale, come rilevato dall’Istat per il 2019, la pressione fiscale reale nel 2021 raggiunge il 49% del Pil emerso, portando l’Italia al primo posto in Europa”.

“Per il 2022 e per gli anni successivi – hanno proseguito – il DEF prevede una riduzione della pressione fiscale essenzialmente dovuta alla revisione dell’Irpef operata nella legge di bilancio 2022 e all’abolizione dell’Irap per le attività di impresa e lavoro autonomo svolte in forma individuale”. Per il sostegno alla ripresa economica, sarebbe secondo i commercialisti “fondamentale ridurre la pressione fiscale che grava sulle famiglie che, negli ultimi anni, è sempre aumentata. Nonostante gli interventi volti alla riduzione del cuneo fiscale sul lavoro dipendente, il livello complessivo del gettito tributario imputabile alle famiglie è quello che ha subito l’effetto maggiore dello shock fiscale 2012-2013 anche per effetto di una tassazione immobiliare particolarmente elevata a cui si aggiunge l’incremento della fiscalità locale che, anche per compensare il venir meno dei trasferimenti statali, è cresciuto progressivamente seppure in maniera ampiamente differenziata sui territori”.

 

I rappresentanti della categoria hanno poi sottolineato come “l’evidente incremento del gettito delle imposte indirette trainato dall’Iva e generato in larga misura dall’importante crescita dell’inflazione, si abbatte sulle famiglie italiane contribuendo ad appesantire ancora di più il carico fiscale complessivo. Pertanto – hanno concluso – sarebbe auspicabile tenere sotto controllo il gettito Iva che sta alla base della lievitazione della pressione fiscale indiretta dell’ultimo anno, ed eventualmente, laddove le condizioni del quadro macroeconomico e di finanza pubblica lo permettessero, compatibilmente con la normativa europea, adottare opportuni provvedimenti di sterilizzazione dell’aumento del gettito Iva”.

 

Documento di economia e finanza 2022

Audizione del

Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti

Contabili

COMMISSIONI IN SEDUTA CONGIUNTA

BILANCIO (5a) DEL SENATO
BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE (Va) DELLA CAMERA DEI
DEPUTATI

Roma, 11 aprile 2022

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INDICE

Pag.
1. Premessa……………………………………………………………………………………………………………………………………….3
2. Il balzo record della pressione fiscale nel 2021 ………………………………………………………………………………………..3
3. La pressione fiscale effettiva e quella reale……………………………………………………………………………………………..4
4. La riduzione della pressione fiscale prevista per il 2022 e per gli anni successivi………………………………………………5
5. Il ruolo dei Commercialisti nel PNRR……………………………………………………………………………………………………..5
6. La riforma fiscale e la riforma della giustizia tributaria ………………………………………………………………………………..6

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1. Premessa
Signori Presidenti, Signori Senatori, Onorevoli Deputati,
il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (d’ora in avanti, “CNDCEC”) desidera
innanzitutto rivolgere a codeste ecc.me Commissioni parlamentari in seduta congiunta il suo deferente saluto
e il più vivo ringraziamento per l’opportunità che viene offerta di formulare le proprie osservazioni e valutazioni
in merito al “Documento di economia e finanza 2022”.
Il Documento di Economia e Finanza (DEF) per l’anno 2022 che è oggi alla Vostra attenzione, prendendo atto
delle forti tensioni sui mercati delle risorse energetiche e delle materie prime scatenate dal doppio shock
provocato dalla pandemia e dalla guerra russo-ucraina, delinea diversi scenari di rischio per la crescita
economica dell’Italia.
L’improvviso rallentamento della crescita manifestatosi nell’ultimo trimestre del 2021 e nel primo trimestre
2022, dopo l’entusiasmante ripresa dello scorso anno, potrebbe trasformarsi, infatti, in una nuova recessione
nell’anno in corso con gravi ricadute sulla tenuta del sistema socio-economico e della finanza pubblica già
pesantemente stressati.
Confidiamo, pertanto, nell’attento monitoraggio della situazione economica, con particolare riguardo
all’evoluzione dell’inflazione e dei prezzi dell’energia e delle materie prime da cui dipende, in ultima analisi, la
grande incertezza e i gravi rischi che minacciano la nostra economia. Crediamo, infatti, che il governo e il
parlamento, come peraltro già dichiarato nello stesso documento dal governo, debbano essere pronti ad
adottare le misure emergenziali che dovessero ritenersi necessarie.
Sebbene il DEF, grazie anche alla risorse messe a disposizione dal PNRR, confermi la piena sostenibilità
fiscale con il rientro del debito pubblico ai livelli pre-pandemici entro il 2030, la presenza, nello stesso
documento, di uno scenario particolarmente rischioso collegato all’enorme incertezza sugli sviluppi della crisi
economica indotta dalla guerra russo-ucraina, a nostro parere, deve spingere il governo all’adozione di un
piano di emergenza, possibilmente da concordare in anticipo con l’Unione europea.
Desideriamo, infatti, esprimere la nostra forte preoccupazione per la tenuta dei bilanci familiari e dei bilanci
delle imprese interessati oggi da una forte perdita di potere di acquisto e da una contrazione dei margini a
causa della forte ripresa dell’inflazione. Nel 2020, le misure di sostegno economico e finanziario adottate per
fronteggiare la crisi pandemica hanno permesso di contenere i fallimenti delle imprese e le procedure di
sovraindebitamento che interessavano le famiglie e le imprese non fallibili. Nel corso del 2021 si è lentamente
ritornati ai valori pre-pandemici. Oggi rileviamo un deciso incremento delle sofferenze che non si è ancora
tradotto nei numeri e nelle statistiche che rendicontano il fenomeno anche perché le misure di contenimento
sono proseguite nel 2021 e in questa prima parte del 2022. È indubbio, però, che con il venir meno delle
misure agevolative delle dilazioni di pagamento dei debiti tributari e contributivi il fenomeno tenderà ad
esplodere nei prossimi mesi. Ci auguriamo, pertanto, che le misure di sostegno possano proseguire finché
sarà necessario e che, in particolare, possano essere concesse ulteriori forme di rateizzazione dei debiti
tributari e contributivi a regime più ampie.
2. Il balzo record della pressione fiscale nel 2021
La straordinaria performance del Pil 2021, cresciuto oltre ogni previsione, insieme alla ripresa dell’inflazione,
ha permesso di ottenere risultati molto positivi sul fronte della finanza pubblica, in particolare ha favorito un
calo maggiore di quanto programmato del rapporto debito/pil permettendo in tal modo la liberazione di

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importanti risorse per proseguire l’attività di sostegno alle famiglie e alle imprese. Purtroppo, però, il quadro
macroeconomico che ne è derivato, condizionato pesantemente dall’improvvisa ripresa dell’inflazione,
contrariamente a quanto previsto nel DEF (15 aprile 2021) e nella Nadef 2021 (29 settembre 2021), ha
provocato un deciso innalzamento della pressione fiscale che ha raggiunto il livello record del 43,5%.
Ricordiamo che, nel 2012, la pressione fiscale italiana aumentò di 2 punti di Pil per far fronte alla crisi del
debito sovrano del 2011, passando dal 41,3 al 43,3% per poi salire al 43,4% nel 2013. Dal 2014 è iniziato un
percorso di decrescita della pressione fiscale che si è basato, tra l’altro, sulla riduzione dell’Ires e dell’Irap.
Percorso che si è interrotto nel 2019 con un balzo in avanti di 0,6 punti proseguito nel 2020 in piena crisi
pandemica con un ulteriore balzo di 0,5 punti di Pil e ancora nel 2021 con un altro allungo pari a 0,7 punti fino
a toccare, appunto, il livello più alto di sempre.
Le previsioni contenute nel DEF 2021 stimavano una crescita del Pil nominale del 4,5% e un incremento delle
entrate fiscali del 3,1%, mentre nella Nadef 2021 la crescita del Pil nominale era stata rivista al rialzo fino a
+6%, e le entrate fiscali, anch’esse riviste al rialzo, sarebbero dovute crescere del 5,3%, comunque meno
della prevista crescita del Pil. In realtà, l’Istat ha certificato per il 2021 una crescita del Pil nominale pari al
7,2% ed una crescita delle entrate fiscali del 9%. Questo andamento ha così determinato, al di là di ogni
aspettativa, un ulteriore incremento della pressione fiscale nel 2021 di 0,7 punti di Pil fino a raggiungere il
livello record del 43,5%.
Come evidenziato nel DEF, l’incremento della pressione fiscale nel 2021 è dovuto a un balzo significativo del
gettito tributario proveniente dalle imposte indirette, mentre il gettito delle imposte dirette e le entrate
contributive sono cresciuti in maniera meno che proporzionale rispetto al Pil. In particolare, secondo i dati Istat
ripresi nel DEF, le imposte indirette hanno fatto registrare un aumento del 13,8% rispetto al 2020 contribuendo
all’aumento della pressione fiscale per 0,9 punti di Pil, mentre le imposte dirette sono aumentate del 6,5%, in
calo di 0,1 punti di Pil, e le entrate contributive sono cresciute del 6,7% in calo anch’esse di 0,1 punti di Pil.
L’incremento delle imposte indirette, secondo quanto indicato nei dati Mef sulle entrate tributarie, è imputabile
essenzialmente al forte incremento del gettito Iva, cresciuto in un anno del 19,3% con un incremento in valore
assoluto di circa 24 miliardi di euro. Si ricorderà che nel 2020 il gettito Iva, sempre secondo il bollettino sulle
entrate tributarie del Mef, era diminuito del 9,7% con un decremento in valore assoluto di 13,3 miliardi di euro.
Pertanto, pur tenendo conto degli sfasamenti temporali nell’andamento del gettito tributario 2020-2021 dovuti
ai ripetuti rinvii e proroghe collegate ai provvedimenti emergenziali adottati in risposta alla crisi pandemica, è
evidente come a livello consolidato, proprio grazie allo straordinario balzo del Pil derivante da un incremento
significativo della domanda aggregata, ci sia stato un importante incremento della pressione fiscale indiretta
causata dal gettito Iva, mentre gli sforzi per una riduzione della pressione fiscale diretta, soprattutto quelli
miranti alla riduzione del cuneo fiscale sul lavoro, hanno offerto un contributo nel 2021 molto limitato alla
riduzione della pressione fiscale.
3. La pressione fiscale effettiva e quella reale
Alla luce di questa analisi esprimiamo forte preoccupazione per il livello così alto raggiunto dalla pressione
fiscale in Italia in un periodo di crisi e di grave emergenza economica e sociale. Il timore è che gli sforzi di
riduzione della pressione fiscale possano essere vanificati dal manifestarsi dei paventati rischi e che
l’economia italiana possa essere costretta a sopportare nuovi shock fiscali.
È doveroso da parte nostra in questa sede ricordare che, stante un’elevata quota di economia sommersa e
illegale in Italia, la pressione fiscale reale, il sacrificio cioè realmente imposto alla collettività che opera
nell’economia emersa, è di gran lunga più elevato di quello ufficialmente registrato dall’Istat per tutta

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l’economia. Come si ricorderà, infatti, la contabilizzazione da parte dell’Istat di una consistente quota di
economia sommersa ed illegale nel Pil, pari per il 2019 a 203 miliardi di euro, l’11,3% del Pil, determina un
livello particolarmente elevato della pressione fiscale reale, pari nel 2019 al 48,2%, collocando l’Italia tra i
paesi con la più elevata pressione fiscale a livello europeo. Non essendo disponibili le stime Istat
dell’economia sommersa per il 2020 e il 2021 non possiamo calcolare la pressione fiscale reale per il biennio
pandemico, ma alla luce dell’incremento della pressione fiscale ufficiale, riteniamo che la pressione fiscale
reale si sia incrementata di pari passo. Se, infatti, mantenessimo costante la quota di economia sommersa
all’11,3% del Pil nominale, come rilevato dall’Istat per il 2019, la pressione fiscale reale nel 2021
raggiungerebbe il 49% del Pil emerso, portando l’Italia al primo posto in Europa per carico fiscale reale.
Questa analisi, purtroppo, non è presente nel DEF che, invece, riporta un’analisi della pressione fiscale
effettiva calcolata tenendo conto di alcune agevolazioni fiscali contabilizzate dall’Istat, in linea con le regole
statistiche internazionali, come misure di spesa. È il caso del trattamento integrativo in busta paga, dei crediti
d’imposta concessi a famiglie e imprese, di alcune forma di detrazione fiscale e di alcune tipologie di sgravi
contributivi. Tali misure per il 2021, secondo quanto riportato nel DEF, sono pari a 2 punti di Pil, mentre Il gap
determinato dall’economia sommersa, in termini di pressione fiscale, è pari a circa 5,5 punti di Pil.
Non v’è dubbio, inoltre, che l’esistenza di diverse misure di pressione fiscale a livello macro, cioè calcolate per
l’economia nel suo complesso e, quindi, rispetto al Pil, rende il sistema particolarmente complesso impedendo
a livello micro, cioè a livello di singolo operatore economico, una corretta percezione dell’effettivo carico
fiscale. Ricordiamo, infatti, che l’Italia presenta un livello particolarmente elevato del cuneo fiscale nell’ambito
dei paesi Ocse e uno dei più elevati livelli del Total Tax Rate per le imprese a livello mondiale.
4. La riduzione della pressione fiscale prevista per il 2022 e per gli anni successivi
Per il 2022 e per gli anni successivi, il DEF prevede nuovamente una riduzione della pressione fiscale
essenzialmente dovuta alla revisione dell’Irpef operata nella legge di bilancio 2022 e all’abolizione dell’Irap per
le attività di impresa e lavoro autonomo svolte in forma individuale. Su questo punto, il nostro giudizio è
senz’altro positivo. Come già detto, per il sostegno alla ripresa economica riteniamo fondamentale ridurre la
pressione fiscale che grava sulle famiglie che, negli ultimi anni, è sempre aumentata. Ricordiamo, infatti, che,
nonostante gli interventi volti alla riduzione del cuneo fiscale sul lavoro dipendente, il livello complessivo del
gettito tributario imputabile alle famiglie è quello che ha subito l’effetto maggiore dello shock fiscale 2012-2013
anche per effetto di una tassazione immobiliare particolarmente elevata a cui si aggiunge l’incremento della
fiscalità locale che, anche per compensare il venir meno dei trasferimenti statali, è cresciuto progressivamente
seppure in maniera ampiamente differenziata sui territori.
Inoltre, è evidente che l’incremento del gettito delle imposte indirette trainato dall’Iva si abbatte comunque
sulle famiglie italiane contribuendo ad appesantire ancora di più il carico fiscale complessivo. Pertanto,
sarebbe auspicabile tenere sotto controllo il gettito Iva che, come abbiamo visto, sta alla base della
lievitazione della pressione fiscale indiretta dell’ultimo anno, ed eventualmente, laddove le condizioni del
quadro macroeconomico e di finanza pubblica lo permettessero, compatibilmente con la normativa europea in
materia di Iva, adottare opportuni provvedimenti di sterilizzazione dell’aumento del gettito Iva.
5. Il ruolo dei Commercialisti nel PNRR
Come è noto e come è ampiamente descritto nel DEF 2021, il PNRR riveste un ruolo fondamentale nel
garantire all’Italia un percorso di ripresa e crescita economica tale da permettere il rientro del debito pubblico e

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il ripristino delle condizioni ordinarie di sostenibilità fiscale entro il 2030. Il 4 agosto 2021, il CNDCEC,
nell’ambito dei lavori relativi alla creazione del Portale del Reclutamento, ha firmato il protocollo d’intesa con il
Ministero per la PA volto a valorizzare il ruolo dei Commercialisti nell’attuazione del PNRR. Con questo
protocollo, i 120 mila commercialisti italiani, che seguono quotidianamente oltre 4,5 milioni di operatori
economici nei loro rapporti con il fisco e con la PA, intermediando direttamente un gettito fiscale pari a oltre
150 miliardi di euro, hanno messo a disposizione la loro multiforme e variegata competenza a supporto delle
attività di analisi, programmazione, valutazione e rendicontazione essenziali per il buon funzionamento del
piano. La professione di Commercialista riveste, infatti, un ruolo essenziale nell’attuazione del Recovery and
Resilience Facility e perciò rivendica con forza il coinvolgimento diretto nell’ambito delle strutture tecniche
istituite a supporto del piano. Anche in questa sede, e proprio per l’importanza che il PNRR riveste nell’ambito
della programmazione economica e finanziaria nazionale, il CNDCEC ribadisce la richiesta, già inoltrata pochi
giorni fa al presidente Draghi, di integrare con la rappresentanza istituzionale dei commercialisti il Tavolo
permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale, istituito a supporto dell’attuazione del piano
nazionale di ripresa e resilienza. Data la complessità delle questioni poste, e tenuto conto del coinvolgimento
di una pluralità di partecipanti in rappresentanza di parti sociali, enti locali, categorie produttive e sociali e
esponenti delle università e della ricerca, della società civile e cittadinanza attiva, riteniamo non sia possibile
escludere dal Tavolo la rappresentanza istituzionale dei commercialisti, i quali, proprio in virtù del Decreto
Reclutamento e alla luce delle competenze loro riconosciute per legge, possono offrire un contributo di
assoluto rilievo e utilità per le questioni che il Tavolo è chiamato a considerare e valutare.
Il Documento di Economia e Finanza 2022 anticipa e prepara il terreno a quelle che saranno le prospettive
tracciate con il PNRR e per questo si sottopone quanto sopra alla Vostra attenzione.
6. La riforma fiscale e la riforma della giustizia tributaria
Il Programma Nazionale di Riforma contenuto nel DEF 2022, molto opportunamente, conferma che “La riforma
fiscale è tra le azioni chiave da intraprendere per dare risposta alle debolezze strutturali del Paese”.
Al riguardo, viene dato atto che “Pur non rientrando nell’ambito operativo del PNRR, gli interventi per la
razionalizzazione e l’equità del sistema fiscale possono concorrere a realizzare gli obiettivi generali di equità
sociale e miglioramento della competitività del sistema produttivo già indicati nelle Raccomandazioni all’Italia.
Nel PNRR si esplicita, infatti, la necessità di un intervento complessivo, che parta da una analisi operata da
esperti in materia fiscale e che abbia come obiettivo principale la definizione di un sistema fiscale certo ed
equo”.
Sul punto, va qui doverosamente evidenziato che i principali fattori di criticità della fiscalità del nostro Paese
sono certamente costituiti dall’eccessivo numero degli adempimenti e dall’estrema complessità della
normativa che, per effetto delle continue modifiche cui è sottoposta (ancora più accentuata dalla disciplina
emergenziale degli ultimi due anni), ha prodotto un sistema fiscale sempre più disorganico, irrazionale, difficile
da interpretare e, in ultima analisi, privo delle caratteristiche proprie di un ordinamento, ossia di un insieme
coordinato di atti normativi.
Per tale motivo gli obiettivi prioritari della riforma fiscale devono necessariamente consistere nella
razionalizzazione della normativa e nella semplificazione degli adempimenti, in modo da garantire maggiore
certezza, coerenza e stabilità al sistema tributario, così da renderlo anche più efficiente in termini di costi e
benefici.
Per quanto concerne il profilo normativo, occorre avviare, quanto prima, un’opera di sistematizzazione delle
disposizioni sparse in molteplici fonti in “Testi unici” che portino alla predisposizione di un vero e proprio

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“Codice tributario”. Il nostro auspicio è che l’attività di codificazione torni finalmente a mettere al centro
dell’attenzione i principi fondamentali dello Statuto dei diritti del contribuente. Soltanto valorizzando
adeguatamente tali principi si potrà infatti realizzare una reale semplificazione del nostro sistema fiscale che
ambisca ad essere stabile e duratura.
Con particolare riferimento alla recente revisione dell’Irpef, anticipata con l’ultima legge di bilancio, il DEF
ricorda che “L’intervento è principalmente indirizzato a rimuovere gli effetti distorsivi sull’offerta di lavoro
associati all’andamento irregolare delle aliquote marginali effettive, ridurre la pressione fiscale per un’ampia
platea di contribuenti e concentrare i benefici sui redditi medi”.
L’intervento, pur apprezzabile, deve – a nostro avviso – essere completato con misure volte a garantire una
maggiore equità orizzontale del prelievo, ancora oggi diversamente distribuito tra le differenti categorie di
percettori di reddito, eliminando in particolare la perdurante penalizzazione dei lavoratori autonomi più
strutturati che non possono avvalersi del regime forfettario.
Non meno importante, per lo sviluppo e la crescita della nostra economia, una maggiore attenzione nei
confronti delle aggregazioni professionali (in particolare, associazioni e società tra professionisti). Anche la
recente abrogazione dell’IRAP per le sole attività (di impresa e di lavoro autonomo) esercitate in forma
individuale, così come l’applicazione esclusiva del regime forfetario nei confronti delle persone fisiche, sono
misure che rischiano di favorire lo “scioglimento” di tali aggregazioni professionali al solo fine di poter
beneficiare dei predetti regimi agevolati.
Nella prospettiva del rilancio delle attività professionali, è necessario pertanto non solo estendere detti
regimi anche a associazioni e società tra professionisti, ma anche garantire alle operazioni straordinarie di
riorganizzazione delle attività di lavoro autonomo (si pensi al conferimento dello studio individuale o associato
in una società tra professionisti) il medesimo principio di neutralità fiscale oggi previsto per le sole attività
commerciali, in modo da realizzare anche le indispensabili condizioni di parità di trattamento. Ai medesimi fini,
sarebbe inoltre opportuno introdurre un regime opzionale di determinazione secondo il criterio di cassa del
reddito delle società tra professionisti costituite in forme di società di capitali o cooperativa, oggi invece
soggette obbligatoriamente al criterio di competenza, non sempre congeniale alle attività di lavoro autonomo.
Non meno importante è anche un intervento teso a eliminare le distorsioni provocate dall’attuale doppia
contribuzione integrativa previdenziale a carico di soci e società tra professionisti.
A tal proposito, tuttavia, non si può tacere la necessità sempre più evidente di una radicale revisione della
normativa delle Società tra Professionisti in un senso radicalmente diverso nei presupposti che deve porre al
centro della aggregazione il lavoro dei Professionisti ed il relativo valore, piuttosto che il capitale. Tale
riformulazione rappresenterebbe il reale strumento di risposta dei Professionisti alla opportunità di aggregarsi
per sviluppare il patrimonio di conoscenze in una evoluzione coerente con la evoluzione della complessità
delle imprese.
Per quanto concerne la semplificazione degli adempimenti, occorre intervenire innanzitutto sulla
razionalizzazione del calendario delle scadenze fiscali, con un occhio di riguardo anche alla loro
periodicità, limitando al minimo quelli a carattere infrannuale, ed eliminando gli adempimenti “inutili”.
Al riguardo, il DEF 2022 ricorda espressamente “l’impegno a consolidare il rapporto di fiducia tra contribuenti e
fisco, favorendo un incremento del livello di compliance. Si prevede la realizzazione di una piena
digitalizzazione dei rapporti con i contribuenti e con gli stakeholders, con l’obiettivo di facilitare gli
adempimenti, minimizzare i costi ed eliminare eccessivi oneri e formalità. L’idea è quella di integrare
l’assolvimento degli obblighi fiscali nel normale svolgimento delle attività economiche”.

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L’Amministrazione finanziaria italiana è probabilmente tra le più tecnologicamente avanzate a livello mondiale.
In tale processo di digitalizzazione del nostro sistema fiscale, va qui doverosamente sottolineato il rilevante
contributo offerto dai Commercialisti che può essere misurato, in modo oggettivo, dal numero di documenti da
loro trasmessi tramite i canali telematici dell’Agenzia delle entrate, che si attesta infatti al 54% circa dei 200
milioni di documenti trasmessi.
La necessaria azione di contrasto all’evasione fiscale e l’altrettanto importante azione di riduzione degli
adempimenti a carico dei contribuenti possono essere implementate, con maggiore efficacia, soltanto
attraverso l’interoperabilità delle già “corpose” e numerose banche dati a disposizione dell’Anagrafe tributaria
ed una maggiore circolarità delle informazioni e dei dati in esse contenuti.
Il CNDCEC ha sempre sostenuto il rafforzamento del processo di integrazione delle banche dati pubbliche, ma
ha anche puntualmente denunciato la tendenza a “scaricare” sui cittadini-contribuenti, e indirettamente sui
professionisti che li assistono, i costi e le complessità procedurali che tale processo, inevitabilmente, comporta
(gli adempimenti comunicativi introdotti al fine esclusivo di fornire all’amministrazione finanziaria i dati da
inserire nelle dichiarazioni precompilate ne costituiscono soltanto l’esempio più recente). Si tratta di una
tendenza da arginare, per quanto possibile, anche in applicazione del principio “once only” secondo cui
occorre evitare che i contribuenti debbano fornire le stesse informazioni più di una volta. Soltanto in tal modo,
infatti, il processo di digitalizzazione potrà davvero assolvere alle sue naturali funzioni di semplificazione e di
efficientamento del nostro sistema tributario, risolvendosi altrimenti in un non risolutivo “moltiplicatore” di
adempimenti per il settore privato, con costi talvolta anche crescenti.
Il richiamato impegno del governo a consolidare il rapporto di fiducia tra contribuenti e fisco, oltre a
favorire l’incremento del livello di compliance e a completare il processo di digitalizzazione – come
espressamente ricordato nel DEF –, deve essere tuttavia indirizzato, a nostro avviso, anche verso il ripristino
di condizioni di maggior equilibrio tra le contrapposte esigenze di perseguimento dell’interesse pubblico
all’esazione delle imposte, da un lato, e la tutela dei diritti e delle garanzie del contribuente, dall’altro.
A tal fine, le linee guida da seguire per un più equilibrato rapporto fisco-contribuente dovrebbero essere
basate su interventi tesi a: rafforzare il ruolo del Garante del contribuente con poteri di intervento nei confronti
delle amministrazioni inadempienti; generalizzare l’obbligo di contraddittorio preventivo rispetto all’azione
accertatrice; abrogare la presunzione legale di maggiori ricavi basata sui prelevamenti bancari; consentire la
compensazione integrale dei crediti certi, liquidi ed esigibili verso la PA; assicurare un miglior coordinamento
tra processo penale e processo tributario; rivedere la disciplina delle sanzioni amministrative e penali tributarie
nell’ottica di una maggiore valorizzazione dei principi di proporzionalità e del ne bis in idem.
Per il corretto dispiegarsi del rapporto fisco-contribuenti è fondamentale infine provvedere alla riforma della
giustizia tributaria al fine di favorire la specializzazione degli organi giudicanti, assicurandone ancor più
qualità ed equidistanza dalle parti, attraverso la previsione di giudici professionali e con specifica competenza
nelle materie economico-aziendalistiche e di bilancio, obbligati alla formazione continua, e ferma restando la
salvaguardia delle professionalità operanti nelle attuali Commissioni tributarie con un adeguato periodo
transitorio.
Nel DEF 2022, viene ricordato che “la riforma della giustizia tributaria costituisce un impegno che il Governo
considera prioritario tanto che, per rispettare le scadenze concordate con la Commissione (il 2022), si ipotizza
di intervenire con disposizioni di immediata applicazione, anziché ricorrere alla legge delega”.
Auspichiamo dunque che l’impegno possa essere realizzato al più presto, anche per l’importanza
fondamentale che la qualificazione e l’efficientamento della giustizia tributaria assumono ai fini della
competitività del nostro Paese.COMMERCIALISTI: PRESSIONE FISCALE REALE AL 49%, LA PIU’ ALTA D’EUROPA