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Infolampo: SeaWatch – hacher

Sea Watch, «una vergogna politica e umana»
Le Cgil di Catania e Siracusa sul caso dei 47 naufraghi bloccati sulla nave al largo delle coste siciliane.
“Siano fatti sbarcare in rispetto delle norme internazionali. Stiamo precipitando nella ferocia xenofoba e
razzista”
Una “vergogna politica e umana”, che si “consuma sulla pelle dei 47 migranti”. È il giudizio della Cgil
Catania sulla vicenda delle persone che ancora si trovano a
bordo della Sea Watch 3, a poca distanza dalla costa di
Siracusa, e oggetto di un lungo braccio di ferro.
Per il sindacato, si tratta “un film già visto” dai cittadini
catanesi, che “conoscono bene la tensione e il dolore che si
prova in caso di vicende in tutto e per tutto simili a quelle
osservate a danno degli ospiti della nave Diciotti, lo scorso
agosto”. La Cgil etnea, affermano il segretario generale
Giacomo Rota e il responsabile dell’Ufficio migranti
Emanuel Sammartino, dichiara di “partecipare attivamente
alle manifestazioni promosse a Siracusa e all’analisi collettiva
di ciò che sta accadendo”. Il sindacato esprime “sconcerto”, e
“stigmatizza il pericoloso corso antidemocratico dell’attuale
governo nazionale e chiede, insieme a tutti coloro che hanno
a cuore la democrazia e l’antifascismo in Italia, che venga
verificata la situazione a bordo della nave. Chiediamo che i naufraghi e l’equipaggio siano fatti sbarcare in
rispetto delle norme internazionali”.
Sulla stessa lunghezza d’onda si è espressa anche la Cgil Siracusa, direttamente interessata alla vicenda:
“È il segno evidente e concreto che ci troviamo di fronte alla banalità della ferocia xenofoba e razzista
nella quale stiamo velocemente precipitando – queste le parole del segretario generale della Cgil di
Siracusa, Roberto Alosi –. Il pifferaio dell’ignoranza, dell’arroganza e del microfascismo di Stato ha
risucchiato il Paese in un grande e illeggibile caos fino al punto di aggredire il principio supremo di
umanità”. Il rispetto dei diritti umani, impone invece a chiunque “il soccorso, l’accoglienza e l’assistenza
nei riguardi di profughi e vittime di catastrofi. Noi della Cgil siamo stati e saremo sempre partigiani di
umanità – aggiunge ancora Alosi – proprio perchè l’umanità è tutt’altro che astratta e veste i panni di chi
chiede soccorso. Cavalcare il rovesciamento di tale principio morale e giuridico significa scivolare
nell’oscura concezione ancestrale della tribù e perdere, politicamente, le ragioni dell’umanità”.
Parole molto simili erano state pronunciate anche dal neo-segretario generale della Cgil Maurizio Landini
che, invitato alla trasmissione “Mezz’ora in più” su Raitre, ieri aveva detto: “Bisogna smettere di usare le
persone a fini elettorali”. “Sono persone in ostaggio di chi li vuole usare a fini elettorali, mi auguro che
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Cécile Kyenge: «Salirò sulla Sea
Watch, non mi fermerà nulla»

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Hacker e millennial fuori dal mito. Spesso non hanno
vere competenze
Mi colpisce sempre il modo in cui vengono rappresentati gli hacker nelle serie televisive. Battono sulla
tastiera di un pc a velocità vertiginosa, mentre sullo schermo scorrono quantità impressionanti di dati, ai
quali danno un’occhiata distratta ogni tanto, eppure riconoscendo al volo quelle due o tre righe di codice
che stanno al cuore di un virus informatico micidiale e dell’intera vicenda narrata. Io, devo dire, non ne
ho mai visti.
di Franco Fabbri
Ho conosciuto programmatori di bravura eccezionale, progettisti di sistemi che hanno rivoluzionato il
mondo dell’informatica (o anche il mondo, tout court), ma non mi sembra che facessero così. Intanto,
spesso si fermavano a scorrere il testo sullo schermo, ci pensavano su, prendevano appunti (con carta e
penna) e consultavano manuali, poi ricominciavano. E non battevano sui tasti come se stessero facendo
una gara. Immagino, è possibile, che davvero chi sta cercando di violare un sistema – come
invariabilmente avviene nelle serie televisive – debba essere veloce per evitare di essere “buttato fuori”:
ma è proprio così? È sempre così? Mi ricordo che quando lavoravo in quel campo (non dell’hackeraggio:
della programmazione, dell’ingegneria dei sistemi) vedevo dei colleghi che battevano sulla tastiera
velocemente, ma avvicinandomi mi rendevo conto che uno dei tasti che premevano più spesso era “canc”
o “del”, e dicevo loro: “Ma se battessi più lentamente, prestando più attenzione a dove metti le dita, forse
non faresti tanti errori e non dovresti correggerli.” Inutile, perché già allora battere velocemente era cool.
Quando si parla dei millennial e delle loro competenze, dovute primariamente al fatto che sono cresciuti
già nell’“era digitale”, l’immagine sullo sfondo è quella degli hacker seriali. Un/una millennial non
saprebbe comporre un numero su un vecchio telefono a disco, fa fatica a far partire un giradischi (anche
se per ascoltare un amatissimo e modaiolo vinile: una ragazza, vedendomi tirare il braccio di una
fonovaligia verso l’esterno, mi fermò dicendomi: “Ma così lo rompi!”), ma saprebbe craccare in pochi
minuti i sistemi del Pentagono. Temo che non sia la verità.
I millennial che vedo quasi ogni giorno all’università o in accademie varie sicuramente sanno usare uno
smartphone. Quanto? Non lo so: abbastanza per usare le app preferite, da Facebook a Whatsapp a
Instagram a Shazam. L’email? Mmm, qualche volta. Molti non hanno un pc, o per lo meno non glielo
vedo utilizzare. Messi alla prova, per lo più mostrano di non saper dominare decentemente le più banali
applicazioni da ufficio (Word, Excel, eccetera), hanno idee molto vaghe di come si organizzi un albero di
directories. La nozione di database è quasi sconosciuta. A parte i miei studenti di informatica, temo di non
conoscerne nessuno che saprebbe scrivere un programmino per scrivere sullo schermo “Hello world”. Sto
parlando di una larga maggioranza.
Esistono alcuni che hanno competenze avanzate, che usano applicazioni di editing audio o video, o di
ritocco fotografico, che sanno impaginare un articolo, una rivista online, un libro. Alcuni (soprattutto le
millennial) leggono anche dei libri. Certi (pochi) giocano con C++, con Java, con XML. Ma non ho mai
la sensazione di avere a che fare con una generazione nella quale le competenze tecnologiche e
informatiche siano universalmente diffuse, in una proporzione maggiore rispetto a venti o trent’anni fa.
Per avere quella sensazione (fasulla) devo leggere i giornali, guardare la televisione, navigare su Internet.
Allora sì, mi prende l’angoscia che i venti-trentenni di oggi la sappiano lunghissima, e che noialtri (dai
quarant’anni in su) siamo degli incapaci e degli ignoranti. E quindi, richiamando un dibattito recente, una
pseudo-élite inconsistente, che non ha i mezzi per affrontare la modernità digitale.
Eppure Federico Faggin, il progettista del primo microprocessore commerciale, è nato nel 1941, Steve
Jobs e Bill Gates (inutile che ricordi chi sono) nel 1955. Steve Furber, progettista insieme a due altri
tecnici-tecniche (uno ha cambiato sesso: oggi si chiama Sophie Wilson, ed è del 1957) dell’ARM, il
primo microprocessore RISC (Reduced Instruction Set Computer), che fa funzionare quasi tutti gli
smartphone esistenti e del quale sono stati prodotti più di cento miliardi di esemplari, è del 1953. Tiene a
far notare (guardate la sua pagina di Wikipedia) che suona il basso. Un secolo fa lo accompagnai in un
giro di presentazioni dell’ARM in università e centri di ricerca in Italia: in macchina parlavamo molto di
chitarristi folk inglesi. Roba analogica, naturalmente.
Ma perché si parla tanto di millennials? Per ragioni serie, in realtà: perché chi è cresciuto in un mondo
digitalizzato ha incorporato pratiche, gestualità, modi di interagire con strumenti e macchine che hanno

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competenze/