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Infolampo: Manovra – Eurozona

Una manovra senza lavoro e sviluppo
La Cgil in audizione sulla legge di Bilancio alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato. Fracassi:
“Manca una visione del Paese e un disegno strategico capace di ricomporre e rilanciare politiche
pubbliche. Grandi assenti lavoro e Mezzogiorno”
La manovra del Governo manca di una visione del Paese e di un disegno strategico capace di ricomporre
e rilanciare politiche pubbliche che abbiano come fine lo sviluppo sostenibile e il lavoro. È l’opinione
della Cgil, espressa dalla segretaria confederale della Gianna Fracassi, che oggi, 9 novembre, era in
audizione sulla legge di Bilancio 2019, presso le
Commissioni Bilancio di Camera e Senato.
“Sviluppo e lavoro sono due chiavi essenziali per far
ripartire l’Italia, ma purtroppo – afferma Fracassi – le
misure contenute nella legge di Bilancio non prevedono
risposte, se non in maniera marginale, alle disuguaglianze
sociali e territoriali, alla crescita della disoccupazione, in
particolare giovanile e femminile”.
La Cgil nel documento consegnato alle commissioni
denuncia: pochi investimenti pubblici. Nel 2019 le nuove
risorse, in termini nominali, sono solo 3,5 miliardi di euro.
“Sarebbe stato importante mettere in campo un grande
piano di messa in sicurezza del territorio dai rischi naturali,
infrastrutturazione sociale e materiale, purtroppo risorse e
misure non sono sufficienti”.
Sul lato delle politiche industriali, poi, “non c’è un piano strategico di rilancio, anzi si riducono le risorse
come quelle per l’industria 4.0. Servirebbe piuttosto una governance pubblica, a partire dall’istituzione di
una Agenzia per lo sviluppo industriale”.
“In questa legge di Bilancio, il grande assente, oltre al lavoro, è però il Mezzogiorno. Complessivamente –
si legge nella memoria – sembra mancare un insieme organico di politiche per il Sud, mentre si ricorre
ancora ad una logica di mera incentivazione finanziaria”.
Sul versante del mercato del lavoro, per la Confederazione “è positiva la collocazione delle risorse per le
politiche attive finalizzate alla stabilizzazione dei precari e a costruire un sistema che garantisca un
governo pubblico, unitario e nazionale. Per gli ammortizzatori sociali servono invece interventi strutturali
complessivi che estendano i tempi delle coperture attuali”.
Per il sindacato di corso d’Italia sono “inique le norme contenute nel Decreto fiscale collegato alla
manovra. Si sceglie di non intervenire sulla riduzione del cuneo fiscale a carico dei lavoratori e dei
pensionati, si introducono nuovi condoni, e non si contrasta l’evasione fiscale”.
“Le risorse già stanziate per la sanità- si precisa nel documento – rimangono invariate, e rischiano di
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Dietro la bassa fecondità c’è
una cultura arretrata dei ruoli

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L’Italia nella crisi dell’eurozona
Molte cose potranno accadere dopo l’accelerazione della crisi che ha seguito la svolta politica nel nostro
paese. Non è facile prevederne gli esiti. Ma qualcosa è già successo. Una lunga e sfortunata fase politica
dell’eurozona è al tramonto. E sarà difficile rimpiangerne la fine, dopo un decennio perduto
di Antonio Lettieri
Apparentemente, l’attacco della Commissione europea contro il governo italiano non ha senso.
L’argomento riguarda il livello del deficit di bilancio per il prossimo anno. Nel corso del confronto col
governo italiano sembrava che la Commissione potesse accettare un deficit dell’1,9% del PIL. Non è
andata così. Com’è noto, il progetto di bilancio definitivo presentato dal governo italiano prevede un
deficit di bilancio per il 2019 del 2,4 per cento.
Il deficit in questione
C’è una spiegazione? Circa un terzo del deficit è finalizzato a scongiurare l’aumento dell’IVA , un
vecchio vincolo assunto dai governi passati per non incorrere nelle sanzioni della Commissione europea.
Circa un altro terzo del deficit è stato stanziato per finanziare il reddito di cittadinanza a beneficio dei
cittadini che vivono in condizioni di estrema povertà – a condizione che accettino una delle tre offerte di
lavoro provenienti dai centri per l’impiego adeguatamente rafforzati.
Un’altra parte importante del deficit è destinata alla spesa pensionistica, con l’obiettivo di consentire alle
persone di almeno 62 anni e con 38 anni di contributi di poter accedere alla pensione – una disposizione
mirante nelle intenzioni anche a creare mezzo milione di posti di lavoro a favore di giovani disoccupati.
Una quota minore del disavanzo è destinata a incrementare il capitolo di spesa precedentemente destinato
a investimenti pubblici per circa 15 miliardi rimasti inattivati.
Perché, per la prima volta nella storia dell’UE, la Commissione europea ha respinto un progetto di
bilancio, minacciando di aprire una procedura di infrazione contro l’Italia? La spiegazione data da Pierre
Moscovici, commissario UE agli affari economici, è tanto apparentemente motivata, quanto
sostanzialmente priva di senso. Secondo le sue parole, la Commissione non è interessata al contenuto del
bilancio, ma solo al rispetto della regola che richiede la progressiva riduzione del deficit fino al
raggiungimento del pareggio del bilancio.
Nessun paese, a eccezione della Germania, ha adottato misure tali da consentire il raggiungimento della
parità – peraltro ,sia detto per inciso, un obiettivo “stupido”, secondo un vecchio giudizio di Prodi,
quando era presidente della Commissione europea, in un contesto di bassa crescita e alta disoccupazione.
E, non a caso, il governo francese di Macron ha annunciato, senza sollevare scandalo a Bruxelles, un
aumento del deficit al 2,8% del PIL nel 2019.
La Commissione e le sue minacce
Qual è, allora, la ragione delle minacce senza precedenti indirizzate all’Italia? Anche se paradossale, la
vera spiegazione della posizione di Bruxelles è che un paese non può decidere autonomamente nemmeno
sui decimali del suo bilancio fiscale. Il governo deve cancellare i punti principali della piattaforma sulla
quale i partiti che lo compongono hanno chiesto il voto e sono stati eletti. In altre parole, il voto è un
futile esercizio di libertà politica, una perdita di tempo per cittadini che sono convinti di assolvere alla
funzione essenziale di scelta dei governanti, sulla base dei programmi presentati, in un regime
democratico degno di questo nome.
Scrive il Financial Times, “l’intransigenza da parte di Bruxelles” non è giustificata: “Occorre, da un lato,
trovare un equilibrio tra le responsabilità condivise di tutti gli Stati della zona euro nei confronti
dell’unione monetaria e, dall’altro, il diritto e il dovere dei governi di attuare le politiche sulle quali sono
stati eletti (corsivo mio)… Non bisogna dimenticare che questi partiti sono al governo perché gli elettori
italiani si sono alla fine stancati delle élites politiche e tecnocratiche responsabili di un periodo di 20 anni
di quasi totale stagnazione economica. … I nuovi leader hanno il diritto di proporsi il cambiamento
(Roman theatre clashes with the EU rule book, 24 ottobre 2018).
Ma qual è il vero problema nell’attacco di Bruxelles? Non si tratta di alcuni decimali di deficit. La verità è
nella crisi dell’Eurozona. Se si consente al governo italiano di mettere in atto il suo programma, molti altri
paesi potrebbero seguire il suo esempio, e affermare il diritto a una razionale mediazione fra la sovranità
nazionale e impegni europei.
La Commissione europea vive gli ultimi mesi del suo mandato. All’inizio del nuovo inizierà la campagna
elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo che, a sua volta, dovrà nominare la nuova Commissione.
E’ ragionevole scontare che la composizione del nuovo Parlamento sarà connotata dalla crescita dei
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