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Infolampo: Povertà – Reddito

Contro la povertà serve il lavoro. Nelle Marche, è povera
una famiglia su 11
Nel suo recente rapporto sulla povertà in Italia nel 2017, l’ISTAT stima che 1 milione e 778 mila
famiglie, e 5 milioni di persone, vivono in condizioni di povertà assoluta, ovvero, non sono in grado di
sostenere la spesa per beni e servizi essenziali a uno standard di vita accettabile. Si tratta rispettivamente
del 6,9% e dell’8,4% del totale delle famiglie e della popolazione italiana, percentuali entrambi in
crescita rispetto all’anno precedente.
In crescita anche la povertà relativa che in Italia riguarda oltre 3 milioni e 171 mila famiglie e 9 milioni e
368 mila persone. Si tratta di famiglie e persone con consumi al
di sotto di una soglia che, per una famiglia con due componenti, è
pari alla spesa media mensile pro-capite a livello nazionale. La
povertà relativa, cosi come quella assoluta, è più diffusa
soprattutto tra le famiglie con 4 o più componenti, soprattutto
quelle con figli minori, tra le persone con bassi titoli di studio, tra
i disoccupati e gli operai e tra i cittadini stranieri.
Nelle Marche, nel 2017, le famiglie in condizioni di povertà
relativa sono l’8,8% del totale e sono sostanzialmente stabili
rispetto a un anno fa (8,9%), ma al di sopra della media delle
regioni del Centro (7,9%).
“Si tratta di dati drammatici che rendono evidente come sia
ancora diffusa la condizione di disagio di tante persone” –
dichiara Daniela Barbaresi, Segretaria generale della CGIL
Marche. “Peraltro, la povertà non accenna a scendere nonostante
l’occupazione torni complessivamente a salire. Segno questo del
peggioramento delle condizioni di lavoro e di reddito di tanti lavoratori e soprattutto lavoratrici”.
Nelle Marche, infatti, continua a crescere esponenzialmente il lavoro precario e quello a tempo parziale,
in gran parte involontario, che hanno eroso progressivamente il lavoro stabile e a tempo pieno, e non
garantiscono condizioni di reddito adeguato: i contratti part time interessano un lavoratore su 3, con una
retribuzione media lorda annua che non arriva a 11mila euro.
Aggiunge Barbaresi: “Purtroppo i dati sulla povertà confermano come ormai anche avere un lavoro non
sia sufficiente a garantire una vita dignitosa e anche per questo è urgente affrontare il tema della qualità
del lavoro e delle retribuzioni: dunque, anziché pensare di estendere l’utilizzo dei voucher, una delle
forme di lavoro peggiori e meno tutelate, occorre chiedersi come incrementare salari, produttività,
consumi e investimenti”.
Secondo l’ISTAT, nelle Marche ci sono complessivamente 358.352 persone a rischio di povertà o di
esclusione sociale; si tratta di coloro vivono in famiglie con un reddito equivalente inferiore al 60 per
Leggi tutto: http://www.marche.cgil.it/files/Povertà.pdf

Dl dignità: «Governo tuteli sia
badanti che famiglie»

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Corporativismo, spesa pubblica e distribuzione
funzionale del reddito
Nell’ultimo quarantennio, la quota di reddito nazionale destinata al lavoro si è contratta in modo
costante e generalizzato nella gran parte delle economie avanzate.
Scritto da: Mario Holzner
Le spiegazioni fornite dalla letteratura scientifica fanno in larga parte riferimento al ruolo del
cambiamento tecnologico, a quello della globalizzazione della produzione e dei mercati ed alle
trasformazioni istituzionali ad essi associate. In tale contesto, il ruolo del ‘corporativismo’ – la
cooperazione tra imprese, lavoratori e gruppi di interesse statali -, anche se potenzialmente di grande
importanza quale ulteriore fattore esplicativo, non è stato analizzato in modo significativamente
approfondito. Una delle probabili ragioni è la carenza di informazioni quantitative dettagliate circa il
grado relativo di corporativismo nelle diverse economie e le evoluzioni qualitative che hanno avuto, nel
corso tempo, le interazioni tra stati, imprese e organizzazioni sindacali. Recentemente, tuttavia, Jahn
(‘Changing of the guard: trends in corporatist arrangements in 42 highly industrialized societies from
1960 to 2010’, Socio-Economic Review, 2016) ha sviluppato un indice (su base annuale) capace di
catturare l’intensità relativa del corporativismo in 42 Paesi industrializzati, osservati dal 1960 al 2010.
Nella definizione di corporativismo proposta da Jahn, gli accordi in materia di relazioni industriali e
politica economica (in particolare la contrattazione salariale) sono classificati per struttura (grado di
centralizzazione gerarchica), funzione (grado di concertazione con lo Stato) e ampiezza (grado in cui gli
accordi comprendono segmenti più ampi della società).

La figura 1 (riquadro sinistro) mostra la relazione di lungo periodo (rilevata nel periodo 1960 – 2010) tra
il valore dell’indicatore di corporativismo e la variazione della quota salariale (dati AMECO a parità di
potere di acquisto) per una serie di paesi (principalmente europei). I paesi privi di istituzioni di
contrattazione salariale centralizzata mostrano la contrazione maggiore della quota di redito nazionale
destinata al lavoro. Tuttavia, anche in società corporativiste tradizionali come l’Austria e la Svezia la
quota del reddito da lavoro sul reddito nazionale totale si è ridotta in modo sostanziale. Le economie che
si caratterizzano per un livello medio-alto di corporativismo quale il Benelux, si caratterizzano altresì per
una stabilizzazione o addirittura per un aumento di tale quota. È interessante notare che questa relazione
si appiattisce quando si osserva l’ultimo periodo, nei primi anni del 2000 (Figura 1, riquadro di dx). Nel
passaggio dall’analisi di lungo (riquadro di sx) a quella di breve periodo (riquadro di dx), la linea di
regressione muta forma e orientamento: la dinamica che appare non lineare tra il 1960 ed il 2010 diventa
lineare e inclinata verso l’alto nel periodo 2000-2010.
In un mio recente studio, sul quale si basano i risultati che enuncerò, ho analizzato l’impatto mutevole del
corporativismo sull’andamento della quota di lavoro. La domanda di ricerca è la seguente: qual è
l’impatto di lungo periodo nelle economie industrializzate del grado di corporativismo economico sulla
quota di reddito nazionale che va al lavoro? Le ipotesi sottoposte a test empirico, seguendo le
implicazioni di entrambi i riquadri della figura 1, sono le seguenti: (i) nel periodo successivo alla seconda
guerra mondiale, le economie industrializzate caratterizzate da un grado di corporativismo relativamente
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