Infolampo: Candy ai cinesi – Europa
Candy ai cinesi, Camusso: il Ministero dello sviluppo
economico tuteli il lavoro
“Una vendita avvenuta nonostante l’ennesimo accordo di ristrutturazione stipulato con i sindacati che,
dopo le tante riorganizzazioni, prevede chiusure di stabilimenti e relativi licenziamenti, investimenti
produttivi e l’utilizzo degli ammortizzatori”
“È ora che il Governo, anche nei confronti delle politiche industriali e della salvaguardia delle produzioni
e del lavoro, passi dalla propaganda ai fatti. È il momento di invertire una strada che, sino ad oggi, ha
fatto perdere al sistema produttivo italiano aziende e marchi
importanti. Come la Candy, ultimo gruppo italiano del settore
dell’elettrodomestico in Italia, venduto alla multinazionale
cinese Haier”. Così il segretario generale della Cgil Susanna
Camusso.
Il gruppo Candy è stato ceduto dalla Famiglia Fumagalli ai
cinesi di Quindao Haier per 475 milioni di euro. “Nessuna
informazione era stata data alle organizzazioni sindacali e alle
rappresentanze sindacali aziendali.”, denuncia la Fiom
Brianza. “Abbiamo visto nelle scorse settimane i cinesi di
Haier in azienda, e abbiamo chiesto spiegazioni. Ma la
direzione aziendale ha negato che ci fossero, nel breve,
intenzioni di vendere. Nella giornata del 26 abbiamo
incontrato l’azienda in Assolombarda e nulla ci hanno detto rispetto a questo scenario. Siamo molto
amareggiati di aver acquisito la notizia dai giornali. Siamo altrettanto preoccupati del nostro futuro”,
dichiara Paolo Mancini, delegato sindacale della Candy di Brugherio.
In Italia Candy occupa quasi 1.000 dipendenti, tutti nell’unico sito rimasto aperto in Italia, a Brugherio. In
azienda, rilevano i sindacati, si è diffuso un clima di grande apprensione: “Siamo in attesa di ricevere le
informazioni dovute”.
La vendita, aggiunge Camusso, “è avvenuta nonostante l’ennesimo accordo di ristrutturazione stipulato
con le organizzazioni sindacali, che, dopo le tante riorganizzazioni, prevede chiusure di stabilimenti e
relativi licenziamenti, investimenti produttivi e l’utilizzo degli ammortizzatori sociali per l’azzeramento
degli esuberi”. “Il Mise – prosegue il segretario generale della Cgil – deve ora garantire non solo il rispetto
di quell’accordo, soprattutto in materia di investimenti e volumi produttivi, ma una politica di tutela delle
produzioni e del lavoro di questo settore nel nostro Paese. Un settore che in questi anni ha avuto continue
e significative riduzioni, nonostante il mercato interno non sia venuto meno”.
“Se i processi di internazionalizzazione del settore appaiono l’unica strada seguita – conclude Camusso –
tutto ciò non può avvenire senza un intervento deciso del governo italiano teso a salvaguardare lavoro e
produzioni nel nostro Paese”.
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Il fisco facile delle multinazionali
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Europa, è l’ora della post crescita
Storica conferenza a Bruxelles sull’economia post growth con accademici provenienti da tutta Europa e
oltre manda una lettera-appello con 4 proposte di riforma all’Ue tra cui superare il patto di stabilità con
un patto per il benessere sostenibile. Tra i firmatari da Graeber di Occupy WS a Fioramonti M5S.
di redazione Sbilanciamoci
Una grande conferenza, definita a dir poco «storica», il 18 e 19 settembre scorsi ha riunito a Bruxelles
economisti, scienziati, attivisti e rappresentanti di cinque diversi gruppi politici del Parlamento europeo al
capezzale di una economia europea che, per come viene vista e interpretata, non riesce né a riprendersi né
a garantire benessere alle società. Con l’obiettivo di imparare a ripensarla come una «economia post
crescita», che poi era anche il titolo dell’appuntamento seminariale 2018.
Lo scenario dunque non più propriamente quello della decrescita, più o meno felice, secondo le
indicazioni pionieristiche di Pierre Latouche, che evidentemente non consentivano la necessaria chiarezza
e condivisione e andavano aggiornate, ma quello di un superamento del paradigma prescrittivo della
crescita ad ogni costo, del credo produttivista, dell’autocrazia del PIL.
Negli ultimi sette decenni – scrive il testo della lettera-appello che convocava la conferenza, dal titolo
Europa, è il momento di porre fine alla dipendenza dalla crescita, che traduciamo di seguito – la crescita
del PIL si è rivelata l’obiettivo economico primario delle nazioni europee. Ma, con la crescita delle nostre
economie, è aumentato anche il nostro impatto negativo sull’ambiente. Ora stiamo superando lo spazio
operativo sicuro per l’umanità su questo pianeta e non vi è alcun segnale che l’attività economica sia
sufficientemente dissociata dal consumo delle risorse e dall’inquinamento, con conseguenze che si
annunciano devastanti. Oggi risolvere problemi sociali all’interno delle nazioni europee non richiede più
crescita. Richiede una più equa ripartizione del reddito e della ricchezza che già abbiamo.
La crescita sta diventando sempre più difficile da raggiungere a causa del calo degli incrementi di
produttività, della saturazione del mercato e del degrado ecologico. Se le tendenze attuali continueranno,
l’Europa smetterà di crescere entro un decennio. In questo momento la risposta è cercare di alimentare la
crescita emettendo più debito, sminuzzando le normative ambientali, prolungando l’orario di lavoro e
riducendo le protezioni sociali. Questa ricerca aggressiva della crescita a tutti i costi divide la società, crea
instabilità economica e mina la democrazia.
Chi governa l’Europa non è stato disposto ad impegnarsi con questi problemi, almeno non fino ad ora. Il
progetto Beyond GDP (Oltre il PIL) della Commissione europea è diventato GDP & Beyond (PIL ed
Oltre).
Il mantra ufficiale rimane la crescita – declinata come “sostenibile”, “verde” o “inclusiva” – ma, prima di
tutto, crescita. Persino i nuovi obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite includono la ricerca
della crescita economica come obiettivo politico per tutti i Paesi, nonostante la contraddizione
fondamentale tra crescita e sostenibilità.La buona notizia è che all’interno della società civile e del mondo
accademico sia emerso un movimento post-crescita.
Assume nomi diversi in diversi luoghi: décroissance o degrowth, Postwachstum, economia dello stato
stazionario o della ciambella, prosperità senza crescita, solo per citarne alcuni.
Dal 2008, periodiche conferenze sulla decrescita hanno riunito migliaia di partecipanti. Una nuova
iniziativa globale, la Wellbeing Economies Alliance (WE-All) (Alleanza delle Economie del Benessere),
sta costruendo collegamenti tra questi movimenti, mentre una rete di ricerca europea ha sviluppato nuovi
“modelli macroeconomici ecologici “. Tale lavoro suggerisce che è possibile migliorare la qualità della
vita, ripristinare il mondo vivente, ridurre le disuguaglianze e fornire posti di lavoro dignitosi – il tutto
senza la necessità di crescita economica, a condizione che adottiamo politiche per superare la nostra
attuale dipendenza dalla crescita.
Alcuni dei cambiamenti proposti includono limiti all’uso delle risorse, tassazione progressiva per arginare
l’ondata di crescente disuguaglianza e una graduale riduzione dell’orario di lavoro. L’utilizzo delle risorse
potrebbe essere frenato introducendo una carbon tax e le entrate potrebbero essere distribuite come
dividendo per tutti o utilizzate per finanziare i programmi sociali. Introdurre un reddito sia minimo che
massimo ridurrebbe ulteriormente la disuguaglianza, contribuendo nel contempo a ridistribuire il lavoro
di cura e ridurre gli squilibri di potere che minano la democrazia. Le nuove tecnologie potrebbero essere
utilizzate per ridurre il tempo di lavoro e migliorare la qualità della vita, invece