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IL LATO OSCURO DEL NATALE: PERCHÉ DOBBIAMO PROTEGGERE I BAMBINI DALLA PUBBLICITÀ ONLINE?

In epoca natalizia, i bambini sono il principale bersaglio dei pubblicitari. Con l’aumento dell’uso delle tecnologie digitali anche tra i più piccoli, le strategie pubblicitarie di molto aziende sono cambiate.

 

Con Snapchat, YouTube, TikTok, Instagram e, naturalmente, i videogiochi, i bambini passano il doppio del tempo online rispetto a dieci anni fa per una media di circa due ore al giorno durante la settimana e tre ore nei fine settimana. E durante il lockdown, il tempo passato dai bambini di fronte agli schermi è ulteriormente aumentato. Più della metà di loro ha un profilo su un social network e gli inserzionisti sono disposti a investire milioni per attirare nuovi giovani potenziali clienti.

 

Negli ultimi dieci anni, il budget pubblicitario per la pubblicità digitale rivolta ai bambini è aumentato di dieci volte, mentre quello consacrato ai media tradizionali come la televisione, la radio e i giornali è rimasto invariato. Molte aziende lo considerano un ottimo investimento, dato che le abitudini di consumo si formano durante l’infanzia. La ricerca mostra anche un impatto sugli acquisti in famiglia, dove l’influenza dei bambini nel processo decisionale di acquisto è significativamente aumentata.

 

Le dimensioni del problema

 

Secondo il rapporto EU Kids Online 2020 della London School of Economics, che ha esaminato l’uso del digitale da parte dei bambini di 19 paesi europei, l’uso e le competenze digitali dei bambini variano notevolmente da paese a paese. L’84% dei bambini italiani tra i 9 e i 17 anni si connette ogni giorno, principalmente grazie al proprio smartphone. Mentre internet è diventata parte integrante della vita quotidiana dei bambini, persistono differenze nelle attività e, più significativamente, nelle competenze online. Solo il 42% dei bambini italiani trova facile verificare la veridicità delle informazioni che si trovano su Internet. E, quando si tratta dell’uso dei dispositivi digitali, i genitori italiani preferiscono dialogare che imporre dei limiti.

 

Obiettivi vulnerabili

 

Engagement, gamification e contenuti per il web sono le armi ideali per colpire il target dei bambini. Le aziende propongono giochi sui social network più per invitarli a relazionarsi coi propri marchi che per farli divertire, di conseguenza il confine tra intrattenimento e pubblicità sta diventando sempre più labile. Gli influencer che contano molti bambini fra i propri follower vengono pagati per promuovere prodotti online e i bambini non se ne rendono necessariamente conto. Una tendenza particolarmente preoccupante è la fiorente domanda di trucco e abbigliamento ipersessualizzato tra le ragazzine, che desiderano emulare i loro idoli online.

 

Il principale problema è il contenuto a cui i bambini sono esposti direttamente o indirettamente, particolarmente preoccupante per i bambini al di sotto dei 9 anni. Gli studi indicano che i bambini al di sotto dei 9-10 anni non hanno le capacità cognitive per distinguere il contenuto autorale di un programma da quello commerciale. In altre parole, i contenuti creativi, interattivi e pubblicitari sono visti come la stessa cosa dai bambini sotto i 9 anni, che non riescono a distinguerli tra di loro. La loro ingenuità e la loro reazione a questi messaggi possono portare a conseguenze negative, tra cui un materialismo ossessivo e problemi di ansia e scarsa autostima. Ma anche a conflitti familiari, con genitori che si sentono in dovere di comprare prodotti che non volevano. La pressione della pubblicità ha anche contribuito all’attuale epidemia di obesità infantile. Per esempio, secondo uno studio canadese il 90% dei prodotti alimentari pubblicizzati sui primi 10 siti web del Canada non erano cibi sani.

 

I bambini economicamente fragili sono più a rischio

 

La nostra ricerca mostra che i bambini provenienti dalla fascia di popolazione meno abbiente, i cui genitori non possono permettersi di pagare attività sportive e ricreative, sono soggetti a una pressione pubblicitaria maggiore della media. Anche i figli unici sono più sensibili alla pubblicità online rispetto ai bambini che hanno fratelli o sorelle con cui giocare. La ricerca suggerisce inoltre che i bambini a cui i genitori danno accesso agli schermi come premio per un buon comportamento sono particolarmente influenzabili.

 

Queste osservazioni portano alle seguenti domande: dobbiamo accettare che i nostri bambini vengano manipolati dalla pubblicità online? Dobbiamo tollerare che questo fenomeno crei tensione tra genitori e figli, in particolare nelle famiglie economicamente meno fortunate?

 

Quali soluzioni?

 

Molte iniziative mirano a regolamentare l’industria della pubblicità. Per esempio, la pubblicità per i bambini è limitata in Gran Bretagna, Grecia, Belgio e Danimarca, mentre in Norvegia, Svezia e Québec, la pubblicità per i bambini sotto i 12 anni è illegale. In Canada, è disponibile una linea telefonica di assistenza per denunciare la pubblicità non autorizzata, mentre la Grecia ha vietato la pubblicità dei giocattoli, e in Irlanda, i programmi per bambini devono essere advert-free. Ma nonostante gli interventi governativi, la questione della pubblicità giusta e responsabile nei confronti dei bambini è per lo più lasciata in una vaga autoregolamentazione.

 

Quindi, cosa si può fare per proteggere i bambini? Per prima cosa, i genitori devono essere “digitalmente alfabetizzati” per trovare un buon equilibrio tra il controllo dei contenuti a cui i loro figli hanno accesso e l’indipendenza digitale di cui hanno bisogno. Poi, i bambini devono essere educati a riconoscere le differenze tra contenuto e pubblicità e soprattutto capire come funziona l’industria stessa del marketing. In seguito, la regolamentazione dell’industria deve essere applicata meglio sia dai media che dal governo. Infine, è urgente stabilire degli standard internazionali per limitare l’impatto della pubblicità sui bambini.