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L’artista, e eretico Mario Vespasiani ritrae il grande Cecco

In occasione del 750° anno della nascita di Francesco Stabili, l’artista Mario Vespasiani è stato invitato a dare la sua personale interpretazione di quel misterioso poeta, astronomo e filosofo, meglio conosciuto col nome di Cecco d’Ascoli arso vivo a Firenze nel 1327 ed ora celebrato in una mostra collettiva in corso al Forte Malatesta di Ascoli Piceno fino al 31 agosto 2019. Nell’anno delle commemorazioni l’amministrazione comunale ha così inaugurato sabato scorso il suo monumento (il cui posizionamento risale al 1919) e la mostra dal titolo “Cecco d’Ascoli: l’uomo e le sue opere, il suo mondo e il suo tempo” che vede Mario Vespasiani tra i maggiori protagonisti. 
 
La sorte tragica e i suoi atteggiamenti bizzarri crearono presto intorno a Cecco una fama leggendaria. Nei suoi scritti compare una donna angelica, principio di ogni virtù, forse simbolo della Sapienza increata o Intelligenza attiva; parla dei cieli e delle intelligenze celesti, degli animali, delle pietre, della fortuna, dell’amore, dei vizî e delle virtù. E tutto ciò non poteva che destare l’attenzione di Vespasiani la cui ricerca attinge proprio dall’antica sapienza.
Cecco d’Ascoli fu indubbiamente un acuto studioso, un letterato, un astronomo ma anche una mina vagante per il potere temporale ecclesiastico, al punto da finire al rogo. Era un ricercatore della verità ed ora vive nelle innumerevoli opere poetiche e scientifiche che ha lasciato ai posteri, ma soprattutto nella memoria e nello spirito della gente e degli artisti che lo hanno raggiunto con un abbraccio ideale composto da novanta opere realizzate da autori di varie nazionalità.
 
Dalle parole di Mario Vespasiani alcuni pensieri per la comprensione approfondita dell’operaper il suo significato simbolico, questo lavoro potrebbe essere collocato sull’architrave di una porta, in quanto si pone come soglia tra due spazi. Il gesto che compie la figura di Cecco è significativo, in quanto sta ad indicare il passante che l’attraversa, al quale si rivolge nel tentativo di renderlo cosciente del momento presente. L’opera collega i fenomeni celesti a quelli terrestri, l’uomo alle stelle e i raggi sono sia fiamme (del rogo) che un richiamo al sacro (al sole di san Bernardino). Il color oro si riferisce al simbolo alchemico (ben conosciuto dal soggetto in questione) e la fredda e minuscola luna si contrappone al disco solare, i cui raggi vibrano nello spazio e in mostra. L’opera ci parla di forze fisiche ma anche di un percorso interiore, di un attraversamento e di una crescita che trae dalla terra, quindi dal basso, le energie per una personale purificazione.