Elettorato M5s tra Pd e Centro destra
Le elezioni 2018 hanno partorito una situazione ibrida, rendendo impossibile a chiunque di governare da
solo ed imponendo quindi la creazione di alleanze. Che la guida dovesse spettare al partito di maggioranza
relativa, il Movimento 5 Stelle, era assodato, ma si rendeva comunque necessario assemblare i numeri
anche nelle aule parlamentari, ergo, fare il governo con il PD o con la Lega di Salvini? Guardando i
commenti ed il sentimento sul web e sui social, traspare un evidente livore tra elettori piddini e
pentastellati, con rotture di amicizie e parentele, questo parrebbe rispecchiare una chiara incompatibilità
tra i due elettorati. D’altronde questo ricalca i rapporti tra amanti traditi, quelli che sono travasati nel
Movimento non riconoscendosi più nella sinistra storica, quelli rimasti che hanno visto gli ex-compagni
abbandonare la nave in tempesta.
Dobbiamo però considerare che si tende sempre a sottovalutare un parametro importante, anzi due, la
percezione e la maggioranza silenziosa. La silent majority era contraria al Vietnam, pose fine al maggio
francese, ma per la sua natura è poco percepita, spesso ha ragione chi urla di più. Così vediamo come
rispetto un articolo o post, i favorevoli si limitano ad un like o una condivisione, i contrari commentano con
tutta la rabbia che si portano dentro. Questo comporta che l’idea di una frattura insanabile tra platea PD e
M5S sia percepita, ma non reale.
Dopo ogni elezione non si contano le analisi di voto, anche se le più precise ed importanti rimangono quelle
Ipsos e del Cattaneo (che applica il sistema Goodman). Particolare risalto ha avuto La ricerca, intitolata “The
Curious, Context-Dependent Case of Anger: Explaining Voting Intentions in Three Different National
Elections” (pubblicazione sul Journal of Applied Social Psychology), realizzata da un gruppo di ricerca del
Dipartimento di Psicologia dell’Università di Bologna, in collaborazione con le università di Herzliya (Israele)
e di Groningen (Olanda), coordinatrice del progetto. Si sono analizzati i dati raccolti nelle tre tornate
elettorali nazionali in tre diversi paesi: le elezioni in Olanda del settembre 2012, quelle in Israele del
gennaio 2013 e quelle italiane del febbraio 2013.
Normalmente la rabbia verso la politica favorisce l’astensione, ma nel caso italiano i risultati sono stati
sorprendenti. Proprio questo rifiuto verso il precedente governo e la politica in generale, ha portato il corpo
elettorale a recarsi alle urne in massa per cambiare lo stato delle cose. Il voto verso il Movimento 5 Stelle è
stato determinato dalla larga predominanza nell’uso dei social e dal travaso dei voti di sinistra verso il
movimento grillino. Secondo le intenzioni di voto il 22 per cento di chi aveva votato il PD nel 2013 avrebbe
preferito astenersi; il 14 per cento sarebbe passato al Movimento 5 Stelle e il 7 per cento avrebbe scelto
Liberi e Uguali, solo pochi tendevano verso il centrodestra.
Lo studio più interessante è stato presentato dalle Università di Bologna e Perugia in Nomisma lo scorso
aprile sugli scenari della nuova legislatura, una indagine sui ‘sentimenti’ fatto sugli aderenti al Blog. Su base
100, ben il 45% degli intervistati ha dichiarato idee che corrispondono al sentire degli elettori del PD, solo il
23% ricalcava le idee leghiste, i restanti non hanno voluto rispondere. Risultati non sorprendenti visto
l’ampio travaso di elettori di sinistra nel Movimento 5 Stelle, il risultato non è puramente accademico.
L’eventuale successo di una lista unica del centro-destra alle prossime regionali potrebbe far nascere voglie
da parte di Salvini di incassare il dividendo accumulato in questi mesi ed andare verso nuove elezioni per
varare un governo con Berlusconi prendendosi la guida dello schieramento. A quel punto un nuovo asse
M5S-PD, con similitudini molto maggiore dell’attuale che piaccia o meno ai malpancisti, sarebbe l’unica
soluzione che Di Maio potrebbe mettere in campo.
MAURIZIO DONINI